Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22608 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22608 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19253/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende; -ricorrente- contro
COGNOME rappresentato e difeso da se medesimo, con elezione di domicilio digitale all’indirizzo pec: ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMM. TRIB. REG. del LAZIO SEZ.DIST. LATINA n. 9056/2018, depositata il 18/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
Oggetto di impugnazione è la sentenza n. 9056/2018 CTR Lazio -sez. dist. Latina del 18/12/2018, non notificata, nella quale si verte dell’applicazione (o meno) dell’IRAP all’avvocato NOME
COGNOME che aveva fatto istanza di restituzione di quanto pagato per tale tributo in data 28/06/2011, dopo aver ricevuto una comunicazione di irregolarità relativa all’anno d’imposta 2009.
Era infatti accaduto che il contribuente aveva richiesto la restituzione dell’importo di Euro 8.050,70 , quale IRAP versata per il 2009, lamentando che nel caso di specie difettava il requisito dell’ autonoma organizzazione costituente presupposto per l’applicazione del suddetto tributo.
Il citato contribuente proponeva ricorso avverso il silenzio-rifiuto dell’ A mministrazione, ma l’impugnativa del diniego di rimborso era respinta in primo grado dalla CTP di Frosinone, con la sentenza n. 66/2017.
Al contrario, la CTR del Lazio -Latina, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, r avvisava la fondatezza dell’appello proposto dal contribuente.
Ha, quindi, proposto ricorso per c assazione l’Agenzia delle entrate, sulla scorta di due motivi di impugnazione.
Il contribuente intimato ha resistito con controricorso.
E’ stata, quindi, fissata udienza camerale per il 18.06.2025.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso proposto dall’ufficio avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio -Latina, n. 9056/2018, depositata il 18/12/2018 e non notificata, si fonda sui seguenti motivi di doglianza:
Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 2, comma 1, e art. 3, co. 1, lett. c), del d.lgs. n. 446/1997 unitamente all’art. 2697 c.c., avendo il giudice dell’appello erroneamente ritenuto che la collaborazione, nell’ambito del medesimo studio legale, con altri avvocati non potesse valere a integrare la fattispecie normativa della ‘autonoma organizzazione’, costituente il presupposto impositivo per l’applicazione dell’IRAP ;
2) Violazione degli artt. 115, comma 1 e 2, e 116, comma 1, c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 , non avendo il giudice dell’appello valorizzato l’elemento della prova della disponibilità, da parte del medesimo professionista, di due distinti studi legali presenti in Comuni diversi. 2. Tali motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente in quanto connessi.
Essi sono fondati per le ragioni che seguono.
Ai fini della decisione occorre ricordare che l’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 stabilisce che il presupposto dell’IRAP è l’esercizio di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni e servizi. Il soggetto passivo del tributo è, quindi, colui che esercita tale attività.
Affinché ricorra il presupposto impositivo è necessario che l’organizzazione sia ‘autonoma’ , con la precisazione che detto requisito non è integrato dalla (sola) mera quantità degli elementi organizzati, ma (in modo del tutto prevalente) dalla qualità degli stessi, in relazione alla specifica attività considerata.
Con la Circolare n. 45 del 13 Giugno 2008, l’Agenzia delle Entrate ha preso atto di talune decisioni adottate nell’anno precedente da questa Corte, ritenendo che, se da un lato, non è possibile dubitare della possibile applicabilità dell’IRAP ai lavoratori autonomi, dall’altro, il requisito dell’autonoma organizzazione è imprescindibile perché un’attività sia soggetta ad IRAP, precisando altresì che detto requisito non può essere inteso in senso meramente soggettivo, ma deve essere inteso ‘necessariamente in senso oggettivo, non solo perché l’elemento dell’autonomia, se recepito in senso soggettivo, si risolve in una mera tautologia (il professionista è autonomamente organizzato perché è un soggetto capace di organizzazione autonoma), che non avrebbe richiesto un apposito intervento legislativo di precisazione; ma soprattutto perché è l’unica interpretazione costituzionalmente orientata’.
Richiamando la sentenza n. 3678 del 16 febbraio 2007, la citata Circolare chiarisce ‘che il tributo colpisce una capacità produttiva ‘impersonale ed aggiuntiva’ rispetto a quella propria del professionista’, rispetto alla quale ‘Esemplificativamente il giudice del merito potrà ricercare i dati di riscontro del presupposto impositivo attraverso l’autodichiarazione del contribuente ovvero la certificazione dell’Anagrafe tributaria in possesso dell’Amministrazione finanziaria, soffermandosi sul dettaglio riportato nelle pertinenti sezioni del Quadro RE (riguardante la determinazione del reddito di lavoro autonomo ai fini Irpef) che specifica la composizione dei costi (righi da 6 a 18) riportando – tra gli altri -le quote di ammortamento dei beni strumentali (con tipologia ricavabile dal registro dei cespiti ammortizzabili o dal registro dei pagamenti), i canoni di locazione finanziaria e non, le spese relative agli immobili, le spese per prestazioni di lavoro dipendente, per le collaborazioni e di compensi comunque elargiti a terzi, gli interessi passivi’.
Anche la posizione più recente assunta dalla giurisprudenza di questa Corte identifica l”autonomia’ dell’organizzazione in termini non esclusivamente quantitativi.
Cosi, con la recente ordinanza di questa Sezione n. 6212 del 9/03/2025, si è affermato che, in tema di IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione per le professioni liberali (nel caso di specie la professione forense), quale presupposto impositivo dell’imposta, sussiste in presenza di una capacità produttiva impersonale ed aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista e colpisce un reddito derivante da una struttura organizzativa esterna, cioè da un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale svolta dal professionista.
Negli stessi termini si è pronunciata sempre questa Sezione con l’ordinanza n. 11107 del 24/04/2024, alla cui stregua il presupposto della “autonoma organizzazione” richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive.
Più in particolare, avuto riguardo alla specifica attività professionale svolta dal contribuente nel caso di specie, è conferente richiamare le pronunce n. 4080 del 16/02/2017 e n. 22695 del 08/11/2016, quest’ultima con riferimento all’irrilevanza, di per sé considerata, delle c.d. mere domiciliazioni.
La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
Infatti, nella sua motivazione si afferma che (pag. 5/6) ‘ l’Agenzia non ha fornito alcuna prova dello svolgimento organizzato di un’attività professionale. L’unico elemento fattuale è costituito dalla circostanza che i professionisti interessati esercitano l’attività professionale nel medesimo studio. Ma tale circostanza, singolarmente considerata, è insufficiente ‘.
La motivazione però contraddittoriamente aggiunge (così implicitamente ammettendo che la circostanza di cui sopra non era affatto l’unica dimostrata dall’ufficio) che ‘neanche assume rilievo che il contribuente avesse corrisposto asseriti compensi per Euro 20.910,00 all’Avv . NOME COGNOME di Catania’, per poi aggiungere che ‘in proposito, il contribuente ha evidenziato che tale somma rappresentava la ripartizione in parti uguali di compensi professionali pagati dai clienti (per comodità e semplificazione) direttamente e per intero all’Avv. NOME COGNOME e che lo stesso inoltrava (nella misura della metà) all’Avv. NOME COGNOME di Catania, trattandosi di mandato professionale congiunto
conferito ad entrambi i professionisti’. Rilevando , altresì, che ciò sarebbe risultato dal confronto delle fatture.
La motivazione della decisione aggiunge, da un lato, in modo del tutto erroneo e di per sé irrilevante, che ‘a tali osservazioni l’Ufficio non ha replicato’ (così omettendo di considerare che la contestazione promanava fin dall’origine dallo stesso ufficio che aveva preteso l’esazione del tributo, al quale non si poteva perciò pretendere un ulteriore onere di contestazione a fronte dei motivi di impugnazione svolti dal contribuente: cfr. Cass. Sez. 5 n. 16984 del 14/06/2023, secondo cui la natura impugnatoria del processo tributario esclude di poter imporre all’ammini strazione finanziaria un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato).
La stessa sentenza impugnata aggiunge, ancora, che ‘la corresponsione di compensi ad altri professionisti non è di per sé indice di un’attività professionale svolta in forma associata’, con un’affermazione puramente astratta che isola – anche qui in modo erroneo -il singolo fatto indiziante da una complessiva considerazione della fattispecie.
Per mera completezza di indagine, occorre rilevare che non osta a tale rilievo la circostanza che, medio tempore , altri due ricorsi relativi allo stesso contribuente siano stati definiti da questa Corte (r.g. n. 6311/2019 con decisione n. 23487/2023; r.g. n. 28455/2018 con decisione n. 23274/2023), tenuto conto che in tali circostanze , oltre a riguardare diverse annualità d’imposta, le pronunce si sono limitate a ritenere inammissibili i ricorsi sulla scorta della sollecitazione di una mera rivalutazione del merito della causa in sede di legittimità.
Nel caso di specie, tuttavia, le censure della ricorrente -se confrontate con la decisione impugnata -restano sul piano della violazione di legge e non di una inammissibile rivalutazione delle prove.
La decisione, infatti, è incorsa in un vizio c.d. di sussunzione, espressione con la quale si indica non tanto l’accertamento dei fatti da parte del giudice -che certamente costituisce una prerogativa del giudice del merito -quanto la valorizzazione di elementi di fatto che appaiono inidonei a trarre le conseguenze giuridiche che vengono affermate dalla decisione di merito. Vero e proprio crocevia fra giudizio di fatto e giudizio di diritto, il difetto di sussunzione rileva nel giudizio di legittimità come vizio della sentenza impugnata che ne consente la critica sotto il profilo della violazione e, più in particolare, della falsa applicazione di legge, sub art. 360 n. 3 c.p.c., così come in effetti denunciato dalla ricorrente (v., in proposito, ex multis, Cass. Sez. 5 n. 6459 del 03/03/2023; Cass. Sez. U n. 4115 del 09/02/2022; Cass. Sez. 6 – 3 n. 3541 del 13/02/2020).
In definitiva, quindi, la decisione impugnata omette di raffrontare in modo specifico gli elementi quantitativi e qualitativi degli indici sintomatici d ell’autonoma organizzazione forniti dall’ufficio, omettendo di considerare che il dato quantitativo (comunque tutt’altro che irrilevante: compenso a professionista terzo di oltre 20.000 euro) deve essere necessariamente valorizzato alla luce del dato qualitativo dell’apporto fornito dai terzi, al fine di verificare se vi sia stato un coordinamento organizzativo tale da far assurgere al professionista legale il ruolo di soggetto passivo dell’imposta de qua . A tal proposito si deve considerare, ulteriormente, che nella stessa difesa del contribuente era implicita l’ammissione che il versamento della non indifferente somma di oltre 20.000 Euro all’Avv. NOME non era avvenuto per compensare una mera attività di domiciliazione, ma per lo svolgimento di un’attività professionale in forma congiunta, dovendosi altresì valorizzare l’ulteriore circostanza che verso il cliente fatturava lo stesso ricorrente, ciò che appare ulteriore indice del coordinamento complessivo dell’attività professionale da parte di quest’ultimo.
Inoltre, la decisione affronta i singoli elementi rivelatori dell’autonoma organizzazione in modo atomistico, per sminuirne la rilevanza, omettendo invece quella doverosa verifica complessiva che nella sussunzione dei fatti nella fattispecie legale costituisce momento di inevitabile sintesi, posto che anche un singolo elemento fattuale, se isolatamente considerato, può avere un rilievo probatorio minimo, ben diversamente può incidere sul piano della valutazione della fattispecie ove coordinato e posto in raffronto complessivo e coordinato con tutti gli altri elementi fattuali.
Peraltro, la decisione non reca alcun passaggio nella motivazione (la cui omissione è attinta specificamente dal secondo motivo) circa l’ulteriore elemento non contestato in sé -della riconducibilità al contribuente di una pluralità di studi professionali posti in città diverse (Frosinone e Sora). Il contribuente aveva, infatti, giustificato tale circostanza rilevando per lo studio di Frosinone dei consumi per l’energia elettrica molto limitati e l’assenza di linea fissa, da cui desumere una sostanziale inoperatività, ma non aveva negato in sé né la disponibilità né l’utilizzo degli studi, anche in forma associata con altri professionisti (aspetto che, come pure anticipato, non è stato trattato dalla sentenza impugnata).
In definitiva, pertanto, i motivi di ricorso congiuntamente considerati risultano fondati e devono essere, perciò, accolti.
3. La pronuncia impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale, nel frattempo divenuta Corte di Giustizia Tributaria di II grado del LAZIO – Latina affinché, in diversa composizione, proceda ad una nuova valutazione del caso attenendosi agli argomenti sopra evidenziati, che sono compendiabili nel seguente principio di diritto (al quale dovrà uniformarsi la citata Corte in sede di rinvio):
‘ai fini della debenza dell’imposta sul reddito delle attività professionali, il requisito dell’autonoma organizzazione per le
professioni liberali (nel caso di specie la professione forense), quale presupposto necessario dell’imposta, sussiste in presenza di una capacità produttiva impersonale ed aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista, derivante dal coordinamento di fattori che, valutati su di un piano non solo quantitativo ma altresì qualitativo, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale svolta dal professionista; a tal fine, peraltro, i singoli fatti rivelatori di detta organizzazione non possono essere esaminati soltanto in modo isolato ed atomistico, dovendo necessariamente essere posti in relazione fra loro e valutati in modo complessivo, posto che la scarsa rilevanza sintomatica di un solo fatto in sé considerato, ben diversamente può incidere sul piano della sussunzione della fattispecie concreta in quella legale, ove coordinato e posto in raffronto complessivo e coordinato con tutti gli altri elementi del caso’.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio – Latina, in diversa composizione, per un nuovo esame, oltre che per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 giugno 2025.