Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15522 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15522 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME SALVATORE
Data pubblicazione: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1689/2017 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in INDIRIZZO, è domiciliata
– controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA n. 3853/2016 depositata il 29/06/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2024 dal
Consigliere SALVATORE COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano accoglieva i ricorsi proposti dal contribuente avverso gli avvisi di accertamento notificatigli dall’erario ai fini del recupero dei maggiori importi dovuti a titolo di Ires, Iva e Irap, relativamente agli anni 2011 e 2012; gli atti impositivi venivano annullati in ragione della mancata allegazione del processo verbale di constatazione e dell’omessa prova, da parte dell’ufficio, dell’assunzione ad opera di NOME COGNOME della qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE Il successivo appello dell’RAGIONE_SOCIALE è stato accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, la quale ha valorizzato l’omessa impugnazione da parte del curatore del fallimento anzidetto degli avvisi di accertamento nonché la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti circa lo svolgimento, da parte di NOME COGNOME dell’attività di amministratore di fatto della società fallita, svolgimento evincibile dai rapporti intrattenuti con clienti e fornitori e dal fatto che il predetto per operasse liberamente sui conti correnti della società poi fallita, avvalendosi del potere di firma, anche ai fini dell’emissione di assegni.
Il ricorso per cassazione di NOME COGNOME è affidato a due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE si è costituita con controricorso.
Il P.G. ha depositato requisitoria scritta, chiedendo l’accoglimento del primo e secondo motivo del ricorso, inammissibile il terzo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 43 L.fall. e 24 Cost., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
Con il secondo motivo si contesta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per omessa pronuncia sulla violazione dell’art. 12, comma 7, L. n. 212 del 2000.
Con il terzo motivo si censura la violazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la CTR valutato le presunzioni su cui si fondano gli accertamenti dell’ufficio contrassegnati dai caratteri della gravità, precisione e concordanza.
Il primo motivo e il terzo sono suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione; ambedue le censure sono, per distinte ragioni, inammissibili.
Il terzo motivo adombra, infatti, la violazione dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., tuttavia trascendendo il paradigma del vizio per mirare ad una diversa e più appagante rivisitazione del merito della controversia.
Nella specie, infatti, la RAGIONE_SOCIALE ha valorizzato la circostanza per la quale ad intrattenere i rapporti con i fornitori e i clienti della società fallita era NOME COGNOME, il quale, inoltre, operava del tutto liberamente sui conti bancari dell’ente, firmando di suo pugno assegni tratti dai medesimi, con passaggio di denaro dai conti della società a quelli personali.
A fronte di questa ricostruzione fattuale, che individuava la parte come, in realtà, il vero dominus della società, ancorata a precise circostanze ed espressiva di un sindacato riservato al giudice del merito, il terzo motivo ambisce a riproporre una valutazione differente RAGIONE_SOCIALE circostanze presuntive. Tuttavia, ciò si scontra con il principio nomofilattico alla luce del quale la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione RAGIONE_SOCIALE circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. n. 9054 del 2022). Ancor più incisivamente questa Corte ha puntualizzato che ‘ In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso ‘ (Cass. n. 3541 del 2020).
Ora, a fronte della ratio decidendi correlata al ruolo di NOME COGNOME nell’attività dell’ente fallito, perde rilevanza l’erronea asserzione posta in premessa dalla CTR secondo cui ‘ gli avvisi di accertamento non impugnati dal curatore del fallimento RAGIONE_SOCIALE sono divenuti definitivi ‘.
Invero, diversamente da quanto opinato dal giudice regionale deve ritenersi sussistente una legittimazione processuale ‘suppletiva’ del soggetto fallito -quindi di chi lo amministra -rispetto all’atto impositivo in ipotesi di inerzia degli organi fallimentari, condizione, questa, riscontrabile nell’omesso esercizio, da parte del curatore, del diritto alla tutela giurisdizionale verso l’atto impositivo. In siffatta situazione di inattività, l’ente debitore è eccezionalmente abilitato a
reclamare esso stesso la tutela in discorso, alla luce degli artt. 43 L.fall. e 16 del D.P.R. n. 636 del 1972 e in conformità con la salvaguardia del diritto di difesa, costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, d’altronde, inequivocabilmente puntualizzato che ‘ Qualora i presupposti di un rapporto tributario si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l’atto impositivo può impugnarlo, ex art. 43 L.fall., a condizione che il curatore si sia astenuto dall’impugnazione, assumendo un comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato; l’insussistenza di detto stato di inerzia comporta, per il fallito, il difetto della capacità processuale di impugnare l’atto impositivo, vizio suscettibile di essere rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo’ (Cass., Sez. Un., n. 11287 del 2023).
Giova soggiungere che -come riconosciuto dal richiamato Supremo Consesso -l’atto impositivo afferente crediti i cui presupposti abbiano preceduto la declaratoria fallimentare, o siano maturati nel periodo di imposta in cui la stessa è intervenuta, va notificato di necessità anche al contribuente fallito. Qualora, infatti, il curatore non si attivi giudizialmente rispetto ad atti senz’altro suscettibili di incidere sull’assetto del patrimonio dell’insolvente, è quest’ultimo a poter contrastare in autonomia, nel processo, le imposizioni fiscali, non avendo perso la qualifica di soggetto passivo d’imposta.
L’avviso di accertamento va notificato, in definitiva, sia all’organo concorsuale che al debitore, con la conseguenza che, ove la notifica non sia eseguita anche nei confronti di quest’ultimo, l’atto impositivo non può diventare definitivo e resta quindi impugnabile dall’insolvente anche ove siano decorsi i termini per il curatore Cass. n. 5392 del
2016). Solo attraverso la notificazione il contribuente fallito è messo correttamente in condizione, in effetti, di esercitare -se ne ricorrano i presupposti -il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., rimanendo, infatti, esposto -pure in seguito all’apertura del concorso ai risvolti patrimoniali e sanzionatori, anche di matrice penale, consequenziali alla definitività dell’accertamento tributario (Cass. n. 8132 del 2018). Se tutto ciò è vero, è, tuttavia, anche evidente, che nel perimetro motivazionale della sentenza d’appello il pilastro argomentativo erroneo eretto dal giudice regionale si affianchi all’altra ratio decidendi sopra analizzata e costituita dalla ritenuta sussistenza di elementi presuntivi suscettibili di ascrivere da NOME COGNOME la posizione di amministratore di fatto della società fallita, ergo di coobbligato solidale con essa rispetto alle pretese fiscali dell’erario. D’altronde, questa Corte ha chiarito che ‘ Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza RAGIONE_SOCIALE censure mosse ad una RAGIONE_SOCIALE rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività RAGIONE_SOCIALE altre, alla cassazione della decisione stessa ‘ (Cass. n. 5102 del 2024; Cass. n. 29635 del 2018).
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Per il suo tramite il ricorrente lamenta la mancata allegazione del pvc agli avvisi di accertamento.
La circostanza che la RAGIONE_SOCIALE si sia concentrata sul merito della controversia, definendolo, depone per l’implicito rigetto della questione adombrata col mezzo impugnatorio.
Nello svolgimento del processo, d’altronde, il giudice regionale dà atto che il pvc è stato notificato e che l’avviso di accertamento recava il pvc come allegato. Quindi il profilo che si assume negletto, è stato, in realtà, all’evidenza considerato.
Solo ad abundantiam , osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, non ricorra il vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia se l’omissione riguarda una tesi difensiva o un’eccezione che, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto della tesi o dell’eccezione, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto (Cass. n. 14486 del 2004; conf. Cass. n. 24953 del 2020; Cass. n. 6174 del 2018).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza nella misura esposta in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 23.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30/04/2024.