Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15544 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15544 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5528/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. del Lazio n. 4202/2019 depositata il 11/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Guardia di Finanza di Ravenna evidenziava in un pvc due violazioni in relazione alle dichiarazioni fiscali per l’anno 2009, la prima inerente la deduzione di quote di ammortamento, la seconda per costi non inerenti. In riferimento al primo rilievo, veniva contestato alla società contribuente di aver iscritto in bilancio, quale immobilizzazione materiale, il cespite alberghiero denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘ per un valore ammortizzabile, superiore a quello reale, applicando ai fini dell’ammortamento l’aliquota del 6% in luogo di quella dell’1 ,5%. In relazione al secondo rilievo, veniva disconosciuta dall’Ufficio l’inerenza dei costi rappresentati da fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE; con successivo provvedimento di autotutela parziale la maggiore imposta veniva ridotta per rettifica di errore materiale.
La CTP di Roma, adita dal contribuente, accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente.
La CTR del Lazio ha accolto, invece, l’appello erariale, valutando il cespite euro 13.473.744,00 e reputando applicabile l’aliquota dell’1 , 5%; l’appello incidentale della contribuente è stato rigettato.
Il ricorso per cassazione della contribuente è affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Il contribuente ha depositato successiva memoria.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il fallimento adombra la nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per
violazione degli artt. 50 e 51 L. fall. e dell’art. 88 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Ad avviso della parte ricorrente la questione, benché nuova, sarebbe rilevabile d’ufficio ‘ in funzione dell’inefficacia dell’avviso di accertamento ‘ notificato in costanza di procedura concorsuale, essendo la verifica del passivo l’unica sede per l’accertamento dei crediti.
Il motivo è palesemente infondato.
L’intervenuto fallimento, per quei giudizi che abbiano ad oggetto l’accertamento di un credito (o di un diritto reale) nei confronti del fallito, determina non già l’interruzione – disciplinata per il caso del fallimento dall’art. 43, L.fall. e per la liquidazione giudiziale dall’art. 143, CCII, con riferimento ai giudizi attivi bensì l’improcedibilità, in virtù dell’art. 52 L.fall. (oggi, con riguardo alla liquidazione giudiziale, art. 151, CCII). A tale principio fanno, peraltro, eccezione i crediti verso il fallimento appartenenti alla giurisdizione di giudici speciali (per quelli oggetto della giurisdizione del giudice amministrativo v. Cass. n. 789 del 1999; per quelli oggetto della giurisdizione della Corte dei conti v. Cass., Sez. Un., n. 12371 del 2008). Con specifico riferimento ai crediti verso il fallito originati da obbligazione tributaria, la competenza a conoscere gli stessi appartiene dunque pur sempre al giudice tributario anche in corso di procedura, tanto se l’accertamento viene promosso dal curatore, quanto se pende il giudizio promosso dal fallito in bonis , nel quale ultimo caso appunto si verifica un’ipotesi di interruzione per il venir meno della legittimazione processuale di quest’ultimo a seguito della sentenza di fallimento.
D’altronde, l’attribuzione alle commissioni tributarie -a norma dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, come sostituito dall’art. 12, comma 2, della l. n. 448 del 2001 – della cognizione di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, si
estende ad ogni questione relativa all'”an” o al “quantum” del tributo (Cass. n. 21483 del 2015).
Con il secondo motivo di ricorso il fallimento contesta la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione della regola della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in quanto applicabile nel processo tributario ai sensi dell’art. 1, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 53 e 56 del medesimo decreto, 342 e 346 c.p.c., nonché, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 102 T.U. RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Ad avviso della parte ricorrente il giudice d’appello sarebbe incorso in un vizio di ultrapetizione, soffermandosi sulla determinazione del costo dell’immobile, ancorché l’RAGIONE_SOCIALE non avesse contestato quella effettuata dal giudice di primo grado.
Con il terzo motivo di ricorso di lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 102 del T.U. RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Ad avviso della ricorrente la CTR avrebbe errato nella determinazione della ‘ quota di ammortamento ‘. Il secondo e il terzo motivo sono suscettibili di trattazione unitaria, per intima connessione; essi non colgono nel segno e vanno disattesi. Nel condividere l’assunto della parte contribuente secondo il quale ‘ ai fini dell’ammortamento ‘ vanno ‘ presi in considerazione i costi e non il valore in sé di un bene ‘, la CTR, essendovi istituzionalmente deputata, ha provveduto a determinare l’ an e il quantum della pretesa fiscale.
L’appello, d’altronde, ha effetto devolutivo, con la conseguenza che il giudice del gravame risulta investito, sia pure nell’ambito del capo di decisione oggetto di censura, del riesame di tutte le questioni da questo stesso capo implicate e, quindi, della rinnovazione del relativo giudizio.
Né può formarsi giudicato interno in ordine a parametro estimativo adoperato ex latere creditoris (da parte dell’Ufficio nell’atto impositivo controverso) o ex latere judicis (nella sentenza di primo grado), essendo la determinazione e quantificazione della pretesa fiscale, sulla scorta dei criteri a tal fine adoperabili, questione rimessa al sindacato del giudice del gravame. Quest’ultimo, nel riesaminare la pretesa fiscale, non è vincolato ai criteri seguiti dal giudice a quo qualora non li ritenga attendibili o decida motivatamente -come nella specie -di discostarsene.
Va data continuità al principio affermato dalla Sezione secondo cui ‘ Il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio. Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte ‘ (Cass. n. 19750 del 2014; Cass. n. 27560 del 2018).
Nel caso in esame, la CTR ha proceduto ad una rideterminazione del costo del bene, ai fini dell’individuazione del valore ammortizzabile; a tal fine ha fatto ricorso ad un criterio pienamente intellegibile, la cui contestazione -lungi dall’investire un contrasto rispetto alla norma di legge evocata in rubrica -tende a stigmatizzare in funzione di una più appagante rivisitazione del merito e del quantum del valore medesimo.
Con il quarto motivo si adduce la nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., applicabile nel processo tributario ai sensi dell’art. 1, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e omesso esame di fatti
decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. A parere della ricorrente verrebbe in apice, innanzitutto l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, avendo la CTR ignorato il contratto di consulenza del 12 gennaio 2009 e omesso di considerare l’aggiornamento del libro giornale, del libro inventari, del libro beni ammortizzabili e dei registri Iva nonché la redazione dei bilanci di verifica con le scritture di rettifica, assestamento e chiusura, le liquidazioni periodiche Iva, le dichiarazioni fiscali e il costo di redazione RAGIONE_SOCIALE altre dichiarazioni fiscali nonché le risultanze della fattura n. 174.
Il motivo è inammissibile sia nella parte in cui richiama il paradigma del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., sia nella parte in cui rimanda al suo successivo n. 5.
Nell’esercizio del proprio sindacato di merito, la cui rivisitazione è preclusa in questa sede, il giudice d’appello ha valorizzato la connotazione specifica RAGIONE_SOCIALE fatture recanti i nn. 3 e 174, osservando le implicazioni: con riferimento alla fattura n. 3 viene segnalata essenzialmente la mancata prova dell’inerenza da parte del contribuente; con riferimento alla fattura n. 174, oltre alla circostanza del mancato pagamento di essa, se ne indica specificamente la sproporzione e l’incongruità, anche avuto riguardo al contratto di consulenze amministrative e contabili stipulato in data 2 gennaio 2009.
Ora, sotto il profilo del contrasto con il n. 4 dell’art. 360 giova evidenziare che non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, quand’anche in ipotesi non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il
relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (Cass. n. 24953 del 2020). Non ricorre il vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia se l’omissione riguarda una tesi difensiva o un’eccezione che, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto della tesi o dell’eccezione, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto (Cass. n. 14486 del 2004)
In ultima analisi, è configurabile una decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) quando essa risulti, come nella specie, superata e travolta, benché non espressamente trattata, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione non è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia.
Nella specie, la parte ricorrente evoca profili di tenore istruttorio attribuendo ad essi la natura di questioni sorvolate dal giudice d’appello, in tal guisa trascurando che ‘ sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il
contro
llo dell’attendibilità e della concludenza RAGIONE_SOCIALE prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta RAGIONE_SOCIALE prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento ‘ (Cass. n. 21187 del 2019; Cass. 13054 del 2014).
Anche con riferimento all’addotto deficit di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., parte ricorrente trascende il recinto concettuale e dogmatico del vizio in parola, finendo per aspirare ad una ricostruzione per sé più appagante del merito della controversia. In tal senso, la parte parallelamente trascura il principio sedimentato in base al quale ‘ In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali ‘ (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018).
Con il quinto motivo si contesta la violazione e falsa applicazione di legge, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in riferimento al rigetto dell’appello incidentale relativo all’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, per avere la CTR erroneamente dichiarato inammissibile la censura incidentalmente avanzata dal fallimento in relazione alle sanzioni e all’invocata, loro riduzione.
Il motivo è inammissibile.
Non consta, invero, nemmeno l’indicazione della norma violata.
In tal senso, la censura si pone in urto frontale con il principio affermato ancora di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, al lume del quale ‘ In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa ‘ (Cass. n. 23745 del 2020).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza nella misura esposta in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30/04/2024.