Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3623 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3623 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8772/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
CONTRO
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA della C.T.R. della Lombardia, sez. stacc. di Brescia n. 97/2022 depositata il 13/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della C.T.R. della Lombardia sezione staccata di Brescia, pronunciata in sede di rinvio, che ha accolto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della C.T.P. di Brescia, con la quale era stato rigettato il ricorso proposto avverso il silenzio-rifiuto serbato dall’Amministrazione fiscale sull’istanza per il rimborso dell’IRAP, relativa agli anni di imposta 2003 -2013, per complessivi euro 80.818,89, in quanto dovuta dal professionista che esercita l’attività con autonoma organizzazione.
La C.T.R., dato atto che l’Ordinanza resa dalla Corte di cassazione (n. 220/2018) aveva cassato con rinvio la sentenza della C.T.R. della Lombardia, sez. stacc. di Brescia del 16 maggio 2015, dando mandato al giudice del rinvio di rivalutare la sussistenza dell’autonoma organizzazione alla luce dei principi adottati dalla giurisprudenza di legittimità, ripresi in sentenza, ha ritenuto non integrati gli indici tipici che formano il presupposto dell’assoggettamento all’imposta. In particolare, in relazione all’entità dei beni ammortizzabili, ha escluso la rilevanza del possesso di quattro computer, tenuto conto che alcuni di essi erano stati dismessi ed a causa del gap tecnologico non potevano comportare un incremento dell’attività del professionista; in relazione all’intervento del lavoro di terzi, ha osservato che ‘dall’esame dei documenti versati in atti risulta che tutte le persone assunte dal contribuente hanno svolto attività amministrativa e non sanitaria’, con la conseguenza dell’irrilevanza della loro prestazione generica e non specialistica, ai fini del riconoscimento, in concreto, dell’autonoma organizzazione.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate formula due motivi di ricorso
Con il primo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 385 comma 2 c.p.c., 2 e 3 lett. c) del d.lgs n. 446/1997, nonché degli artt. 2697 e 2727 c.c.. Sostiene che il giudice del rinvio abbia errato nella ripartizione dell’onere probatorio, essendosi la decisione fondata su mere supposizioni, in assenza dell’approfondito esame richiesto dall’Ordinanza della Suprema Corte in ordine alla sussistenza dei presupposti di imposta. Invero, come precisato dall’Ufficio, il ricorrente non aveva dato la prova su di lui incombente, nonostante dai quadri RE delle dichiarazioni versate in atti dal contribuente emergessero dati contraddittori, quali la disponibilità di un locale di ben 80-100 mq, adibito esclusivamente alla sua attività, l’apprezzabile consistenza dei beni strumentali, certamente eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale, la presenza simultanea di più dipendenti, sulle cui mansioni effettive il ricorrente non aveva offerto alcun elemento. Sottolinea che era altresì emerso come, nel tempo, il professionista avesse erogato cospicui compensi ad altri avvocati. Nonostante la compresenza di tutti siffatti elementi, il giudice del rinvio ha omesso, violando la regola del riparto dell’onere probatorio, l’accertamento concreto del fatto.
Con il secondo motivo si duole, ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. della violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 e 2727 c.c.. Deduce il travisamento del contenuto della prova, avendo il giudice del rinvio mancato di tenere in considerazione i fatti pacifici che emergevano dal quadro RE delle dichiarazioni reddituali, ovverosia: la costante e simultanea presenza di spese
per prestazioni di lavoro dipendente ed assimilato; i compensi corrisposti a terzi afferenti l’attività professionale; la pluralità dei dipendenti; il possesso di beni strumentali eccedenti il minimo necessario per l’esercizio dell’attività professionale. Assume che, pur a fronte di ciò, la C.T.R. si sia adagiata su considerazioni generiche, facendo riferimento a non meglio precisati usi degli studi professionali (quali quello di non dismettere computer obsoleti, limitandosi a disconnetterli dalla rete web). Rileva, infine, che costituisce vizio della sentenza, tale da comportarne la nullità, il riferimento allo svolgimento da parte dei dipendenti ‘di attività amministrativa e non sanitaria’, tenuto conto che i principi che regolano l’assoggettamento all’imposta nel settore sanitario, sono, secondo la giurisprudenza di legittimità, del tutto peculiari. Denuncia, infine, l’assenza di significato delle considerazioni svolte dalla C.T.R., in chiusura, laddove afferma che l’Ufficio non ha ‘fatto seguire la sua eccezione dalla costatazione del tipo di lavoro che le persone assunte dal contribuente – sono andate a svolgere presso i nuovi datori di lavoro’.
Le doglianze possono essere trattate insieme, in quanto strettamente connesse, ancorché siano fatte valere l’una come violazione di legge, e l’altra, come vizio della motivazione, trasmodante nella sua nullità.
Occorre muovere, trattandosi dell’impugnazione di una sentenza resa in sede di rinvio, dal mandato contenuto nella decisione della Corte di cassazione. L’Ordinanza n. 220 del 9 novembre 2018, pronunciata dalla Sesta sezione, infatti, dopo avere ripreso l’elaborazione dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare in ordine al numero dei dipendenti (Sez. U, Sentenza n. 9451 del 10/05/2016) ai compensi corrisposti ad altri professionisti per le domiciliazioni (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22695 del 08/11/2016), all’importo delle spese per i beni
strumentali (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23552 del 18/11/2016), rilevava che il giudice di appello si era discostato dai principi richiamati ‘non indagando neppure se i dipendenti svolgessero mansioni esecutive ovvero professionali in grado di potenziare l’attività del contribuente’.
Ciò che era richiesto al giudice del rinvio, dunque, era di uniformarsi alle indicazioni espresse dagli orientamenti giurisprudenziali riportati, approfondendo, alla luce di quelli, la fattispecie concreta, dedicando particolare cura alla motivazione relativa alle mansioni svolte dal personale impiegato.
Ebbene, sotto il profilo dei beni strumentali impiegati dal professionista, seppure la decisione gravata argomenti in modo approssimativo -facendo riferimento ad usi degli studi professionali, secondo i quali i computer obsoleti non verrebbero dismessi, al fine di utilizzarli per l’elaborazione di dati sensibili -nondimeno afferma un principio di diritto che pare corretto. Ed infatti, laddove il possesso di beni strumentali non rappresenti un fattore aggiuntivo o moltiplicativo del valore costituito dall’attività intellettuale del professionista, esso non rileva ai fini dell’assoggettamento ad imposta, in quanto non funzionale allo sviluppo della produttività. Invero, il possesso di computer obsoleti (e tali devono ritenersi perché così accertato dal giudice di merito) non eccede il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività, perché esso è rappresentato solo dal possesso di strumenti in linea con le esigenze sempre più complesse di interazione e di velocità di funzionamento, che appaiono tipiche della professione forense.
Sotto il diverso profilo stigmatizzato dall’Ufficio – della mancata considerazione delle spese sostenute dal professionista per compensare altri colleghi, se è vero che il giudice del rinvio non si è soffermato sul punto, è anche vero che la Suprema Corte, nel cassare la sentenza aveva fatto riferimento ad un
orientamento secondo il quale ‘In tema d’IRAP, non sono indicativi del presupposto dell’autonoma organizzazione i compensi corrisposti da un avvocato per le domiciliazioni presso i colleghi, trattandosi di prestazioni strettamente connesse all’esercizio della professione forense, che esulano dall’assetto organizzativo della relativa attività. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22695 del 08/11/2016). Sicché non pare che l’avere la C.T.R. omesso considerazioni sul punto assuma alcun significato, posto che, in ogni caso, avrebbe dovuto escludere la rilevanza dei compensi riconosciuti ad altri professionisti per simili attività.
Resta, ed è il nodo centrale della controversia, la questione inerente al numero ed alle mansioni dei dipendenti impiegati.
E’ opportuno partire dal principio enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo il quale: ‘In tema di imposta regionale sulle attività produttive, il presupposto dell'”autonoma organizzazione” richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive. (In applicazione del principio, la RAGIONE_SOCIALE ha respinto il ricorso contro la decisione di merito che aveva escluso l’autonomia organizzativa di uno studio legale dotato soltanto di un segretario e di beni strumentali minimi). (Sez. U, Sentenza n. 9451 del 10/05/2016; cfr. di recente: Sez. 5, Ordinanza n. 11107 del 24/04/2024).
E’ stato inoltre chiarito da questa Sezione che: ‘In tema di IRAP, sussiste il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione ove il professionista si avvalga dell’opera di due dipendenti con mansioni di segretarie, sebbene impiegate “part time”. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26293 del 20/12/2016). Ed
ancorché sia stato diversamente ritenuto che ‘In tema di IRAP, ai fini del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, due unità lavorative “part time” sono tendenzialmente equivalenti ad una a tempo pieno, fatta salva la verifica in concreto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso l’autonoma organizzazione di un esercente la professione medica per essersi avvalso di due lavoratori “part time” svolgenti mansioni di segreteria, omettendo di verificare se, in concreto, gli stessi fossero equivalenti ad un lavoratore tempo pieno). (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23466 del 06/10/2017), vi è che, in questo caso, il ragionamento svolto in concreto dalla sentenza impugnata, da un lato, appare piuttosto confuso, dall’altro, non è rispettoso dei principi enunciati.
La C.T.R., infatti, così si esprime: ‘Quanto all’intervento di lavoro di terzi dall’esame dei documenti versati in atti risulta che tutte le persone assunte dal contribuente hanno svolto attività amministrativa e non sanitaria, né tanto meno l’agenzia abbia fatto seguire la sua eccezione dalla constatazione del tipo di lavoro sono andate a svolgere presso i nuovi datori di lavoro. In ossequio a quanto stabilito dalla Suprema Corte in presenza di lavoro generico e non specialistico dell’attività di avvocato questo non può essere presupposto dell’esistenza di autonoma organizzazione (sic!)’.
Come è facilmente rilevabile dalla lettura della sentenza, i giudici non hanno effettivamente vagliato la rilevanza della compresenza di più dipendenti nello stesso periodo, ma hanno affermato l’ininfluenza della loro attività, facendo riferimento allo svolgimento ‘di attività amministrativa e non sanitaria’. Ciò, da un lato, rende sostanzialmente incomprensibile il ragionamento giuridico sotteso all’esclusione
dell’assoggettabilità all’imposta de qua , dall’altro, non assolve il mandato assegnato dalla Corte di cassazione.
La sentenza deve, dunque, essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, cui è rimessa anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento dei motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui rimette anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024