Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3317 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3317 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16277/2019 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 5629/2018 depositata il 28/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere COGNOME
Fatti di causa
Con atto del 17 marzo 2014, NOME COGNOME acquistava un immobile nel Comune di Desio. L’Agenzia emetteva in seguito nei suoi confronti un avviso di liquidazione, sulla cui base evidenziava che la consistenza dell’unità abitativa superava il limite di mq 240, previsto dal D.M. 2 agosto 1969, ai fini della fruizione dell’aliquota Iva agevolata del 4%. Avverso l’atto impositivo, teso a recuperare il maggior importo fiscale dovuto, il contribuente ricorreva presso la CTP di Milano, che ne respingeva l’impugnazione. Non miglior sorte ha contrassegnato il successivo appello del contribuente, del pari rigettato dalla CTR della Lombardia. Il Quitadamo si affida ora a quattro motivi di ricorso, ulteriormente illustrati con memoria. Resiste l’Agenzia con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo si adduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, co. 5 D.Lgs. n. 23 del 2011, 33 D.Lgs. n. 175 del 2014, con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere il giudice d’appello violato il combinato disposto delle norme ora evocate, alla luce del quale ‘ l’esclusione dell’agevolazione IVA sulla prima casa non si basa più sulla natura ‘lussuosa’ dell’immobile oggetto di trasferimento, bensì sull’appartenenza alla categorie A1, A8 e A9 ‘, tenuto conto che le modifiche correlate alla nuova disciplina ‘ si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2014 ‘.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, co. 1, D.Lgs. n. 23 del 2011, dell’art. 1 Nota II -Bis della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1086, della Tabella A, parte Seconda n. 21, d.P.R. n. 533 del 1972 e dell’art. 6 D.M. 2 agosto 1969, con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c., poiché, diversamente da quel che ha opinato il giudice d’appello, ai
fini del calcolo della soglia di 240 mq che consente di ritenere la non lussuosità dell’immobile ‘ non possono assumere rilevanza … i muri perimetrali o divisori ‘.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, co. 2, D.Lgs. n. 472 del 1997, 25, co. 2, Cost. 117, co. 1, 7 CEDU, 49 CDFUE, con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c., dal momento che la dichiarazione mendace in punto di estensione dell’immobile non ha ‘ più alcuna rilevanza per l’ordinamento, che utilizza un parametro (quello catastale) del tutto differente da quello precedentemente rinvenibile ‘.
Con il quarto motivo si contesta la violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., stante l’omessa motivazione su un punto della controversia, avendo il giudice d’appello ‘ totalmente omesso di considerare che l’articolo 10 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, ha fissato nel 2 per cento l’aliquota dell’imposta di registro ‘ collegandola alla categoria catastale, sottraendo ogni rilievo, a decorrere dal 1° gennaio 2014, alla ‘ necessità di computare la dimensione dell’immobile acquistato ‘.
Il primo motivo è infondato.
Giova premettere che il debutto ordinamentale del beneficio per l’acquisto della ‘prima casa’ si rinviene negli artt. 13 ss. della L. 2 luglio 1949, n. 408 (c.d. ‘Legge Tupini’).
L’agevolazione fu poi compiutamente disciplinata per la prima volta dall’art. 1 della L. 22 aprile 1982, n. 168 (c.d. ‘Legge Formica’).
L’iniziale termine del 31 dicembre 1983 venne più volte prorogato da vari interventi normativi.
Infine, l’art. 1, comma 2, del D.L. n. 16 del 1993, conv. in L. n. 75 del 1993, stabilizzò il beneficio fiscale in parola e l’art. 16 del successivo D.L. n. 155 del 1993, conv. in L. n. 243 del 1993, s’incaricò d’innestare la coniata disciplina nell’ambito di ciascuna legge d’imposta di riferimento, tra cui, in particolare, nel Testo Unico dell’Imposta di registro e nel Testo Unico IVA.
Le regole hanno solo successivamente assunto una strutturazione organica, attraverso l’inserimento della nota II -bis nell’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 (TUIR). La previsione delle aliquote agevolate è stata, invece, affidata, quanto all’Imposta di registro, allo stesso art. 1, comma 2, della Tariffa, parte prima, cit., quanto all’IVA, al n. 21 della Tabella A, parte seconda, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972.
Sia in caso di vendita soggetta ad IVA che di vendita soggetta ad imposta di registro, l’agevolazione per l’acquisto della ‘prima casa’ è un beneficio c.d. ‘a fruizione automatica’, che prescinde da un atto d’assenso dell’Amministrazione finanziaria e fa salva l’adozione di provvedimenti di revoca o decadenza, in caso, rispettivamente, di carenza dei requisiti originaria o successiva. È previsto che, allo scopo di goderne, l’acquirente debba dichiarare, nel rogito notarile (o nel contratto preliminare, ove si tratti, di vendita soggetta ad IVA), di essere in possesso di taluni requisiti soggettivi e oggettivi, tra cui la circostanza che l’immobile ricada nel comune in cui l’acquirente è residente (o in cui egli si impegna a trasferire la residenza entro 18 mesi), che egli non sia titolare di diritti reali su altra casa di abitazione nel medesimo comune, né in qualsiasi altro comune sito sul territorio nazionale (qualora per l’acquisto di detto immobile abbia già fruito della medesima agevolazione), che il cespite sia un immobile ‘non di lusso’.
Quest’ultimo è il profilo che viene in rilievo nel caso di specie. Rispetto ad esso assumono, a loro volta, pregnanza le novelle che -allo scopo di eliminare l’aleatorietà in concreto determinatasi in sede di applicazione giurisprudenziale dell’art. 6 D.M. 2 agosto 1969 circa le caratteristiche ‘non di lusso’ degli immobili ammessi al beneficio -hanno, per così dire, ‘oggettivizzato’ il criterio di valutazione della lussuosità/non lussuosità, ancorandolo alla mera classificazione catastale del bene.
In particolare, le modifiche apportate al regime di fruizione del beneficio ‘prima casa’ sono state veicolate rispettivamente -dalle novelle di cui all’art. 10, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 23 del 2011, per l’imposta di registro, e dall’art. 33 del D.Lgs. n. 175 del 2014, per l’IVA.
Nel dettaglio, l’art. 10, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 23 del 2011 ha comportato un cambiamento dell’art. 1, comma 2, della Tariffa, parte prima, allegata al TUIR, prevedendo l’assoggettamento della cessione del bene all’imposta di registro al 2% solo ‘ se il trasferimento ha per oggetto case di abitazione, ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ove ricorrano le condizioni di cui alla nota II-bis) ‘.
Detta norma è inequivocabilmente in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2014. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito detto aspetto in modo incisivo, evidenziando che il nuovo regime introdotto dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a) – ” il quale, nel sostituire il secondo comma dell’art. 1 della Parte Prima Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, ha sancito il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso non ammesso, in quanto tale, al beneficio prima casa – sulla base dei parametri di cui al D.M. LL. PP. 2 agosto 1969 ” – ” trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente alla modificazione legislativa; e, in particolare, successivamente al 1° gennaio 2014, come espressamente disposto dal d.lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 5, cit. ” ( ex plurimis Cass. n. 11639 del 2017; Cass. n. 13309 del 2016).
Ne discende che solo l’atto di trasferimento antecedente al cennato discrimine temporale del 1° gennaio 2014 continua ad essere disciplinato in base alla previgente disciplina, restando fermo il pregresso regime impositivo sostanziale, secondo i parametri del D.M. 2 agosto 1969, e la correlata potestà di revoca
dell’agevolazione, con conseguente recupero delle imposte dovute dal contribuente in misura ordinaria.
Quanto all’IVA, analoghe disposizioni tese all”obiettivizzazione’ dei parametri di ‘lussuosità’ dell’immobile sono state dettate, per converso, solo da una successiva norma, id est l’art. 33 del D.Lgs. n. 175 del 2014, che -oltre un triennio dopo -si è curato di ritoccare il n. 21 della Tabella A, parte seconda, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, riservando l’aliquota agevolata al 4% alle ‘ case di abitazione ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ancorché non ultimate, purché permanga l’originaria destinazione, in presenza delle condizioni di cui alla nota II-bis) all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131. In caso di dichiarazione mendace nell’atto di acquisto, ovvero di rivendita nel quinquennio dalla data dell’atto, si applicano le disposizioni indicate nella predetta nota ‘.
Detta norma, tuttavia, è entrata all’evidenza in vigore solo dal 13 dicembre 2014. Invero, con riguardo alla novella di cui all’art. 33 del D.Lgs. n. 175 del 2014 non è specificamente prevista alcuna retrodatazione di effetti al 1° gennaio 2014, valendo la fisiologica entrata in vigore a decorrere dal 13 dicembre 2014. Mancando, in altri termini, una norma di diritto transitorio ad hoc , è d’uopo rilevare che il D.Lgs. 21 novembre 2014 n. 175, rubricato ‘ Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata ‘, segue il regime ordinario della vacatio legis. Il decreto in parola, in particolare, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 277 del 28 novembre 2014 sicché è da tale data che ha iniziato a decorrere, a tenore dell’art. 10 delle Disposizioni sulla Legge in Generale (c.d. ‘Preleggi’), il termine di quindici giorni per l’entrata in vigore delle relative norme (‘ Le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel
decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto ‘).
Pertanto, solo dal 13 dicembre 2014 la Tabella A, parte II, n. 21, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, può dirsi effettivamente variata, con il concreto allineamento, da allora in poi, della disciplina in tema di IVA alla trama delle regole frattanto già stabilita per l’imposta di registro. È dal 13 dicembre 2014, in ultima analisi, che, in assenza di previsioni di diritto intertemporale diversamente atteggiate e di elementi sistemici utili ad allacciare la modifica del n. 21, parte II, della Tabella richiamata alla data del 1° gennaio 2014, che l’art. 33 citato ha cominciato a spiegare i propri effetti.
D’altronde, la predetta data del 1° gennaio 2014 cui la parte ricorrente aspirerebbe a collegare l’incidenza della disciplina riformata in tema di parametri di valutazione della lussuosità/non lussuosità dell’immobile è sensibilmente anteriore finanche al completamento dell’ iter normativo che ha partorito il D.Lgs. n. 175 del 2014, contenente proprio l’art. 33 teso a investire in senso modificativo il quadro criteri per la fruizione del beneficio fiscale.
Ne deriva che è alla data 13 dicembre 2014 che risulta ratione temporis agganciata l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 175 del 2014, ivi compreso naturalmente anche il suo art. 33. Ciò implica che, prima dello spartiacque temporale in questione, non emergeva un criterio oggettivo fondato sul riconoscimento del beneficio fiscale a tutte le categorie di immobili, fatta solo eccezione per quelli ricadenti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. La novella dettata dall’art. 33 del D.Lgs. n. 175 del 2014, concernente la fruizione dell’IVA con aliquota agevolata, è, infatti, riferibile ratione temporis ai soli acquisti perfezionatisi in epoca successiva all’entrata in vigore della novella medesima, ossia il 13 dicembre 2014, posto che la data del 1° gennaio 2014 riguarda, in ultima analisi, l’entrata in vigore della sola novella di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 23 del 2011, relativo all’imposta di registro.
Orbene, il trasferimento immobiliare per cui è causa, essendo pacificamente collocato alla data del 17 marzo 2014, non è suscettibile di essere disciplinato dalla nuova disciplina, il che priva di fondatezza la censura agitata dalla parte ricorrente.
Il secondo motivo è infondato.
Invero, il concetto di superficie utile non può restrittivamente identificarsi con la sola ‘superficie abitabile ‘ ; utile è tutta la superficie dell’unità immobiliare diversa dai balconi, dalle terrazze, dalle cantine, dalle soffitte, dalle scale e dal posto auto; nella superficie utile -come evidenziato dal giudice d’appello ricadono anche i muri perimetrali e divisori, i quali, invero, non rientrano nelle esclusioni previste dalla normativa di riferimento ai fini della valutazione del superamento della soglia massima consentita per l’accesso all’agevolazione fiscale. D’altronde, come puntualizzato da questa Corte ‘ In tema di agevolazioni cd. “prima casa”, ai fini dell’individuazione di un’abitazione di lusso, nell’ottica di escludere il beneficio, la superficie utile deve essere determinata avuto riguardo all’utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituendo tale requisito il parametro idoneo ad esprimere il carattere “lussuoso” dell’immobile. Ne consegue che il concetto di superficie “utile” non può restrittivamente identificarsi con la sola “superficie abitabile”, dovendo interpretarsi l’art. 6 del d.m. n. 1072 del 1969 nel senso che è “utile” tutta la superficie dell’unità immobiliare diversa dai balconi, dalle terrazze, dalle cantine, dalle soffitte, dalle scale e dal posto macchine e che nel calcolo dei 240 metri quadrati rientrano anche i soppalchi ‘ (Cass. n. 29643 del 2019). Questa Corte ha anche incisivamente puntualizzato che ‘ In tema di imposta di registro, al fine di stabilire se un’abitazione sia di lusso e, come tale, esclusa dai benefici per l’acquisto della cd. prima casa, la superficie utile deve essere determinata avendo riguardo alla “utilizzabilità degli ambienti”, a prescindere dalla effettiva abitabilità degli stessi, in quanto il
parametro idoneo ad esprimere il carattere “lussuoso” di una abitazione è costituito dalla superficie utile che non può, pertanto, identificarsi restrittivamente con la sola superficie abitabile, in quanto l’art. 6 del D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, deve essere interpretato nel senso che è “utile” tutta la superficie dell’unità immobiliare diversa dai balconi, dalle terrazze, dalle cantine, dalle soffitte, dalle scale e dal posto auto e che nel calcolo dei 240 mq rientrano anche le murature, i pilastri, i tramezzi e i vani di porte e finestre’ (Cass. n. 19286 del 2019). La Corte Suprema ha anche precisato che ‘ In tema di imposta di registro, ipotecarie o catastali, per stabilire se un’abitazione sia di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi della tariffa I, art. 1, nota II bis, del d.P.R. n. 131 del 1986, la sua superficie utile complessivamente superiore a mq. 240 – va calcolata alla stregua del d.m. Lavori Pubblici n. 1072 del 1969, che va determinata in quella che – dall’estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta – residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina, non potendo, invece, applicarsi i criteri di cui al d.m. Lavori Pubblici n. 801 del 1977, richiamato dall’art. 51 della l. 2 n. 47 del 1985, le previsioni della quale, relative ad agevolazioni o benefici fiscali, non sono suscettibili di un’interpretazione che ne ampli la sfera applicativa ‘ (Cass. n. 17470 del 2019). Nella nomofilachia è stato anche specificato che ‘ In tema di agevolazioni c.d. prima casa, al fine di stabilire se un’abitazione sia di lusso e come tale esclusa da detti benefici, occorre fare riferimento alla nozione di superficie utile complessiva di cui all’art. 6 del d.m. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, per il quale, premesso che viene in rilievo la sola utilizzabilità e non anche l’effettiva abitabilità degli ambienti, detta superficie deve essere determinata escludendo dalla estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta, quella
di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina ‘ (Cass. n. 8409 del 2019).
In definitiva, la CTR, ritenuti applicabili i parametri di individuazione degli immobili di lusso di cui al d.m. del 2 agosto 1969, ha considerato che nella specie l’immobile superava i 240 mq dovendosi computare nella superficie “utile”, individuata in quella lorda, anche i muri perimetrali.
Il terzo motivo è infondato.
La parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 D.Lgs. n. 472 del 1997, censurando, in buona sostanza, la statuizione impugnata avuto riguardo alla sanzione connessa alla dichiarazione mendace in punto di estensione della superficie dell’immobile.
L’assunto di parte ricorrente, in realtà, non coglie nel segno.
La modifica, in vigore dal 2014, dei parametri cui si agganciano i presupposti per la fruizione dell’agevolazione fiscale per gli immobili ‘non di lusso’ con attribuzione di rilevanza alla sola categoria catastale, non più all’elemento dell’estensione dei metri quadri complessivi utilizzabili, previsto dal D.M. 2 agosto 1969 -non ha inciso retroattivamente sulla sanzionabilità della condotta.
Pur nel cambiamento dell’oggetto della dichiarazione finalizzata a fruire del beneficio fiscale, la violazione continua a essere rappresentata in nuce dal mendacio, che è l’elemento saliente e inalterato. Deve, pertanto, escludersi si sia registrata un’ abolitio criminis .
La falsa dichiarazione del contribuente sèguita ad essere sanzionabile, in quanto è il mendacio a connotare strutturalmente l’illecito e a integrarne il tratto caratterizzante.
Significativamente le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 13145 del 27 aprile 2022, hanno affermato in tema di ‘agevolazione prima casa’ che ‘ la modifica dei parametri ai quali ancorare i presupposti per il riconoscimento del beneficio, disposta,
quanto all’IVA, dall’art. 33 del d.lgs. n. 175 del 2014, non ha inciso retroattivamente e l’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta immutata; ne consegue che non si è verificata alcuna abolitio criminis” .
Le argomentazioni dimesse dal Supremo Consesso in riferimento al beneficio ‘prima casa’ sono mutuabili, per identità di ratio , in relazione al diverso beneficio fiscale dell’imposta di registro sugli immobili ‘non di lusso’.
In tema di IVA, con l’art. 10, comma 5, del Dlgs n. 23 del 2011 (in vigore dal 1° gennaio 2014) si è effettuato un intervento normativo di semplificazione, che ha allacciato l’applicazione dell’aliquota agevolata al dato negativo della mera non riconducibilità dell’immobile di riferimento entro le categorie catastali A/1 (immobile signorile), A/8 (villa) e A/9 (castello), a prescindere (da allora in poi) dalle concrete caratteristiche del bene.
In un secondo tempo, peraltro, con l’art. 33 D.Lgs. n. 175 del 2014, il legislatore -che dapprincipio aveva trascurato di occuparsi anche dell’imposta di registro, per la quale l’aliquota agevolata del 4% (Tabella A, Parte II, allegata al d.P.R. n. 633/72), continuava a poggiare sull’invariato riferimento alle caratteristiche di ‘lussuosità’ tratteggiate dal D.M. del 1969 -ha proceduto al riallineamento fra la disciplina dell’IVA e quella dell’imposta di registro, ancorando anche le agevolazioni fiscali correlate a quest’ultima al solo dato catastale, al netto di riferimenti al metraggio complessivo e alla superficie utile degli immobili.
Con riferimento ad ambedue le imposte, a venire in rilievo è, pertanto, l’essenza della trama argomentativa che connota la su richiamata sentenza delle Sezioni Unite, a tenore della quale le disposizioni che identificano le case ‘di lusso’ in base alla sola categoria catastale non hanno comportato un fenomeno di ‘ abolitio criminis ‘, di talché le sanzioni irrogate in relazione agli atti anteriori
al 2014 rimangono efficaci. D’altronde, la circostanza che il mendacio del contribuente sia caduto su un elemento -quello dell’estensione della superficie utile dell’immobile ormai estraneo alla fattispecie agevolativa non sovverte un aspetto assorbente, quello per cui il comportamento sanzionato dal legislatore rimane la dichiarazione falsa circa i presupposti per l’agevolazione, cioè, nel caso di specie, circa le caratteristiche dell’immobile.
Ciò che è mutato dal 2014 non è, in altri termini, l’oggetto della dichiarazione, che investe a oggi come allora le caratteristiche non di lusso dell’immobile; ad essere cambiati sono, piuttosto, esclusivamente i presupposti dell’agevolazione, ossia i parametri che consentono di stabilire quando un immobile è o non è di lusso. La struttura dell’illecito resta, in definitiva, pur sempre incardinata sulla dichiarazione mendace. È quest’ultima ad assurgere a presupposto per la revoca dell’agevolazione, quindi anche per l’irrogazione della sanzione amministrativa. La ‘fisionomia’ dell’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta, in ultima analisi, immutata.
Anche questa seconda censura, pertanto, va disattesa.
Il quarto motivo è inammissibile.
La motivazione non scende al di sotto del ‘minimo costituzionale’. La sentenza d’appello, infatti, reca a proprio supporto una trama argomentativa idonea a sorreggerla sul piano della ratio decidendi. Il giudice d’appello ha testualmente evidenziato che ‘ le modifiche apportate alla Tabella A parte II del d.P.R. 633/72 sono infatti entrate in vigore il 13.12.2014, ossia in data successiva alla stipula del rogito de quo. Sino a tale data vigevano pertanto i criteri di cui al D.M. 2.8.1969 ‘. Detta sottolineatura espone in modo incisivo il nucleo argomentativo al fondo della statuizione adottata.
Mette in conto evidenziare che ‘ in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono
più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali ‘ (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19/11/2024.