Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22233 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 22233 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6711/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del RAGIONE_SOCIALE VENEZIA GIULIA-TRIESTE n. 384/2014 depositata il 24/09/2014. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11/06/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
In data 24 maggio 2010, la DP di Udine dell’RAGIONE_SOCIALE delle entrate notificava a RAGIONE_SOCIALE , divenuta RAGIONE_SOCIALE ,
-avviso di accertamento n. TI9 030 900825, relativamente all’anno di imposta 2005, con il quale contestava una serie di violazioni ai fini di IRES, IRAP, IVA e ritenute alla fonte ad opera dei sostituti d’imposta su redditi da lavoro dipendente;
-atto di contestazione n. NUMERO_DOCUMENTO, relativamente al medesimo anno di imposta, con il quale contestava la violazione dell’art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 471 del 1997, relativamente all’omesso versamento di ritenute su redditi da lavoro dipendente.
Detti atti recepivano i contenuti di due PPVVCC: l’uno notificato in data 1° luglio 2005 a seguito di verifica parziale della GdF di Tolmezzo; l’altro notificato in data 30 agosto 2006 a seguito di ulteriore verifica specifica della GdF di Gemona del Friuli.
In estrema sintesi, secondo i verificatori prima e l’RAGIONE_SOCIALE poi, le prestazioni rese alla contribuente da due società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) in forza di contratti d’appalto dovevano essere riqualificate in somministrazione di manodopera, avendo detti contratti in realtà ad oggetto prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dal contribuente.
Ne conseguiva la contestazione, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, di omessi effettuazione, versamento e dichiarazione di ritenute; indebita deduzione quali costi di produzione delle prestazioni rese
dai lavoratori messi a disposizione dalle imprese appaltatrici ed indebita detrazione dell’IVA sugli acquisti afferente alle operazioni riqualificate (il rilievo relativo all’indebita deduzione di costi afferenti a fatture per operazioni oggettivamente inesistenti non costituisce oggetto del giudizio di cassazione: cfr. p. 3 ric., sesta riga dal fondo).
La contribuente impugnava entrambi gli atti con distinti ricorsi. Si costituiva l’RAGIONE_SOCIALE, che, con memoria, integrativa, chiedeva ‘la cessazione parziale della materia del contendere limitatamente alla pretesa ai fini Ires e concernente il recupero dei costi connessi ai reati estinti a seguito di sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione dei reati ascritti di cui all’art. 18 del D.Lgs. 276/2003 (p. 6 controric.).
2.1. L’adita CTP di Udine, con sentenza n. 12/3/2013, accoglieva i ricorsi, annullando gli atti e condannando l’RAGIONE_SOCIALE alle spese.
L’RAGIONE_SOCIALE proponeva appello, che la CTR del Friuli -Venezia Giulia, con la sentenza in epigrafe, rigettava, compensando le spese, sulla base della seguente motivazione:
i fatti sono relativi al periodo d’imposta 2005. La normativa applicabile ‘ratione temporis’ all’appalto di manodopera è quella di cui alla L.S. 10.09.2003 n. 276 .
Nel periodo in considerazione non esiste una norma contenente e, pertanto, non può ritenersi che la conseguenza dell’illecito appalto di manodopera sia quella di poter ritenere costituito ‘ex lege’, e tantomeno anche agli effetti fiscali e tributari, un rapporto di lavoro tra l’effettivo utilizzatore ed i lavoratori ‘appaltati’.
La non riferibilità del rapporto di lavoro al soggetto utilizzatore, trova indiretto argomento di conferma anche nella previsione della concorrente responsabilità nei confronti dei lavoratori del datore di lavoro interposto e di quello interponente. La Commissione Tributaria Regionale non ritiene, pertanto, che per l’anno 2005 la ricorrente dovesse effettuare le ritenute d’acconto con riferimento alle prestazioni erogate .
Né risulta in atti che tali ritenute non fossero state versate dal datore di lavoro .
Nel merito della controversia la Commissione Tributaria Regionale non ritiene accertato e provato che le forniture indicate nelle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, ritenute afferenti ad operazioni inesistenti per la parte riferentesi al presumibile costo delle prestazioni del solo lavoratore COGNOME NOME, fossero tali.
Le fatture, infatti, descrivono forniture aventi ad oggetto quantità di materiali utilizzati nell’esecuzione dell’appalto e valorizzati con prezzi unitari al Kg. ed a fronte di tali indicazioni non risulta essere stata effettuata alcuna indagine o ad accertamento sull’esistenza o meno di fatture d’acquisto di tali materiali, di documenti di trasporto o quant’altro potesse chiarire se nel caso di specie la fornitura fosse avvenuta realmente . In tale contesto, a fronte di fatture emesse registrate, e pagate (IVA compresa), di contratti d’appalto sottoscritti tra la ricorrente e le fornitrici, non può ritenersi raggiunta la prova di una fatturazione per operazioni inesistenti con ogni conseguenza in ordine alla deducibilità delle fatture quali costi, della rivalsa IVA ed ai fini della determinazione dell’IRAP.
Propone ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE con un motivo. Resiste la contribuente con articolato controricorso.
4.1. Con requisitoria scritta in data 17 maggio 2024, il Sost. Proc. Gen., in persona della AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, insta per il rigetto del ricorso, osservando, in particolare, che, ‘non essendo stata accertata né l’illiceità di un appalto (non essendo stato instaurato alcun giudizio per l’accertamento della sussistenza di un appalto illecito di manodopera), né l’avvenuto pagamento di compensi ai dipendenti della società appaltatrici cadono anche le contestazioni in ordine alla nullità del contratto di somministrazione con ogni consequenziale statuizione quanto agli obblighi del sostituto di imposta’.
4.2. Alla presente pubblica udienza – cui la causa è stata rinviata giusta ordinanza interlocutoria assunta all’udienza camerale del 22 novembre 2022 per la rilevanza nomofilattica della questione oggetto di giudizio – i Sost. Proc. Gen., nelle persone dei
AVV_NOTAIOri NOME COGNOME e della AVV_NOTAIO.ssa NOME COGNOME, concludono, nuovamente, per il rigetto del ricorso; nessuno compare per le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 27 del D.Lgs. 276/2003, degli artt. 23 e 64 DPR 600/73, degli artt. 5, 5 -bis e 11 D.Lgs. 446/97, dell’art. 19 DPR 633/72 e dell’art. 2697 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.)’.
1.1. ‘La sentenza impugnata, nella parte in cui la CTR ha annullato anche le riprese dell’Ufficio conseguenti alla riqualificazione come forme di interposizione fittizia di manodopera dei contratti di appalto stipulati dalla società contribuente, appare iniziata per violazione e falsa applicazione delle norme in epigrafe’. ‘La CTR ha ritenuto che in base alla disciplina del D.Lgs. 276/2003 non esisterebbe più il principio per cui i lavoratori illegalmente somministrati si considerano, anche ai fini fiscali, alle dipendenze dell’utilizzatore e su tali basi ha quindi annullato le riprese effettuate dall’Ufficio sull’opposto assunto’. ‘Il D.Lgs. 276/2003 contiene, all’art. 21, comma 4, una disposizione sostanzialmente identica a quella contenuta nella legge 1369/1960’. ‘La suddetta norma è sicuramente applicabile alla fattispecie in esame in quanto quelli su cui è caduta la contestazione dell’Ufficio non sono formali contratti di somministrazione di manodopera stipulati con soggetti abilitati ai sensi dell’art. 21 bensì contratti di appalto simulanti forme di somministrazione illegale di manodopera, per i quali pertanto -ove accertato il carattere fittizio dell’appalto (valutazione che la CTR ha del tutto omesso limitandosi ad affermazioni di principio, sebbene, come rappresentato nella parte relativa alla descrizione degli atti impugnati e degli elementi istruttori emersi, forse evidente che la fattispecie controversa non presentava alcuno degli elementi tipici della figura dell’appalto) – la suddetta norma deve trovare applicazione’. ‘Viceversa, la norma
cui sembra fare riferimento la CTR, ovvero l’art. 27, nella parte in cui subordina la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore all’iniziativa del singolo lavoratore, non è di alcun rilievo , dal momento che afferisce ai rapporti di natura privatistica (quelli di lavoro) . Inoltre, erra la CTR laddove, a sostegno della sua tesi, afferma che non ‘risulta in atti che tali ritenute non fossero state versate dal datore di lavoro ‘, dal momento che non spetta all’Ufficio ma al datore di lavoro fornire la prova di ciò. Si sottolinea infine che l’assunto della CTR finirebbe per determinare la sostanziale abrogazione del principio stabilito dall’art. 21, comma 4, D.Lgs. 276/2003’. ‘Anche in punto di IRAP l’assunto sostenuto dalla CTR non è condivisibile’. ‘Posto che prestazioni non sono state rese da una società abilitata a fornire lavoro interinale a mente dell’art. 20 D.Lgs. n. 276/2003, non possono ritenersi prestazioni di servizio deducibili ai fini IRAP. Del resto la riqualificazione dell’appalto in termini di mera prestazione di manodopera configura a tutti gli effetti, per quanto ampiamente esposto, un rapporto di lavoro subordinato tra il committente e la manodopera, con conseguente indeducibilità ai fini IRAP . Analoghe considerazioni valgono per quanto riguarda il comparto impositivo dell’IVA. Per quanto sopra evidenziato, e malgrado i lavoratori in questione possano essere stati utilizzati nell’ambito di (solo formali) contratti di appalto, non risulta incontestabile l’assunto per cui i rilievi in materia di ritenute estendono i loro effetti anche al settore dell’IVA: la ricorrente ha infatti detratto l’IVA esposta nelle fatture emesse dalle società di fatto fornitrici di manodopera, laddove le prestazioni in questione non potevano però rientrare nel campo di applicazione dell’IVA (in quanto costi per personale dipendente), non avendo i relativi requisiti oggettivi e soggettivi ‘.
2. Il motivo è fondato.
Il ‘thema’ oggetto del presente giudizio è trattato in un’ampia sentenza di questa S.C. -Sez. 5, n. 31729 del 07/12/2018 -che ha costituito il presupposto dell’intera giurisprudenza successiva.
3.1. Sez. 5, n. 31729 del 2018, interviene in un caso analogo a quello che ne occupa. Dalla motivazione si apprende infatti che ‘l’RAGIONE_SOCIALE delle entrate notificò alla impresa RAGIONE_SOCIALE. otto avvisi di accertamento, con i quali, in relazione agli anni d’imposta dal 2000 al 2003, recuperò iva, irap e ritenute irpef. Gli avvisi erano scaturiti, nella prospettazione dell’RAGIONE_SOCIALE, dalla ricostruzione dei rapporti intercorsi tra la società in questione e le imprese RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE URAGIONE_SOCIALE d.o.o., E. d.o.o. e T .I. non già come riconducibili a contratti di appalto, bensì come intermediazioni vietate di manodopera; sicché si escluse la detraibilità dell’iva portata dalle fatture emesse dalle sedicenti appaltatrici, e si affermò l’inosservanza dell’obbligo di versamento delle ritenute irpef sui compensi corrisposti dagli imprenditori interposti ai lavoratori che, in realtà, erano da considerare alle dipendenze dell’interponente, ossia, appunto, della impresa RAGIONE_SOCIALE.. Per l’anno d’imposta 2003, inoltre, l’RAGIONE_SOCIALE recuperò a tassazione, ai fini irap, le somme figuranti come compensi corrisposti per taluni dei contratti denominati di appalto e dedotti dalla contribuente’ (p. 2).
3.2. Nel percorso motivazionale in diritto di Sez. 5, n. 31729 del 2018, si distinguono le sorti riguardanti i recuperi dell’IVA e dell’IRAP (ma, ancorché non se ne discutesse in quel giudizio, le relative considerazioni evidentemente sono estensibili anche all’IRES) da quelle riguardanti i recuperi delle ritenute d’acconto.
Per ragioni di chiarezza espositiva, il Collegio seguirà Sez. 5, n. 31729 del 2018, in tale impostazione, anticipando nondimeno che ne riterrà condivisibili conclusioni e (una parte della) motivazione in riferimento ai soli recuperi dell’IVA e dell’IRAP
(oltreché per estensione dell’IRES), mentre non ne riterrà condivisibili né conclusioni né motivazione in riferimento ai recuperi delle ritenute d’acconto.
Per Sez. 5, n. 31729 del 2018, i n riferimento alla prima tipologia di recuperi, a venire in linea di conto, così prima come dopo il D.Lgs. n. 276 del 2003, è esclusivamente la complessiva ‘caratura illecita’ del contratto intercorrente tra l’apparente appaltante e l’apparente appaltatore.
Un tanto vale a legittimare detti recuperi.
Siffatta conclusione, come detto, è condivisa dal Collegio, che fa proprio l’insegnamento espresso dalla massima ‘sub’ Rv. 651778 -01, la quale a sua volta pone l’accento su una parte della motivazione di Sez. 5, n. 31729 del 2018.
Recita dunque la massima (con la sola precisazione che il principio enunciatovi vale sia per l’IVA che anche per l’IRAP e l’IRES):
In tema di divieto d’intermediazione di manodopera, in caso di somministrazione irregolare, schermata da un contratto di appalto di servizi, va escluso il diritto alla detrazione dei costi dei lavoratori per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, non essendo configurabile prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini IVA, senza che possa assumere rilevanza, a riguardo, l’azione giudiziale del lavoratore per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore effettivo, in quanto la conversione del rapporto, di per sé, implica la nullità dei contratti che ne sono oggetto.
5.1. Ad avviso del Collegio, il principio enunciato in massima è centrato, ma con la seguente specificazione:
in caso di somministrazione irregolare, schermata da un contratto di appalto di servizi, l’operazione economica rappresentata da quest’ultimo in realtà non ha avuto obiettivamente luogo tra le parti, che in effetti neppure la volevano: la qual cosa equivale a dire che è mancata la fornitura in sé dei servizi dedotti in contratto ad opera dell’apparente appaltatore, a fronte,
e però anche in ragione, della quale era (fittiziamente) pattuito nei suoi confronti il pagamento del corrispettivo ad opera dell’apparente appaltante. L’inesistenza in sé della prestazione rende radicalmente privo di giustificazione l’esborso dell’apparente appaltante, che, pertanto, in difetto di certezza oltreché di inerenza, non può giovarsene né per detrarre l’IVA né, a fini reddituali, per computarlo in diminuzione sul reddito quale costo sostenuto (ma in realtà non sostenuto come esposto in fattura) per la sua produzione .
5.2. In buona sostanza, rileva l’assorbente profilo della fittizietà delle prestazioni dedotte nello schema dell’appalto, a prescindere dalle vicende sottostanti. Pertanto, non potendosi consentire, secondo i principi generali, né la detrazione dell’IVA né la deduzione dei costi d’impresa sulla base della pura e semplice esposizione dei corrispettivi in fattura pur regolarmente pagati, giacché invece il presupposto è quello della reale (e non fittizia) fruizione delle prestazioni che detti corrispettivi sono volti a remunerare, deve concludersi che, una volta contestata dall’Amministrazione la fittizietà dell’appalto sulla base di una ricostruzione anche presuntiva (la cui logicità e congruenza ai dati di realtà incombe al giudice di merito verificare alla stregua di un’esplicita e compiuta motivazione in fatto), incombe alla parte che pretende di far valere detrazione e deduzione offrire la rigorosa prova contraria di validità ed effettività del contratto d’appalto e della relativa esecuzione, diversamente essendole precluso di giovarsene.
5.3. Siffatti concetti sono accennati, pur con diversità di accenti, anche nella seguente parte della motivazione di Sez. 5, n. 31729 del 2018:
7. -Se l’appalto non si distingue dalla somministrazione giusta l’art. 29, 1° co., del d.lgs. n. 276/03, non è configurabile prestazione
dell’appaltatore imponibile ai fini iva, in relazione all’esecuzione della quale la contribuente ha detratto l’imposta assolta o dovuta e sulla configurabilità della quale insiste in controricorso. Di qui l’esclusione del diritto di detrazione, che scaturisce dall’effettiva realizzazione della prestazione di servizi. Sicché, mancando questa, esso non sorge (Corte giust. 27 giugno 2018, cause C -459 -460/17, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, punto 35); né l’esercizio di esso si estende a un’imposta dovuta esclusivamente perché è menzionata su una fattura (Corte giust. 4 luglio 2013, causa C -572/11, COGNOME biznes reshenia, punto 20).
7.1. -A non diverse conclusioni si perviene riguardando la prestazione come di somministrazione irregolare, e quindi nulla .
Il divieto di dissociazione tra imputazione formale del rapporto di lavoro e utilizzazione effettiva del rapporto comporta che, di là dalle ipotesi di somministrazione regolare, la fornitura di mere prestazioni di lavoro è esclusa dal circuito economico.
-Anche quanto alla pretesa per irap, si diceva, v’è violazione dell’art. 2697 c.c. Ciò perché, nella fattispecie, la pretesa scaturisce dall’esclusione della deducibilità dei costi sostenuti dalla contribuente per le prestazioni dei lavoratori formalmente dipendenti dalle tre società indicate in narrativa, facendo leva sulla configurazione come appalto del rapporto con queste intercorso; di modo che essa dipende pur sempre dalla configurabilità del rapporto tra l’impresa RAGIONE_SOCIALE e, rispettivamente, la U. e la T.I. come appalto genuino. Qualora l’appalto non fosse genuino, i componenti in questione non sarebbero deducibili, indipendentemente dall’iniziativa dei lavoratori volta alla conversione dei rapporti (quanto al periodo successivo all’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/03), per mancanza di certezza, derivante dalla nullità del titolo giuridico da cui scaturisce la relativa obbligazione patrimoniale (vedi ancora Cass. n. 18808/17, cit.). Certezza, predicabile anche in tema di irap, giusta il richiamo dell’art. 5 del d.lgs. n. 446/97 all’art. 2425 c.c. e, per conseguenza, ai requisiti di correttezza e veridicità del bilancio che attengono al risultato economico.
8.1. -Né è prospettabile l’applicazione dell’art. 14, comma 4 -bis, della l. 24 dicembre 1993 n. 537, nella formulazione introdotta con l’art. 8, 1° co., del d.l. 2 marzo 2012 n. 16, come convertito, che implicitamente ammette la deducibilità dei costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività integranti reato contravvenzionale (in termini, Cass., ord. 4 marzo 2013, n. 5342), benché sia ravvisabile nel caso in esame un tale
tipo di reato, giusta l’art. 18 del d.lgs. n. 276/03. E ciò a causa ancora della mancanza di certezza dei costi, comunque necessaria ai fini dell’applicazione della disposizione (in termini, fra varie, Cass. 20 aprile 2016, n. 7896).
5.4. Tanto rilevato, v’è solo da aggiungere che il superiore principio ‘sub’ Rv. 651778 -01 in tema di IVA, IRAP ed estensivamente IRES, in sé e per sé considerato, al netto cioè delle sfumature linguistiche utilizzate ed altresì, talvolta, delle giustificazioni volte a sorreggerlo, appartiene ormai al patrimonio della giurisprudenza di legittimità.
5.4.1. Anzitutto, si trova confermato tal quale in Sez. 5, n. 32185 del 10/12/2019, Rv. 656016 -01.
5.4.2. Inoltre,
-con riguardo all’IVA, Sez. 5, n. 34876 del 17/11/2021, Rv. 663136 -01, ribadisce che,
in caso di somministrazione irregolare, schermata da un contratto di appalto di servizi, va escluso il diritto alla detrazione dei costi dei lavoratori per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, non essendo configurabile prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini IVA ;
-con riguardo all’IRAP, Sez. 5, n. 7440 del 08/03/2022, Rv. 664129 -01, ribadisce che
in caso di somministrazione irregolare, schermata da un contratto di appalti di servizi, va escluso il diritto alla detrazione dei costi dei lavoratori per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, per non essere configurabile prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini Irap, né può assumere rilevanza l’azione giudiziale dei lavoratori per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore effettivo, in quanto la conversione del rapporto, di per sé, implica la nullità dei contratti che ne sono oggetto.
5.4.3. A mo’ di completamento, deve poi richiamarsi Sez. 5, n. 12807 del 26/06/2020, Rv. 658043 -01, la quale , afferma che,
in tema di divieto d’intermediazione di manodopera, l’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003 distingue il contratto di appalto dalla somministrazione irregolare di lavoro in base all’assunzione, nel primo, del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore ed all’eterodirezione dei lavoratori utilizzati, la quale ricorre quando l’appaltante -interponente non solo organizza, ma dirige anche i dipendenti dell’appaltatore rimanendo sull’interposta solo compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa sicché, nel caso di appalto non genuino, non sussiste alcun valido contratto di appalto e il rapporto di somministrazione di lavoro, apparentemente instaurato con l’appaltatrice, è nullo con conseguente impossibilità di detrarre l’IVA da parte della società contribuente.
5.5. Ora, tornando al caso di specie, in relazione ai recuperi diversi dalle ritenute, la CTR, come correttamente denunciato dall’RAGIONE_SOCIALE nel motivo, ha in sostanza ricusato di compiere l’indagine fattuale cui, invece, quale giudice di merito, era precipuamente tenuta, omettendo di verificare (al di là di formulazioni generiche, prive di riferimenti ad atti e fatti e quindi immotivate) convergenza e concludenza degli elementi di fatto addotti dall’RAGIONE_SOCIALE a supporto dell’affermazione di ricorrenza di un’ipotesi di appalto fittizio, al cospetto dei quali sarebbe stato onere della contribuente, e non certo dell’RAGIONE_SOCIALE, come invece opinato dalla CTR, fornire la prova, nei termini anzidetti, della detraibilità dell’IVA e della deducibilità dei costi ai fini delle ii.dd.
Il secondo binario del percorso motivazionale di Sez. 5, n. 31729 del 2018, è dedicato ‘funditus’ alla questione delle ritenute.
6.1. Seguendo il medesimo schema, in appresso, si procederà a trattare di queste, fermo tuttavia che, come anticipato, ‘in parte qua’, il Collegio non condivide né conclusioni né motivazione di Sez. 5, n. 31729 del 2018.
6.2. Il principio enunciato dalla massima di Sez. 5, n. 31729 del 2018 (‘sub’ Rv. 651778 -02), è nel senso che,
nell’ipotesi di violazione del divieto d’intermediazione di manodopera, occorre distinguere il regime antecedente all’abrogazione della l.n. 1369 del 1960 da quello successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276
del 2003, poiché l’obbligo di ritenuta sui redditi di lavoro dipendente postula, da un lato, l’instaurazione del rapporto di lavoro su domanda del lavoratore, e dall’altro, i mancati pagamenti del somministratore, l’omessa costituzione del rapporto di lavoro su iniziativa dei lavoratori, nei casi prescritti dall’art. 27 del detto decreto, impedisce comunque l’insorgenza in capo all’interponente dell’obbligo di operare le ritenute.
Il principio deve essere letto in uno alla motivazione (p. 15), a termini della quale:
11.5. -.
La configurabilità dell’obbligo di ritenuta e, quindi, della sostituzione d’imposta implica l’instaurazione del rapporto di lavoro, in virtù del quale il datore di lavoro assume la qualità di sostituto dei lavoratori sostituiti.
Poiché, tuttavia, nelle ipotesi di appalto non genuino, perché sia costituito il rapporto di lavoro alle dipendenze dell’interponente occorre l’iniziativa giudiziale del lavoratore, in base all’art. 29 del d.lgs. n. 276/03, che richiama sul punto il 2° comma del precedente art. 27, in mancanza di tale iniziativa nessun rapporto di lavoro s’instaura e, quindi, nessuna sostituzione si configura. Per conseguenza, nessun obbligo di ritenuta insorge in testa all’interponente (diversamente da quanto, invece, affermato da Cass., ord. n. 19966/18).
11.6. -Giova inoltre precisare che, quand’anche si fossero instaurati i rapporti di lavoro per effetto delle iniziative giudiziali a tanto volte, comunque sarebbe occorso accertare che non vi fossero stati pagamenti da parte degli interposti, in base all’art. 27, 2° co., del d.lgs. n. 276/03, richiamato dall’art. 29, a norma del quale «nelle ipotesi di cui al comma 1 tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione» (ne fa applicazione, in particolare, Cass., sez. un., n. 2990/18, cit.).
6.2.1. Più di recente, nello stesso senso, è stato detto (cfr. Sez. 5, n. 10966 del 09/06/2020, Rv. 657878 01) che,
in tema di Irpef, quando il contratto di appalto non si distingue da quello di somministrazione di lavoro, l’utilizzatore della prestazione lavorativa non è automaticamente datore di lavoro della manodopera utilizzata né è gravato dai relativi obblighi, tra cui l’effettuazione delle ritenute d’acconto ex art. 23 del d.P.R. n. 600 del 1973, ma lo diviene soltanto se e quando il lavoratore abbia esercitato con esito positivo l’azione costitutiva del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 29, comma 3 -bis, del d.lgs. n. 276 del 2003, in quanto essa condiziona l’insorgere, in capo all’imprenditore interponente, degli obblighi in materia economica costituenti il presupposto dell’obbligo di effettuazione e versamento delle ritenute d’acconto. (Nella specie, si trattava di ritenute Irpef su compensi dovuti a lavoratori impiegati da imprenditore interponente).
6.3. A fronte delle posizioni di Sez. 5, n. 31729 del 2018, in termini opposti opina Sez. 5, n. 19966 del 18/05/2018, la quale, in motivazione (p. 2 ss.), con specifico riguardo alle ritenute, scrive:
Nella vigenza della disciplina introdotta con l’art. 1, ult. co., della l. n. 1369 del 1960, in tema di divieto d’intermediazione di manodopera, i lavoratori occupati erano considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore appaltante o interponente, effettivo utilizzatore delle prestazioni. Su di esso pertanto si ritenevano incombenti gli obblighi di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali e quelli fiscali. Ne conseguiva che a suo carico gravavano anche gli obblighi del sostituto d’imposta, di cui all’art. 23 del d.p.r. n. 600 del 1973 per le ritenute d’acconto sulle retribuzioni (cfr. Cass., sent. n. 13748 del 2013). Il fondamento di queste conclusioni era costituito dalla considerazione che la nullità del contratto fra committente ed appaltatore (o intermediario) e la previsione normativa -secondo cui i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni -implicava che solo sull’appaltante (o interponente) si riversasse ogni conseguenza del rapporto di lavoro, escludendosi la configurabilità di una concorrente responsabilità dell’appaltatore (o interposto) in virtù dell’apparenza del diritto e della titolarità del rapporto di lavoro, stante la rilevanza RAGIONE_SOCIALE degli interessi ad esso sottesi. Pertanto in tale ipotesi la giurisprudenza non ha mai ritenuto configurabile alcuna violazione del principio di doppia imposizione, poiché comunque l’effettivo datore di lavoro era tenuto
all’adempimento degli obblighi propri del sostituto d’imposta (Cass., sent. n.22020 del 2014; sent. n. 3795 del 2013).
Il quadro peraltro non è mutato con la riforma introdotta con il d.lgs. n. 276 del 2003, disciplina applicabile al caso di specie perché in vigore al momento del compimento dei fatti accertati. Al riguardo questa Corte, con interpretazione condivisa da questo collegio e a cui si intende dare continuità, ha affermato che pur dopo l’introduzione della nuova disciplina il contratto di somministrazione di manodopera irregolare, schermato da quello di appalto di servizi, incorre in nullità, che conforma anche la sorte del contratto tra lavoratore e somministratore, a nulla rilevando che lo stesso lavoratore, mediante ricorso giudiziale ex art. 414 c.p.c., abbia agito per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore effettivo della prestazione, sul quale soltanto gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo, nonché fiscale, scaturenti dal detto rapporto (Cass., ord. n. 18808 del 2017). Si è in particolare chiarito che il d.lgs. n. 276 del 2003 non ha eliminato la figura della somministrazione irregolare di manodopera, già vietata dall’art. 1 della I. n. 1369 del 1960, in armonia con la permanenza di principi di rango costituzionale volti a collegare al rapporto di lavoro subordinato e soltanto ad esso una serie di posizioni di vantaggio (Cass., Sez. U, sent. n. 22910 del 2006, riferibile alla novella del 2003). D’altronde il Legislatore non avrebbe potuto fare scelte diverse, considerato che nella legge delega n. 30 del 2003 era prevista la «…6) conferma del regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro, prevedendo altresì specifiche sanzioni penali per le ipotesi di esercizio abusivo di intermediazione privata nonché un regime sanzionatorio più incisivo nel caso di sfruttamento del lavoro minorile».
Peraltro, analizzando anche la disciplina tributaria, riguardo alle “ritenute sui redditi di lavoro dipendente”, il d.p.r. 600/73, all’art. 23 stabilisce che coloro i quali «…corrispondono somme e valori di cui allo stesso Testo Unico d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 48, devono operare all’atto del pagamento una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa». Aggiunge che, «nel caso in cui la ritenuta da operare sui predetti valori non trovi capienza, in tutto o in parte, sui contestuali pagamenti in denaro, il sostituito è tenuto a versare al sostituto l’importo corrispondente all’ammontare della ritenuta». Se i lavoratori intermediati sono considerati per legge dipendenti dell’imprenditore appaltante o
interponente, a costui devono incombere tutti gli obblighi, compreso quello di provvedere alle ritenute d’acconto, dirette ad agevolare non solo la riscossione ma anche l’accertamento degli obblighi del percettore del reddito. Si è pertanto detto che il sistema della ritenuta d’acconto non può che conformarsi al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro generatore dell’obbligo tributario e ‘se non può esservi che un solo datore di lavoro, l’interponente, non può che esservi un solo sostituto d’imposta quale datore di lavoro (sent. n. 22020 cit.). Diversamente opinando resterebbero fuori dal sistema proprio i casi d’intermediazione e d’interposizione vietate. D’altronde il sostituto d’imposta è debitore verso il Fisco, poiché è un obbligato con specifiche responsabilità e diritti, con riferimento alla ritenuta d’acconto, come peraltro evincibile dagli artt. 64 del d.P.R. n. 600 cit. nonché dall’art. 35 del d.P.R. n. 602 del 1973 .
6.3.1. L’elemento degno di rilievo è il richiamo, contenuto in Sez. 5, n. 19966 del 2018, a Sez. 5, n. 18808 del 28/07/2017, la cui massima (‘sub’ Rv. 645451 -01), confermata da Sez. 6 -5, n. 28953 del 12/11/2018, Rv. 651835 -01), recita:
Pur dopo la riforma di cui al d.lgs. n. 276 del 2003, il contratto di somministrazione di manodopera irregolare, schermato da quello di appalto di servizi, incorre in nullità, che conforma anche la sorte del contratto tra lavoratore e somministratore, a nulla rilevando che lo stesso lavoratore, mediante ricorso giudiziale ex art. 414 c.p.c., abbia agito per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore effettivo della prestazione, sul quale soltanto gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo, nonché fiscale, scaturenti dal detto rapporto. Ne deriva che la fatturazione delle prestazioni rese da parte del somministratore non legittima la detrazione dell’IVA ad esse relativa.
6.3.2. Il principio di diritto di Sez. 5, n. 18808 del 2017, che sunteggia fedelmente la motivazione (par. 2, p. 3), non reca riferimenti alla fattispecie, relativa tuttavia ad un caso di recuperi, soltanto, dell”iva illegittimamente detratta e la maggiore irap dovuta’ (‘fatti di causa’, p. 2).
6.3.3. Sez. 5, n. 31729 del 2018, riprende, a sua volta, in motivazione (p. 10 ss.), Sez. 5, n. 18808 del 2017 (in passaggi che
precedono quelli dianzi riprodotti e condivisi dal Collegio), tuttavia solo con riguardo ad IVA ed IRAP, osservando:
-Erronee sono le statuizioni della sentenza impugnata che fanno gravare sull’Amministrazione l’onere probatorio, sia in relazione all’iva, sia con riguardo all’irap .
5.1. -Per il periodo successivo all’entrata in vigore del d.lgs. 276/03, peraltro, resta il divieto d’intermediazione di manodopera (‘sub specie’ di somministrazione irregolare) in armonia con i principi costituzionali volti a collegare al rapporto di lavoro subordinato e soltanto a esso una serie di posizioni di vantaggio .
5.2. -Al cospetto di appalto non genuino, dunque, opera il divieto di dissociazione tra imputazione formale del rapporto di lavoro e utilizzazione effettiva della prestazione lavorativa (Cass. n. 27213/18, cit.); il che ridonda nella nullità del contratto, che conforma anche la sorte di quello fra lavoratore e somministratore e incide ai fini dell’iva e dell’irap (in termini, Cass., ord. 28 luglio 2017, n. 18808; conf., ordd. 17 gennaio 2018, n. 938; 27 luglio 2018, n. 19966 e 12 novembre 2018, n. 28953).
5.3. -Irrilevante, in particolare, è la richiesta del lavoratore, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., di costituire il rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione.
-Non può quindi essere condiviso, per quest’aspetto, il diverso orientamento espresso da questa Corte (con sentenza 11 dicembre 2015, n. 25014; conf., ord. 15 marzo 2017, n. 6722), la quale, facendo leva sull’art. 27 del d.lgs. n. 276/03 (richiamato, in tema di appalto, dall’art. 29, comma 3 -bis, del medesimo decreto), ha sostenuto che, poiché non è più prevista per legge l’instaurazione del rapporto di lavoro fra lavoratore e committente/appaltante o utilizzatore, la fatturazione delle prestazioni rese da parte della ditta intermediaria, in mancanza d’instaurazione del rapporto su domanda del lavoratore, sia sufficiente a legittimare la detrazione dell’iva relativa; parimenti, l’efficacia della fatturazione consentirebbe la deduzione dei costi fatturati ai fini delle imposte dirette e dell’irap.
6.1. -Il ricorso che il lavoratore propone «quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1» (art. 29, comma 3 -bis) mira a ottenere la conversione nel contratto di lavoro con chi si è giovato delle sue prestazioni; e la conversione, di per sé, postula la nullità dei contratti che ne sono oggetto, in particolare di quello tra interponente e interposto, che può essere fatta valere da chi ne abbia
interesse, quindi anche dal fisco, nonché rilevata d’ufficio. Benché il legislatore discorra di costituzione del rapporto, la circostanza che l’azione possa essere esperita anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore esclude in radice che quella prevista sia un’ipotesi di annullabilità anziché di nullità (Cass. 1 agosto 2014, n. 17540).
D’altronde l’azione di accertamento del fisco, terzo rispetto ai rapporti scaturenti dall’appalto stipulato in violazione di quanto previsto dall’art. 29, 1° co., del d.lgs. n. 276/03, nel testo vigente all’epoca dei fatti, non può dipendere dalla scelta, individuale e imponderabile, del lavoratore di promuovere, o no, l’azione per la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del datore di lavoro interponente, almeno nei casi in cui l’instaurazione del rapporto e dei correlativi obblighi non si atteggi a presupposto impositivo.
6.3.4. Ora, l’elemento di complicazione sta in ciò che, come visto, relativamente alle ritenute, Sez. 5, n. 31729 del 2018, prende invece apertamente le distanze da Sez. 5, n. 19966 del 2018.
6.4. In siffattamente composito quadro giurisprudenziale, ritiene il Collegio di affermare il principio per cui,
in caso di appalto di servizi meramente fittizio, l’appaltante, in quanto utilizzatore della prestazione lavorativa dei dipendenti dell’appaltatore, assume l’effettiva qualità di datore di lavoro ed è pertanto gravato dai relativi obblighi, tra cui l’effettuazione delle ritenute d’acconto ex art. 23 del d.P.R. n. 600 del 1973, indipendentemente dall’avere o meno il singolo lavoratore esercitato, con esito positivo, l’azione ex art. 29, comma 3 -bis, D.Lgs. n. 276 del 2003, ‘ratione temporis’ vigente, volta al riconoscimento del rapporto di lavoro direttamente con l’appaltante.
6.5. Per comprendere le ragioni di tali conclusioni attinte dal Collegio, alla luce di una prospettiva tuttavia non (o quantomeno non pienamente) coincidente con quella di Sez. 5, n. 19966 del 2018), occorre principiare dalla considerazione (peraltro ricorrente
in dottrina) a termini della quale l’art. 29, comma 3 -bis, D.Lgs. n. 276 del 2003 replica, in riferimento all’ambito dell’ipotesi di indistinguibilità tra appalto e somministrazione di lavoro (cfr. il comma 1: ‘ il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro ‘), la previsione dell’art. 27, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003, in riferimento all’ipotesi della somministrazione irregolare.
6.6. Per vero, ragionando ‘a contrario’, l’art. 27, comma 1 ma anche 2 (come subito si vedrà), D.Lgs. n. 276 del 2003 costituisce la matrice della regolamentazione dei fenomeni ‘lato sensu’ interpositori, il cui insieme conta, oltreché la somministrazione, l’appalto ed altresì il distacco, in riferimento al quale pure l’art. 30, commi 1 e 4 -bis, D.Lgs. n. 276 del 2003 riprende l’art. 27, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003.
6.6.1. La conferma di un’omogeneità di disciplina è offerta dalla considerazione che sia l’art. 29, comma 3 -bis, quanto all’appalto, che l’art. 30, comma 4 -bis, quanto al distacco, rendono applicabile, in ipotesi di ricorso giudiziale del lavoratore per il riconoscimento del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, l’art. 27, comma 2, D.Lgs. n. 276 del 2003, secondo cui ‘tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione’.
In buona sostanza, a dispetto di un equivoco riferimento alla ‘ costituzione ‘ del rapporto con l’utilizzatore contenuto negli artt. 27, comma 1, 29, comma 3 -bis, e 30, comma 4 -bis, D.Lgs. n. 276
del 2003 quale oggetto del ricorso del lavoratore ex art. 414 cod. proc. civ., l’utilizzatore è considerato ‘ex lege’ il solo datore di lavoro in luogo del somministrante, con conseguente imputazione al primo degli atti ‘medio tempore’ – notasi: effettivamente, validamente ed efficacemente -compiuti da quest’ultimo, in conformità alla retroattività dell’instaurazione del rapporto, che ‘expressis verbis’ prende ‘effetto dall’inizio della somministrazione’. Ciò, tuttavia, con esclusione – almeno quanto all’art. 27, comma 3, D.Lgs. n. 276 del 2003 – del licenziamento, in quanto l’art. 80 -bis d.l. n. 34 del 2020 – aggiunto dalla legge di conversione n. 177 del 2020 e rubricato: ‘Interpretazione autentica del comma 3 dell’articolo 38 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81’ (che ha sostituito l’art. 27, comma 3, D.Lgs. n. 276 del 2003) – stabilisce che fra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro compiuti o ricevuti dal somministrante ed imputati all’utilizzatore ‘non è compreso il licenziamento’.
6.7. Nel prosieguo dell’esposizione, si analizzerà dapprima l’art. 27, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003, dappoi l’art. 29, comma 3 -bis D.Lgs. n. 276 del 2003.
6.8. L’art. 27, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003, prevedeva che,
quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione.
6.8.1. L’art. 27, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003 aveva riguardo, come del resto reso trasparente dalla relativa rubrica, alle sole ipotesi di ‘somministrazione irregolare’: una somministrazione, dunque, esistente e produttiva di effetti, ma
‘irregolare’; un’irregolarità ‘sub specie’ di illiceità attenuata: non tale da inficiare, e viepiù porre nel nulla, il contratto, sebbene sufficiente a consentire al lavoratore di segnarne le sorti, decidendo se, in base al principio dell’effettività della prestazione, instaurare il rapporto di lavoro con il datore di lavoro nei confronti del quale si sono in fatto manifestati gli indici della subordinazione, ossia l’utilizzatore, ai sensi degli artt. 2086 ed 2094 cod. civ.
6.8.2. L’art. 27, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003, non aveva riguardo alle ipotesi di somministrazione nulla, tra le quali, in particolare, quella di somministrazione nulla per difetto di forma, di per sé disciplinata, in termini affatto differenti, dall’art. 21, comma 4, D.Lgs. n. 276 del 2003, secondo cui, a seguito dell’interpolazione operata dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2004, che ha soppresso le parole: ‘, con indicazione degli elementi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1,’, in mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore.
6.8.2.1. A commento di questa previsione notasi che,
-per un verso, le indicazioni dell’art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), D.Lgs. n. 276 del 2003, sono fuoriuscite dal necessario contenuto scritto del contratto di somministrazione per assumere rilievo (esclusivamente) sotto il profilo sostanziale, quali condizioni, cioè, la cui violazione legittima il lavoratore all’azione per il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato con l’utilizzatore, peraltro in un composito costrutto normativo di limitata concludenza: infatti, sfugge ‘quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori’ di un non prefissato obbligo contrattuale di indicare il ‘numero dei lavoratori da somministrare’ , la ‘presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate e la decorrenza e la durata ‘del contratto di somministrazione’ , residuando
soltanto l’afferrabilità dei concetti di somministrazione in difetto (più che degli estremi) dell’autorizzazione (in sé) ‘rilasciata al somministratore’ e delle ‘ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui al comma 3 dell’articolo 20’, a proposito della somministrazione a tempo determinato ;
-per altro verso, la forma scritta è un requisito aggiuntivo rispetto alla disciplina dei contratti – prescritto dal legislatore ormai, peraltro, come visto, senza vincoli di contenuti -specificamente per il contratto di somministrazione, ragion per cui il suo difetto determina per ciò solo la nullità del contratto.
6.8.3. Ma il difetto della forma scritta ‘ad substantiam’ non esaurisce le ipotesi di nullità del contratto di somministrazione, segnatamente allorquando questo abbia causa illecita: talché, se, così per le ipotesi ordinarie, tra cui la causa illecita, come per l’ipotesi di difetto di forma scritta ‘ad substantiam’, si ragiona di nullità, la conseguenza non può essere che quella – comune (ossia sempre identica) – per cui ‘i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore’.
In buona sostanza, nelle ipotesi di nullità del contratto di somministrazione, ‘i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore’: ciò che risponde all’autoritatività dell’art. 2094 cod. civ.
6.8.4. Un tanto rimarca una selettiva, e concettualmente radicale, diversità di ambito qualificatorio, e per l’effetto disciplinare, rispetto alla ‘somministrazione irregolare’, al quale ultimo soltanto pertiene il meccanismo dell’instaurazione del rapporto di lavoro ad esclusiva iniziativa del lavoratore (nel contesto di un rapporto processuale in cui la valutazione del giudice pur di merito è significativamente circoscritta a meri riscontri ‘esterni’ ex art. 27, comma 3, D.Lgs. n. 276 del 2003, posto che, ‘ai fini della valutazione delle ragioni di cui all’articolo 20, commi 3
e 4, che consentono la somministrazione di lavoro il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento della esistenza delle ragioni che la giustificano e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all’utilizzatore’).
6.9. Quanto sopra per la somministrazione.
6.10. Sul versante dell’appalto, l’art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003, -al comma 1 prevede che,
ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa;
-al comma 3 -bis prevede che,
quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’articolo 27, comma 2.
6.11. In ragione del comma 1, il contratto di appalto si distingue da quello di somministrazione allorquando l’appaltatore esercita il potere di ‘organizzazione dei mezzi necessari’ impiegati nell’esecuzione della prestazione, fermo restando che questo potere ‘può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dal esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto’, e (‘nonché’) sopporta il ‘rischio d’impresa’.
6.11.1. In generale, il comma 1 riprende l’art. 1655 cod. civ., d’altronde espressamente richiamato, secondo cui, giust’appunto, il
contratto d’appalto ha come sinallagma la prestazione di un’opera, con organizzazione dei mezzi ed assunzione del rischio verso il pagamento di un corrispettivo in danaro; tuttavia, in concreto, esso, nel consentire che, ‘in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto’, il potere di ‘organizzazione dei mezzi necessari’ possa consistere anche semplicemente nel ‘potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori’, attenua il concetto prestazionale dell’art. 1655 cod. civ., siccome riferito ad un’opera, identificando il nucleo minimo della prestazione dell’appaltatore nell’asservimento di un nucleo organizzato di energie lavorative alle esigenze dell’appaltante.
In considerazione di ciò, l’appalto ha (può avere) ad oggetto (più che la manodopera in sé e per sé) il risultato organizzativo della manodopera (nel linguaggio commerciale potrebbe dirsi: ‘un pacchetto ‘organizzato’ di manodopera’) in funzione, segnatamente, del servizio commissionato dall’appaltante.
6.11.2. Pertanto, rispetto all’appalto, la novità del D.Lgs. n. 276 del 2003 rispetto alla l. n. 1369 del 1960 consiste nell’ammissibilità dell’esternalizzazione, ossia dell’approvvigionamento in ‘outsourcing’, di un frammento organizzativo dell’attività d’impresa, riguardante un tassello di organizzazione della manodopera. in funzione di finalità del ciclo produttivo del committente.
6.12. Nell’art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003, la necessità di perimetrazione dell’appalto dalla somministrazione sotto lo specifico profilo dell”esercizio’, da parte dell’appaltatore, ‘del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati’ discende da ciò che, quanto, invece, alla somministrazione, direzione e controllo, del tutto lecitamente (nella rivoluzione storico -concettuale del D.Lgs. n. 276 del 2003), pertengono di per sé all’utilizzatore (cfr. art. 20, comma 1, primo periodo, D.Lgs. n. 276 del 2003, anch’esso peraltro abrogato
dall’art. 55 D.Lgs. n. 81 del 2015: ‘Per tutta la durata della missione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore’).
6.13. In altre parole, il D.Lgs. n. 276 del 2003, come ammette figure lecite di somministrazione di manodopera, identicamente ammette figure lecite di appalto di organizzazione di manodopera.
6.14. Ora, la ‘violazione’ del comma 1 dell’art. 29 D.Lgs. n. 276 del 2003, cui si riferisce il comma 3 -bis, è quella relativa ad un appalto in cui l’appaltatore non assume (pur avendo una struttura in grado di farlo) l”organizzazione dei mezzi necessari’, eventualmente, con particolare riguardo ai contratti endoaziendali ed in particolare ‘labour intensive’, anche solo ‘sub specie’ dell’esercizio del ‘potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori’, ovvero (il ‘nonché’ del comma 1 indica un requisito cumulativo: cfr. Sez. L., n. 17627 del 17/05/2023, in motiv., par. 7, p. 5) non sopporta (pur avendo le potenzialità economiche) il ‘rischio d’impresa’: i.e., l’appaltatore, di per sé dotato di una struttura astrattamente funzionale all’esercizio di un’autonoma attività d’impresa, nei concreti rapporti con l’appaltante, non si atteggia, sotto i profili organizzativo od economico, a soggetto dal medesimo imprenditorialmente distinto, ma assume le vesti di un suo ‘collaboratore’, approssimabile a mandatario.
Nell’ottica che si va esponendo, emerge una linea di continuità con la l. n. 1369 del 1960, il cui art. 1, comma 5, riconnetteva infatti all”effettiva utilizzazione’ della prestazione del lavoratore l’imputazione coattiva del rapporto per il fatto dell’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale dell’appaltante in difetto di un sufficiente indice di imprenditorialità dell’appaltatore.
6.15. Il comma 3 parla di ‘violazione di quanto disposto dal comma 1’.
Trattasi di un’espressione segnata da un’inappropriata sfumatura di marca sanzionatoria implicita nell’uso del termine
‘violazione’; tuttavia, nell’indiscutibile obiettività della formulazione normativa, che non contempla sanzioni, il ‘contratto di appalto stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1’ è solo esulante dallo schema del comma 1, ma non più (rispetto alla l. n. 1369 del 1960) automaticamente illecito: la qual cosa, nei contratti ‘labour intensive’, può accadere sia nel caso in cui l’appaltatore conservi il rischio d’impresa, ma non eserciti il, o perda nel tempo l’esercizio del, ‘potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori’, sia nel caso in cui l’appaltatore eserciti siffatto potere, ma, parametrando il corrispettivo dell’appalto al costo della manodopera, dismetta il rischio economico, consentendo che l’appaltante si appropri della produttività marginale dell’organizzazione del lavoro.
6.16. E dunque, ‘quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1’, ossia, per quanto appena detto, non ricorrendo, più semplicemente, le condizioni del comma 1, il lavoratore alle dipendenze dell’appaltatore, affiorando indici di subordinazione all’appaltante, può ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, sulla base del principio di effettività delle prestazioni rese direttamente nei suoi confronti (comma 3 -bis) (s i rammenti, ‘mutatis mutandis’, quanto osservato in motivazione da Sez. U, n. 2517 del 21/03/1997, Rv. 503169 -01, par. 3: ‘È sufficiente, per realizzare la fattispecie legale , una situazione effettiva, di lavoro prestato a favore e sotto il potere direttivo del datore interponente, destinata a prevalere sulla situazione formale, costituita dal contratto stipulato con l’assuntore, restando così esclusa ogni rilevanza di un intento fraudolento delle parti. La più recente dottrina pone in luce la portata puramente oggettiva del divieto, ossia la non necessità di un intento negoziale delle parti avente ad oggetto l’interposizione di persona fra imprenditore e prestatore di
lavoro, ed afferma la ravvisabilità di un rapporto, fra assuntore e lavoratore, ‘contra legem’, negando quello ‘in fraudem legis”).
Tale potestà del lavoratore ha come antecedente logico l’indistinguibilità, dalla sua prospettiva, della figura datoriale, in assenza – ora, ‘post’ D.Lgs. n. 276 del 2003 – di un’obiettiva causa giustificatrice sostanziata da un contratto d’appalto di organizzazione di manodopera avente i requisiti dell’art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003: nella sua prospettiva di soggetto pienamente inserito (oltreché impiegato) nella realtà aziendale dell’appaltante, di fatto, all’appaltatore (per cui lavora formalmente) si sovrappone l’appaltante (per cui lavora sostanzialmente), con la possibilità di perdere diritti sotto il duplice profilo economico e normativo (cfr. ancora, poco oltre rispetto al brano testé riportato, Sez. U, n. 2517 del 1997), ragion per cui, in una novella ottica contrattualistica contrapposta a quella istituzionalistica ex l. n. 1369 del 1960, gli è rimessa la potestà di veder instaurato nei confronti dell’appaltante, anziché di veder confermato nei confronti dell’appaltatore, il rapporto di lavoro.
6.17. Il contratto tra appaltante ed appaltatore è tuttavia valido, tant’è che il ricorso del lavoratore ex art. 414 cod. proc. civ. può essere ‘notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione’, sicché non è affatto prevista la necessaria declaratoria di nullità di detto contratto ai fini del travolgimento, altresì, del contratto di lavoro subordinato tra appaltatore e lavoratore .
6.18. Rispetto alle ipotesi sin qui descritte, che esibiscono purtuttavia una sostanza reale, od effettiva (donde, nuovamente, il parallelismo con il comma 5 dell’art. 1 l. n .1369 del 1960: ‘I prestatori di lavoro sono considerati alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni’), in grado di eventualmente evolvere in forme qualificatorie diverse da quelle poste dalle parti (con particolare riguardo alla somministrazione, di cui dovranno semmai essere saggiati i requisiti anche formali di validità nei termini anzidetti), diversa è quella in cui il contratto di appalto è meramente fittizio, per l’originaria e totale indisponibilità, in capo all’appaltatore, di alcuna struttura aziendale e di alcuna attitudine allo svolgimento di un’attività d’impresa, entro il cui alveo dovrebbero trovar spazio, ma in via solo assertiva, in radicale difetto di effettività, la realizzazione dell’opera o l’espletamento dei servizi commissionati dall’appaltante.
6.19. L’appaltatore non assume l”organizzazione dei mezzi necessari’ perché ‘a monte’ non ha una struttura in grado di farlo: con particolare riguardo ai contratti ‘labour intensive’, non esercita il ‘potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori’ perché, ‘a monte’, alla luce di un’analisi spettrale del soggetto imprenditoriale, che è compito del giudice di merito effettuare, non ha (e spesso non ha mai avuto) la strutturata disponibilità di lavoratori, da organizzare e dirigere.
L’appaltatore non sopporta il ‘rischio d’impresa’ perché, ‘a monte’, non ha (e spesso non ha mai avuto) le potenzialità economiche.
6.20. In tali condizioni, l’appaltatore non può essere considerato neppure come una sorta di collaboratore o mandatario dell’appaltante, alla stregua delle ipotesi di cui all’art. 29, comma 3 -bis, D.Ls. n. 276 del 2003, in cui la fenomenica alterità tra appaltatore ed appaltante si scioglie nella perdita di autonomia del
primo, avviluppato nell’orbita aziendale del secondo; l’appaltatore è un non -appaltatore, nel senso che non è un soggetto contrattuale, perché, ‘a monte’, il contratto di appalto è un non -contratto. Il contratto di appalto non è affatto tale, in quanto non esiste né nella volontà dei contraenti né nella realtà dei fatti: i contraenti, ‘in fraudem legis’, si sono accordati per far figurare un appalto che non appartiene ai loro programmi e che non riceverà mai, da parte loro, alcuna esecuzione, avendone creato l’apparenza solo per mascherare la realtà di un rapporto di lavoro ‘funditus’ corrente tra appaltante e lavoratore.
6.21. Il contratto di appalto è radicalmente ed insanabilmente nullo ed improduttivo di effetti, siccome fittiziamente preordinato a violare l’art. 2094 cod. civ., che, in dimensione sistemica, (ri)acquisisce una valenza precettiva assorbente al di là del divieto di scissione tra datore di lavoro e beneficiario della prestazione lavorativa (ricavato, quest’ultimo, prima della l. n. 1369 del 1960, dalla l. n. 264 del 1949 sul collocamento obbligatorio e dall’art. 2117 cod civ. sul divieto d’interposizione nel lavoro a cottimo, ma, come visto, in linea di principio, infranto dalla cd. liberalizzazione del mercato del lavoro realizzata dal D.Lgs. n. 276 del 2003).
La nullità del contratto di appalto si trascina seco quella del contratto di assunzione tra appaltatore e lavoratore, lasciando affiorare la realtà di un rapporto immediato e diretto tra questi e l’appaltante, cui conseguentemente deve imputarsi il corrispondente contratto di lavoro.
E, poiché di nullità si verte, la stessa ben può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, Amministrazione fiscale compresa, segnatamente ai fini del recupero delle ritenute dall’effettivo datore di lavoro, ossia l’appaltante, in perfetta coerenza con la disciplina propriamente fiscale, nei termini rilevati da Sez. 5, n. 19966 del 2018.
6.22. In definitiva, la CTR non si è attenuta agli enunciati principi.
In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va annullata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli -Venezia Giulia, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 11 giugno 2024.