Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6710 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6710 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19880/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e quale erede di COGNOME NOME, con domicilio digitale presso l’AVV_NOTAIO (pec. (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
e COGNOME NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA)
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PUGLIA SEZ.DIST. FOGGIA n. 770/2016 depositata il 29/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica compiuta a carico della società RAGIONE_SOCIALE, con processo verbale
di constatazione notificato alla parte il 25.11.2010 e relativo al periodo 1° gennaio 2007 / 23 luglio 2007, ovvero la parte dell’anno antecedente la trasformazione da società di persone in società di capitali , l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Foggia contestava: i) la omessa dichiarazione di ricavi per euro 7.876,00; ii) una maggiore plusvalenza imponibile di euro 350.695,00, in relazione alla vendita di due cespiti ammortizzabili (capannoni).
L’RAGIONE_SOCIALE Foggia emetteva, per l’anno di imposta 2007:
l’a vviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e COGNOME NOME, con il quale accertava un maggior reddito di euro 360.591,00, da imputare pro quota in capo ai due soci, ed una maggiore Irap dovuta dalla società di euro 1.855,00 oltre interessi e sanzioni;
ii) l’ avviso di accertamento NUMERO_DOCUMENTO nei confronti di NOME COGNOME, socio per la quota del 50%, a cui attribuiva per trasparenza ex art. 5 DPR 917/1986 la corrispondente quota del maggior reddito accertato in capo alla società e, quindi, richiedeva le consequenziali maggiori imposte Irpef ed addizionali oltre sanzioni ed interessi;
iii) l’ avviso di accertamento NUMERO_DOCUMENTO nei confronti di NOME COGNOME, socia al 50%, a cui attribuiva per trasparenza la corrispondente quota del maggior reddito accertato in capo alla società e, quindi, richiedeva le consequenziali maggiori imposte IRPEF ed addizionali oltre sanzioni ed interessi.
Avverso gli avvisi di accertamento NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano distinti ricorsi avanti alla CTP di Foggia che, previa riunione, li accoglieva con sentenza n. 235/2013 depositata in data 4.11.2013.
In data 25 dicembre 2013 decedeva NOME COGNOME.
Con atto spedito a mezzo posta il 30 aprile 2014, e notificato al difensore domiciliatario dei contribuenti dott. AVV_NOTAIO, l’RAGIONE_SOCIALE entrate proponeva appello avverso la sentenza della CTP di Foggia.
Avanti la CTR di Bari si costituiva il precitato dott. COGNOME, nella qualità di difensore sia di NOME COGNOME in proprio, sia nella qualità di difensore degli eredi di NOME COGNOME, individuati nei germani NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con sentenza 770/2016 depositata in data 29/03/2016, la Commissione regionale accoglieva in parte l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE, accertando una plusvalenza tassabile di euro 237.431,00; rigettava invece il gravame in relazione ai maggiori ricavi di euro 7.876,00;
Impugnavano la predetta, con ricorso per cassazione, notificato in data 8/08/2016, sorretto da otto motivi, NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di erede di NOME COGNOME, e NOME COGNOME, nella qualità di erede di NOME COGNOME, con il patrocinio dell’AVV_NOTAIO del Foro di Foggia.
Resisteva con controricorso e ricorso incidentale con due motivi l’RAGIONE_SOCIALE, a cui replicavano con controricorso i contribuenti.
In data 5/03/2018 NOME COGNOME depositava memoria ex art. 378 cod. proc. civ., intestata atto di ‘Sostituzione difensore e deposito documenti ex art. 372 c.p.c.’, con la quale: i) nominava gli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, eleggendo domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO; ii) dichiarava di avere erroneamente partecipato al giudizio innanzi la CTR della Puglia sul falso presupposto di essere erede di NOME COGNOME, originaria ricorrente e che, al contrario, sebbene chiamata all’eredità, aveva espressamente rinunciato alla stessa con atto reso avanti al AVV_NOTAIO di Foggia in data 13/05/2016, del quale indicava gli estremi ed allegava copia.
Chiedeva pertanto dichiararsi la carenza di legittimazione della ricorrente in relazione alla presente controversia.
Successivamente, in data 17/01/2024, l’AVV_NOTAIO, affermandosi difensore di entrambi i ricorrenti, depositava memoria ex art. 380.1 bis cod. proc. civ., con la quale dava atto: i) che la doglianza sollevata dai ricorrenti con l’ottavo mezzo di impugnazione è stata oggetto anche di ricorso per revocazione parziale ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ., è avanti alla Commissione Tributaria Regionale di Puglia Sez. Staccata di Foggia; ii) che il ricorso per revocazione è stato accolto con sentenza n. 2096/2017, depositata il 12.06.2017, con cui la CTR ha così statuito: « …, la Commissione accoglie il ricorso e, per l’effetto, rettifica e determina gli interessi passivi deducibili fiscalmente relativi al Mutuo con la Banca del Monte in € 65.636,56 »; iii) che la sentenza è passata in giudicato, come da attestazione prodotta unitamente alla copia del provvedimento.
Infine, in data 22/01/2024, l’AVV_NOTAIO depositava rinuncia al mandato difensivo conferito da NOME COGNOME, in uno con copia della revoca del mandato a firma della ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve essere in via pregiudiziale esaminata la richiesta di dichiarazione della propria carenza di legittimazione formulata dalla ricorrente NOME COGNOME, che ha rinunciato all’eredità in data 13/05/2016, come da atto notarile depositato con memoria integrativa.
1.1. A tale fine è opportuno riassumere la vicenda processuale, così dipanatasi: i) l’avviso di accertamento di cui qui si discute è stato impugnato -anche – da NOME COGNOME, deceduta il 25.12.2013, dopo il deposito della sentenza di primo grado in data 4.11.2013; ii) la sentenza della CTP di Foggia è stata impugnata dall’Amministrazione; iii) NOME COGNOME si è costituita nel
giudizio di appello affermandosi erede di NOME COGNOME, come espressamente ha ribadito anche nella narrativa del ricorso per cassazione (v. ricorso pag. 5); iv) in data 13/05/2016, successivamente al deposito della sentenza di secondo grado, avvenuto in data 29/03/2016, la signora NOME ha rinunciato all’eredità; v) con ricorso notificato in data 8/09/2016, la contribuente ha quindi impugnato la sentenza di appello; vi) con memoria depositata in data 5/03/2018 la ricorrente ha chiesto dichiararsi la propria carenza di legittimazione processuale per avere essa rinunciato all’eredità.
1.2. Costituisce principio pacifico quello secondo cui l’assunzione della qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, né dalla denuncia di successione, che ha valore di atto di natura meramente fiscale (Cass., sez. 2, 11/05/2009, n. 10729; Cass, sez. 2, 28/02/2007, n. 4783), ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, che rappresenta elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio quale successore del de cuius (Cass., sez. 2, 6/05/2002, n. 6479; Cass., sez. 3, 10/03/1992, n. 2849).
Questa Corte ha chiarito, che in ipotesi di debiti del de cuius di natura tributaria, l’accettazione dell’eredità è una condizione imprescindibile affinché possa affermarsi l’obbligazione del chiamato all’eredità a risponderne; non può, quindi, ritenersi obbligato chi abbia rinunciato all’eredità, ai sensi dell’art. 519 cod. civ. (Cass., sez. 5, 29/03/2017, n. 8053; Cass., sez. 5, 18/04/2019, n. 10908).
1.3. Considerato che l’accettazione dell’eredità è il presupposto perché si possa rispondere dei debiti ereditari, una eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario, sempre che egli non abbia posto in essere
comportamenti dai quali si possa desumere un’accettazione implicita dell’eredità, della cui prova è onerata l’Amministrazione finanziaria.
1.4. Questa Corte ha peraltro affermato (Cass., sez. 2, 20/03/1976, n. 1021) che non solo gli atti dispositivi, ma anche gli atti di gestione possono dare luogo ad accettazione tacita dell’eredità, secondo l’accertamento compiuto caso per caso dal giudice di merito, in considerazione della peculiarità di ogni singola fattispecie e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura ed importanza, nonché della finalità degli atti di gestione compiuti dal chiamato. In ogni caso, occorre però che si tratti di atti incompatibili con la volontà di rinunziare e non altrimenti giustificabili se non con la veste di erede, mentre sono privi di rilevanza tutti quegli atti che non denotano in maniera univoca un’effettiva assunzione della qualità di erede, occorrendo accertare se il chiamato si sia mantenuto o meno nei limiti della conservazione e dell’ordinaria amministrazione del patrimonio ereditario, potendosi in linea generale affermare che tutti gli atti previsti dall’art. 460 cod. civ. (disciplinante i poteri del chiamato prima dell’accettazione, e cioè: compimento di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari; compimento di atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea) non provochino la mutazione dello status da chiamato a erede.
1.5. Partendo da tali premesse, questa Corte ha ritenuto che, qualora i chiamati all’eredità abbiano ricevuto ed accettato la notifica di una citazione o di un ricorso per debiti del de cuius o si siano costituiti eccependo la propria carenza di legittimazione, non siano configurabili ipotesi di accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di atti pienamente compatibili con la volontà di non accettare l’eredità (Cass., sez. 3,3/08/2000, n. 10197).
1.6. Ha affermato questa Corte che, diversamente, «Nell’ipotesi in cui il chiamato all’eredità abbia impugnato un atto
di accertamento emesso nei suoi confronti nella qualità di erede dell’originario debitore, senza contestare l’assunzione di tale qualità e, quindi, il difetto di titolarità passiva della pretesa, ma censurando nel merito l’accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria, deve ritenersi che lo stesso abbia posto in essere un’attività non altrimenti giustificabile se non con la veste di erede, trattandosi di un comportamento che esorbita dalla mera attività processuale conservativa del patrimonio ereditario» (cfr. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23989 del 29/10/2020).
1.7. Va ancora ricordato che, nel caso della riassunzione da parte dell’Amministrazione nei confronti del chiamato all’eredità, che consente la ripresa del processo senza che occorra alcun accertamento in ordine all’accettazione espressa o tacita dell’eredità, si è altresì affermato che: i) la parte evocata in riassunzione può assumere un contegno di non contestazione (o di espressa ammissione) circa la propria qualità di erede, il che esonera la parte attrice dall’onere di dimostrare il fatto incontroverso; ii) oppure essa parte può negare tale qualifica e dunque la titolarità del rapporto controverso, attraverso una mera difesa da esercitarsi tempestivamente rispetto alle preclusioni formatesi con la definizione del thema decidendum all’esito della fase di trattazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25885 del 16/11/2020), con la conseguenza che in tal secondo caso il giudice dovrà evidentemente verificare l’assolvimento dell’onere della prova da parte di colui che afferma la qualità di erede, anche valutando, attraverso un ragionamento presuntivo, il comportamento, processuale ed extraprocessuale, tenuto dal chiamato (Cass., Sez. VI -5, 5/08/2022, n. 24341).
1.8. Nella fattispecie in esame, NOME COGNOME si è costituita nel giudizio di appello non solo non contestando la propria qualità di erede della sig.ra COGNOME, ma anzi affermandosi erede della debitrice e censurando nel merito la pretesa erariale,
dunque assumendo un contegno tale da configurare, in applicazione dei principi ora richiamati, accettazione tacita dell’eredità.
1.9. Né a tale conclusione osta la produzione dell’ atto di rinuncia all’eredità formalizzato con atto pubblico dinanzi al AVV_NOTAIO.
Infatti, è pur vero che, in base all’art. 521, primo comma, cod. civ. «chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato», con la conseguenza che, per effetto della rinuncia, viene impedita retroattivamente -cioè a far data dall’apertura della successione -l’assunzione di responsabilità per i debiti facenti parte del compendio ereditario.
1.10. Va, tuttavia, considerato che, nel caso di specie, l’atto di rinuncia all’eredità, essendo intervenuto successivamente alla descritta condotta è, in realtà, privo di effetti, per essere la chiamata all’eredità decaduta dal relativo diritto in quanto già accettante in dipendenza del comportamento dalla stessa tenuto (in senso conforme, Cass. Sez. 5, n. 23989/2020).
1.11. Il giudizio prosegue pertanto anche nei confronti di NOME COGNOME, dovendosi rilevare che la predetta, ad esito RAGIONE_SOCIALE modifiche intervenute, risulta allo stato degli atti difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME del Foro di Foggia.
Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia, in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la «Nullità della sentenza per errata “vocatio in jus” dell’atto di appello – violazione art. 328 c.p.c.».
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la « Nullità della sentenza per violazione del litisconsorzio necessario – violazione art. 14 d.lgs. n. 546 del 31-12-1992».
Con il terzo motivo si lamenta, in relazione, all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., l’ «O messa motivazione – violazione art. 36, 2° comma, n. 4, d.lgs. n. 546 del 31-12-1992».
Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 dpr 600/1973 e art. 7 legge 212/2000 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.».
Con il quinto motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., l’ «O messa motivazione – violazione art. 36, 2° comma, n. 4, d.lgs. n. 546 del 31-12-1992».
Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la «Motivazione intrinsecamente ed irrimediabilmente contradditoria» della sentenza impugnata, per avere – ai fini della individuazione del costo storico di un cespite -riconosciuto alcuni costi incrementativi e disconosciuti altri «quando poi tutti sono documentati nello stesso identico modo».
Con il settimo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la «Violazione del principio dell’onere della prova », per non avere la CTR ritenuto l’esibizione del libro dei cespiti ammortizzabili sufficiente ai fini della dimostrazione dell’esistenza dei costi incrementativi sostenuti, e ciò anche in considerazione che erano trascorsi i termini di cui all’art. 2220 cod. civ. e dell’art. 8, comma 5°, della legge 212/2000.
Con l’ottavo ed ultimo motivo del ricorso principale si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’ omesso esame del fatto decisivo per il giudizio, consistente nella erronea quantificazione degli interessi passivi relativi al finanziamento erogato dalla Banca del Monte di Foggia, non oggetto di capitalizzazione da parte della società, riconosciuti dalla CTR nell’importo di euro 39.695,91 in luogo del corretto importo di euro 65.636,56.
Con il primo motivo di ricorso incidentale l’RAGIONE_SOCIALE denuncia, con riguardo all’art. 360, comma 1. n. 3 cod., proc. civ., la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 109, comma 1, lett. a) e primo periodo della lett. b) e 110 TUIR (art.360
n.3 cpc), 11. Con il secondo motivo di ricorso incidentale lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 e 110 TUIR», allegandosi che il giudice di appello, nell’annullare il rilievo dei maggiori ricavi accertati dall’Ufficio (pari ad € 7.876,00) avrebbe violato il principio di competenza.
Va preliminarmente rilevato che, a sostegno della doglianza sollevata con l’ottavo motivo , la contribuente ha dedotto che, in accoglimento del ricorso per revocazione proposto avverso la sentenza qui impugnata, la CTR della Puglia, con sentenza n. 2096/2017, depositata il 12.06.2017 e passata in giudicato come da prodotta attestazione, ha determinato gli interessi passivi deducibili fiscalmente relativi al Mutuo con la Banca del Monte in € 65.636,56.
12.1. In via generale, la revocazione della sentenza d’appello impugnata con ricorso per cassazione determina la cessazione della materia del contendere, che dà luogo all’inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto d’interesse, in quanto l’interesse ad impugnare deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’impugnazione, ma anche al momento della decisione, a nulla rilevando che la sentenza di revocazione possa essere a sua volta impugnata per cassazione, ciò che costituisce una mera possibilità, mentre la carenza d’interesse del ricorrente a coltivare il ricorso è attuale, per essere venuta meno la pronuncia che ne costituiva l’oggetto (Cass., Sez. un., 29 novembre 2006, n. 25278; Cass. Sez. un., 28 aprile 2017, n. 10553; Cass. 25 settembre 2013, n. 21951; Cass., sez. un., 28 aprile 2017, n. 10553; Cass. 2 aprile 2021 n. 9201).
12.2. Tale principio non determina questioni applicative laddove la revocazione sia generale, per travolgere la sentenza nella sua interezza, o perché quest’ultima si esaurisce in un solo
capo o perché la rescissione attinge tutti i capi nei quali essa si articola.
12.3. Nella fattispecie si pone peraltro la questione della configurabilità e degli eventuali effetti della revocazione c.d. parziale, in quanto la sentenza di revocazione è stata resa dalla CTR espressamente qualificando il ricorso «per revocazione parziale ex art. 395 c.p.c., n. 4», (pag. 3 sent.), con statuizione che non ha il contenuto di revocazione integrale della sentenza, bensì di accoglimento del ricorso (v. dispositivo sentenza).
12.4. E’ quindi applicabile il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui «qualora la domanda di revocazione concerna una parte autonoma della sentenza d’appello, il relativo accoglimento determina la rescissione di quella parte soltanto, e RAGIONE_SOCIALE parti che dipendano dalla parte rescissa, mentre conservano la loro efficacia le parti autonome ed indipendenti, sicché nel giudizio di cassazione pendente su queste ultime la pronuncia di revocazione non fa cessare la materia del contendere» (Cass. 12 maggio 2020, n. 8773).
12.5. Deve pertanto dichiararsi, limitatamente all’ottavo motivo del ricorso principale, l’inammissibilità per difetto di interesse sopravvenuto.
13. Il primo motivo del ricorso principale, con cui si lamenta che la CTR abbia erroneamente ritenuto, a seguito del decesso della parte, avvenuto dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado e prima della notifica dell’atto di appello, che la nullità della notifica dell’appello, intestato e notificato al de cuius, e non ai suoi eredi, fosse sanata dalla costituzione in giudizio degli eredi stessi con effetto ex tunc, anziché ex nunc, è infondato.
Deve a tale riguardo richiamarsi il principio – in esatti termini con la fattispecie che ci riguarda -secondo cui qualora la notificazione dell’atto di appello sia stata effettuata nei confronti del procuratore della parte deceduta nel corso del giudizio di primo
grado e non degli eredi, sebbene la controparte fosse a conoscenza dell’evento, la nullità dell’impugnazione per omissione del requisito di cui all’art. 163, comma 3, n. 2, c.p.c., è sanata, con efficacia “ex tunc”, dalla costituzione in giudizio degli eredi, attesa l’applicabilità anche alle notificazioni del principio di sanatoria RAGIONE_SOCIALE nullità processuali per il raggiungimento dello scopo dell’atto, sicché non si realizza il passaggio in giudicato della sentenza impugnata. (v. Cass. Sez. 2. n. 29900/2018; Sez. 2, Sentenza n. 4935 del 14/03/2016 Rv. 639355; Sez. 2, Sentenza n. 23522 del 19/11/2010 Rv. 614844).
14. E’ infondato anche il secondo motivo, non dovendosi ravvisare la nullità della sentenza in relazione al giudizio di primo e secondo grado che, in ipotesi di litisconsorzio necessario, sono stati celebrati senza la partecipazione della società di persone, ma con l’intervento dei soci che erano titolari dell’intero patrimonio sociale con riferimento al periodo di imposta in considerazione.
A tale riguardo, mentre sul piano sostanziale va esclusa, nei rapporti interni, una volontà od un interesse della società distinto e potenzialmente antagonista a quello dei soci, sul piano processuale è sufficiente, ai fini di una rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti della società, la presenza in giudizio di tutti i soci, facendo poi stato la pronuncia, nei confronti di questi emessa, anche nei riguardi della società stessa (cfr. Cass. n. 7886 del 05/04/2006).
15. Il terzo motivo, con il quale i contribuenti deducono che il giudice di appello non abbia adeguatamente motivato sull’eccezione riguardante la illegittimità degli avvisi di accertamento per difetto di motivazione, è infondato.
Osservandosi che la CTR ha ampiamente motivato in merito alle specifiche contestazioni sollevate, nel merito, nei confronti dell’atto impugnato, può al riguardo limitarsi a dare seguito al principio di diritto secondo cui «Non ricorre il vizio di omessa
pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo» (v. in tal senso, tra le molte, Cass. n. 29191 del 06/12/2017).
Con il quarto motivo del ricorso principale si lamenta, in subordine rispetto al terzo strumento di impugnazione, che la CTR non abbia accolto l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, osservandosi che l’Amministrazione avrebbe integrato nel corso del giudizio le ragioni indicate a sostegno dell’atto impugnato.
16.1. Il motivo, che è circoscritto all’aspetto della validità formale dell’atto impositivo per vizio della parte motiva dello stesso, è infondato.
Invero, occorre distinguere l’aspetto della motivazione dell’atto impositivo da quello istruttorio, avendo questa Corte già evidenziato che, in tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur, sicché lo stesso è correttamente motivato quando fa riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato (come è pacifico sia avvenuto, nel caso di specie), senza che l’Amministrazione sia tenuta ad includervi notizia RAGIONE_SOCIALE prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti o a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (Cass. 30/10/2019, n. 27800; Cass. 27708/2022).
16.2. Va poi aggiunto che, comunque, nella specie, e con riguardo a quanto qui specificamente rileva, il PVC richiamato dall’atto impositivo indicava l’oggetto del recupero, consistente, per quanto qui rileva, nella plusvalenza dichiarata per la cessione di
due capannoni, ritenuta non congrua sulla base RAGIONE_SOCIALE risultanze documentali.
16.3. A seguito della contestazione dell’Ufficio era onere della società contribuente dimostrare l’inerenza dei costi portati in deduzione in relazione a tale posta, senza che l’RAGIONE_SOCIALE dovesse svolgere ulteriori allegazioni.
Ogni altra questione, e segnatamente l’interpretazione che la RAGIONE_SOCIALE ha reso dei documenti contrattuali e bancari a tale riguardo prodotti in atti dalle parti, attiene a valutazioni meritali, in questa sede di legittimità non più sindacabili.
17. Vanno trattati congiuntamente il quinto e sesto motivo, con i quali si denunciano vizi motivazionali della sentenza, deducendosi che il giudice di appello non avrebbe adeguatamente motivato in ordine al mancato riconoscimento di alcuni costi incrementativi, al fine della individuazione del costo storico dei cespiti da contrapporre al prezzo di vendita per determinare la plusvalenza tassabile, laddove altri costi incrementativi e disconosciuti, pur tutti documentati nello stesso identico modo, sarebbero stati riconosciuti. Al netto RAGIONE_SOCIALE assoluta genericità della seconda doglianza, i motivi sono comunque inammissibili stante il loro contenuto schiettamente meritale, in quanto con gli stessi si chiede a questa Corte di rinnovare la valutazione dei fatti operata dai giudici di appello.
18. La censura veicolata con il settimo motivo, con cui si denuncia un vizio di violazione di legge, ma con riferimento alla errata valutazione della documentazione contabile prodotta, è inammissibilmente proposta.
18.1. Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa, come parte ricorrente ha dedotto con la prospettata censura, è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.
18.2. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa (cfr., ex multis , Cass. n. 13066 del 2007; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 24054 del 2017; Cass. n. 27564 del 2018; Cass. n. 3340 del 2019; Cass n. 24304 del 2020).
19. Il primo motivo di ricorso incidentale, con cui l’Amministrazione sostiene che la CTR sia incorsa nella violazione del principio di inerenza, violando gli artt. 109, comma 1, lett. a) e primo periodo della lett. b) e 110 TUIR, in quanto ha ritenuto di considerare tra i costi deducibili gli interessi passivi sul mutuo, va rigettato, con richiamo di quanto ora osservato, per effetto del giudicato formatosi sull’oggetto della censura in senso sfavorevole all’Amministrazione.
20. Con la doglianza formulata con il secondo motivo di ricorso incidentale l’RAGIONE_SOCIALE afferma che, contrariamente al deciso, l’ esatto valore RAGIONE_SOCIALE fatture da emettere al 31.12.2006 sarebbe quella risultante dalla ricostruzione contenuta nelle pagine 13, 14, e 15 del p.v.c. Allo stesso modo sarebbe priva di pregio l’affermazione del Giudice di secondo grado secondo cui i maggiori ricavi accertati dall’Ufficio sarebbero stati oggetto di tassazione nell’anno precedente, atteso che tale decisum si pone in netto contrasto col principio di competenza.
21.1. Il motivo è inammissibile.
Con la censura in esame, afferente a violazione di legge ma riferita alla errata quantificazione operata dalla CTR, sulla base della documentazione esaminata, RAGIONE_SOCIALE prestazioni di servizi di competenza del 2006 ma fatturate dalla società nel corso del 2007, l’Ufficio denuncia, inammissibilmente, l’ erronea ricognizione RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa, con evidente contenuto meritale della censura, non riconducibile alla violazione della disciplina formalmente enunciata.
20.2. Il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, alla circostanza che i redditi che la CTR, contrariamente all’assunto dell’Ufficio, imputa al 2006 sarebbero stati tassati in relazione a tale anno, è conseguenza della ricostruzione fattuale operata, e non manifestazione di una erronea applicazione del principio di competenza da parte dei giudici di appello.
21. In conclusione, vanno rigettati il ricorso principale ed il ricorso incidentale.
Le spese del presente grado di legittimità si compensano, stante l’esito del giudizio.
Al l’RAGIONE_SOCIALE, ricorrente incidentale, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa le spese di giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22/02/2024.