Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3576 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3576 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7319/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore generale pro tempore , domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA – SEZ.DIST. SIRACUSA n. 1309/2015 depositata il 30/03/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La vicenda trova scaturigine nell’assunzione di tre dipendenti con le agevolazioni di cui all’art. 7 della l. n. 388/2000, accordate alle
aziende che assumono a tempo indeterminato dipendenti che nei due anni precedenti non abbiano lavorato a tempo indeterminato (ancorché parziale). Dei sette dipendenti così assunti dalla soc. RAGIONE_SOCIALE, tre risultavano privi dei requisiti soggettivi, risultando assunti nel biennio precedente. In disparte l’individuazione corretta dei nominativi dei tre dipendenti, che occupava parte della fase endoprocedimentale e del primo grado di giudizio, i gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente, sull’assunto che dai libretti di lavoro dei tre dipendenti, dall’interrogazione dell’anagrafe tributaria e degli altri archivi informatici, risultava che i tre dipendenti avessero comunque lavorato nel periodo precedente e quindi non potessero essere considerati come nuovi assunti, secondo le regole di agevolazione della predetta legge numero 388 del 2000.
Avverso questa sentenza ricorre la Società, affidandosi a tre strumenti di impugnazione, cui replica con tempestivo controricorso la parte pubblica.
CONSIDERATO
Vengono proposti tre strumenti di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 132, secondo comma, numero 4 del medesimo codice di rito, nonché dell’articolo 36 del decreto legislativo numero 546 del 1992, nonché dell’articolo 112 del codice di procedura civile.
Nella sostanza, si lamenta che il giudice sia incorso in motivazione meramente apparente per aver fatto uso di espressioni apodittiche e meramente di stile, richiamando le risultanze degli archivi informatici e dei libri matricola.
Giudice del fatto processuale, questa Suprema Corte di legittimità ritiene che la sentenza in scrutinio sia dotata di motivazione strutturata che, comunque, esula dall’ipotesi di motivazione
apparente, solo all’interno del qual caso è ammissibile lo scrutinio di questa Corte. Ed infatti deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018). Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal
confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
La motivazione della sentenza in scrutinio, riferendosi a risultanze documentali criticamente valutate, è dotata di un apparato argomentativo che supera l’ambito ristretto di scrutinio residuo riservato a questa Suprema Corte di legittimità.
Il motivo pertanto non può essere accolto.
Con il secondo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, numeri 3 e 4, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2967 del codice civile, nonché degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile.
Nel concreto si lamenta la violazione nel riparto dell’onere della prova, per cui doveva gravare sull’Ufficio la dimostrazione specifica che i tre dipendenti fossero stati assunti al di fuori dello schema dell’agevolazione fiscale in oggetto, senza richiedere documentazione alla parte contribuente.
Con il terzo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 della legge numero 388 del 2000.
Nello specifico si contesta che l’esclusione dai contributi poteva riguardare solo i dipendenti che nei 24 mesi precedenti non avessero svolto lavoro dipendente a tempo determinato. Si tratta cioè di due requisiti specifici, il lavoro dipendente e un rapporto a tempo indeterminato. La sentenza in oggetto ci sarebbe limitata al considerare la sussistenza del lavoro dipendente, ma non ha indagato se fosse a tempo indeterminato.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente, in ragione della loro stretta connessione, e sono infondati.
Deve ricordare che si controverte in materia di agevolazioni e sgravi, in cui la parte contribuente e attore in senso sostanziale, seppure quando processualmente resista ad una procedura di revoca del contributo di cui ha beneficiato o che ha portato a deduzione indebitamente. Trattandosi di attore in senso sostanziale, la parte contribuente deve dimostrare -con onere della prova a suo carico- le condizioni dell’agevolazione, cioè offrire la documentazione relativa ai dipendenti che siano estranei ad un rapporto di lavoro subordinato e a tempo indeterminato nei 24 mesi precedenti l’assunzione.
L’Ufficio ha accertato, e la parte privata non ha contestato nei gradi di merito, che i tre lavoratori dipendenti avessero avuto nel biennio precedente l’assunzione per altro rapporto di lavoro con diversa azienda.
Infine, per quanto attiene specificamente il terzo motivo, si deve rilevare che la parte contribuente non riporta gli stralci degli atti processuali dei gradi di merito da cui si evinca che tale ultima censura, cioè quella della sussistenza di due requisiti -il rapporto di lavoro subordinato e il rapporto di lavoro a tempo indeterminatofosse già stata prospettata nella fase di merito e non costituisca motivo nuovo, inammissibile in questa sede. Ed infatti, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. Cass. II, n. 2038/2019).
In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.cinquemilaseicento/00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/01/2025.