Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2284 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2284 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29615/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
CONTRO
COGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIASEZ.DIST. BRESCIA n. 2947/2016, depositata il 16/05/2016 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate ricorre avverso la sentenza della C.T.R. della Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la quale è stato accolto l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME per la riforma della sentenza della C.T.P. di Brescia di rigetto del ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento, con il quale, rideterminato, ai fini IRES ed IRAP il reddito di impresa della RAGIONE_SOCIALE, non dichiarato dalla società per l’anno di imposta 2008, si estendevano ai soci, quali obbligati in solido, le obbligazioni tributarie.
La sentenza della C.T.R. dà atto che, secondo l’avviso di accertamento, NOME e NOME COGNOME vanno ritenuti responsabili in solido per le obbligazioni tributarie accertate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sul presupposto che essi avrebbero utilizzato la società come schermo protettivo di un’attività fraudolenta, con abuso della personalità giuridica, al fine di conseguire un vantaggio fiscale, derivato dall’operazione di cessione di un immobile appartenente alla società, e dalla successiva cessione delle quote societarie facenti capo ai soci COGNOME, con tassazione della sola plusvalenza di queste ultime, anziché della plusvalenza derivante vendita del complesso immobiliare e degli utili distribuiti in capo ai soci. La decisione rileva che, diversamente da quanto affermato dall’Ufficio e dal giudice di prima cura, la società RAGIONE_SOCIALE non è stata creata nell’esclusivo interesse delle persone fisiche, posto che essa è derivata per scissione dalla RAGIONE_SOCIALE ed ha effettivamente operato nella gestione dell’area immobiliare e del
relativo complesso industriale di cui era proprietaria, sicché solo la società era tenuta al versamento delle imposte derivate dalla vendita dell’immobile. La C.T.R. osserva che, peraltro, il medesimo risultato si sarebbe ottenuto se i soci avessero venduto le proprie quote prima della cessione dell’immobile, con la conseguenza che l’avviso di accertamento conserva validità nei confronti della sola società, mentre le sanzioni, ai sensi dell’art. 7 d.l. 269/2003 restano a carico della società.
I contribuenti NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
Con memoria del 31 ottobre 2024 i controricorrenti allegano la sentenza n. 615/2020 depositata il 12 giugno 2020 della Corte di appello di Brescia, passata in giudicato a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, con la quale è stata respinta la domanda di risarcimenti dei danni formulata da NOME COGNOME in proprio e quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE nonché quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME fondata sull’assunto che i medesimi fossero amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE, la cui fondatezza è stata esclusa dalla Corte di appello.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate formula tre motivi di ricorso.
Con il primo si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4) cod. proc. civ., della violazione degli artt. 115, 116, 132, comma 2 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., nonché degli artt. 36, comma 2 n 4) e 61 d. lgs. 546/1992. Rileva che la motivazione della sentenza impugnata non è sostenuta da adeguato supporto argomentativo, nella parte in cui afferma che la RAGIONE_SOCIALE non può essere ritenuta mera fictio, senza considerare le circostanze dedotte dall’Ufficio. Ed in
particolare: che i soci NOME e NOME COGNOME, legati da rapporto di parentela, detenevano l’intero capitale sociale; che l’attività commerciale e l’avviamento della Cidneo RAGIONE_SOCIALE erano riconducibili unicamente al terreno ed all’annesso complesso immobiliare, gestito direttamente dai soci; che la vendita degli immobili alla soc. RAGIONE_SOCIALEdi cui era legale rappresentante NOME COGNOME– era intervenuta a seguito della risoluzione del contratto di affitto concluso con la Cidneo RAGIONE_SOCIALE da sempre utilizzatrice del complesso; che la gestione diretta dell’immobile da parte dei soci era emersa da accordi da questi conclusi con la RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME il quale, in data 24 novembre 2006, aveva corrisposto la somma di euro 250.000,00 a titolo di caparra, a mezzo di una serie di assegni intestati in parte alla RAGIONE_SOCIALE ed in parte ai soci NOME e NOME COGNOME; che nessuna ragione di tipo economico imprenditoriale giustificava l’operazione consistita, da un lato nella vendita dell’unico immobile strumentale della soc. RAGIONE_SOCIALE, e dall’altro, dal contestuale finanziamento -per un importo sostanzialmente pari a quello della vendita- della soc. RAGIONE_SOCIALE che, a sua volta, successivamente acquistava con l’importo finanziato le quote della soc. RAGIONE_SOCIALE, facenti capo ai soci COGNOME; che, al momento della cessione dell’immobile e della concessione del finanziamento, l’amministratore della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME privo di partecipazione sociale, era anche amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, di cui deteneva il 70% delle quote; che il medesimo NOME COGNOME aveva rilasciato alla Guardia di Finanza dichiarazioni che corroboravano la ricostruzione dell’Ufficio in termini di abuso della personalità giuridica da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Assume che la C.T.R. è incorsa in errore laddove ha escluso l’abuso di personalità giuridica perché la RAGIONE_SOCIALE aveva effettivamente gestito
l’immobile di cui era proprietaria, avuto riguardo al fatto che per configurarsi detto abuso, non è richiesto che i soci, sin dal momento della costituzione della società, intendano avvalersi della stessa per celare l’esercizio in forma individuale dell’attività di impresa. Osserva che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, la cessione delle quote societarie, antecedentemente alla vendita dell’immobile, non avrebbe affatto prodotto lo stesso risultato, posto che, in quel caso, sarebbe stato impossibile per i soci COGNOME, condizionare le scelte societarie, per realizzare i loro interessi personali, che l’acquisto delle quote della RAGIONE_SOCIALE, facenti capo ai COGNOME, non sarebbe intervenuto a mezzo dell’utilizzazione delle somme incassate dalla vendita, e che soci non avrebbero ottenuto, attesa l’entità del valore degli immobili iscritti a bilancio il 31.12.2007, il medesimo corrispettivo conseguito per la cessione, né conseguito il medesimo vantaggio fiscale.
3. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3) cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 41 e 53 Cost., degli artt. 1414, 2082, 2247, 2462. 2728 e 2740 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 38 e 39 d. lgs. 600/1973, 25 d. lgs. 446/1997, 7 del d.l. 269/2003 conv. in l. 326/2003, 9 ed 11 d. lgs. 472/1997, 1 commi 1, 6 comma 2, 4 , 5 e 9, comma 1 del d. lgs. 471/1997. Sostiene che la C.T.R. è incorsa in plurimi errores in iudicando , non tenendo in considerazione l’elaborazione della giurisprudenza di legittimità in tema abuso della personalità giuridica, secondo la quale non è necessaria la prova della simulazione della società, essendo sufficiente quella di un uso dei poteri scaturenti dal contratto di società, contrario alle corrette regole di esercizio ed alla buona fede oggettiva. Nel caso di specie, l’operazione posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE non era diretta alla soddisfazione di esigenze
economico-imprenditoriali della società, ma solo a consentire a NOME e NOME COGNOME di poter alienare le proprie partecipazioni al miglior prezzo possibile, ottenendo al contempo un risparmio di imposta, sotto forma di tassazione della solo eventuale plusvalenza derivante dalla cessione della quota societaria, in luogo della tassazione in capo alla società della plusvalenza derivante dalla vendita del complesso immobiliare e della tassazione in capo ai soci degli utili distribuiti. Ed invero, la soc. RAGIONE_SOCIALE non aveva i mezzi finanziari per l’acquisto delle quote della soc. RAGIONE_SOCIALE, avendoli ottenuti solo a mezzo del finanziamento da parte di quest’ultima, a seguito dell’alienazione dell’immobile, mentre a seguito dell’acquisto delle quote la RAGIONE_SOCIALE era divenuta socio unico della RAGIONE_SOCIALE, il cui unico bene era rappresentato dal finanziamento concesso alla stessa RAGIONE_SOCIALE. Rileva che del tutto impropriamente la C.T.R. ha ritenuto applicabile l’art. 7 del d.l. 269/2003, avuto riguardo al fatto che, nel caso di specie, i trasgressori sono anche i beneficiari della trasgressione, essendo la società una mera fictio creata nell’esclusivo interesse delle persone fisiche.
Con il terzo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 5) cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, per non avere la C.T.R. effettivamente considerato il contenuto dell’avviso di accertamento e del P.V.C., da cui emergevano le circostanze di fatto già richiamate nei precedenti motivi, limitandosi, invece, a rilevare l’autonoma soggettività giuridica della società e la mancanza della prova della simulazione del suo atto costitutivo.
Il primo motivo ed il terzo motivo vanno trattati congiuntamente, in quanto presentano profili strettamente connessi. Benché introdotti, l’uno ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4) cod. proc. civ., e l’altro, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n.
5) cod. proc. civ., essi si risolvono entrambi nella doglianza del difetto di motivazione, sia per carenza, che per omissione, per non avere la C.T.R. tenuto in considerazione la pluralità degli elementi emergenti dall’avviso di accertamento.
5.1 Va ricordato -come chiarito dalle Sezioni unite di questa che Corte- a seguito della riforma della riforma introdotta di cui all’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, è scomparso ‘il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata. Il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, in motivazione, richiamata anche dall’Ufficio a sostegno delle proprie conclusioni al motivo sub 1); cfr. anche Sez. U, Sentenza n. 22232 del 3/11/2016; Sez. 6-3, Ordinanza
n. 21257 del 8/10/2014; Sez. 6-3, Sentenza n. 23828 del 20/11/2015; Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017; Sez. 63, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
5.2 E’ stato recentemente precisato (Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023), che gli estremi della nullità della sentenza per vizio della motivazione, denunciabili ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., possono dirsi integrati quando «non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione», ciò non essendo, nondimeno, configurabile nel caso di «una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata» (cfr. Sez. 3, Ordinanza del 15 novembre 2019, n. 29721). Ovvero qualora la motivazione «risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile)» (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018). Mentre, «costituisce ius receptum il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre solo allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto
alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata» (Sez. 6-5, 8 giugno 2022, n. 26477, in motivazione).
5.3 Per altro verso, si è affermato che il vizio di cui all’art. 360, comma 1 , n. 5) cod. proc. civ., relativo all’omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), non è integrato dall’omesso esame di elementi istruttori qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Sez. 2, Ordinanza n. 17005 del 20/06/2024).
5.4 Ora, la lettura della sentenza impugnata consente di escludere che la medesima sia affetta dai vizi denunciati. Ed invero, la motivazione non solo è esistente, ma è articolata in modo tale da permettere di riscostruirne e comprenderne il fondamento.
Il percorso argomentativo della decisione muove, invero, proprio dalla contestazione dell’abuso di personalità giuridica, formulata nell’avviso di accertamento, la cui ricorrenza viene negata in radice dai giudici di seconda cura. La RAGIONE_SOCIALE, infatti, non potrebbe ritenersi ‘ mera fictio creata nell’esclusivo interesse della persona fisica’, posto che la medesima, sin dalla sua costituzione per scissione dalla RAGIONE_SOCIALE, ha effettivamente operato ‘nella gestione dell’area immobiliare con il relativo complesso industriale, costituito da più capannoni e fabbricati di raccordo’, come riconosciuto nel corpo dell’atto impositivo.
La constatazione dell’operatività della società è, dunque, secondo la C.T.R., circostanza di per sé sufficiente a contraddire
l’impostazione dell’Ufficio, anche avuto riguardo al fatto che ove le quote societarie fossero state cedute prima -e non dopo- la vendita dell’immobile da parte della RAGIONE_SOCIALE, egualmente la tassazione della plusvalenza relativa alla vendita sarebbe rimasta a carico della società e non dei soci o dell’amministratore.
Rispetto ad una simile ricostruzione, che dà rilievo ad una specifica circostanza -operatività della società- come dirimente nell’escludere l’abuso della personalità giuridica, non può sostenersi né che la motivazione sia omessa od apparente, né che -al di là della sua correttezza dal punto di vista giuridico- sia incomprensibile o inidonea ad assolvere alla funzione di esplicitare le ragioni della decisione. Né può affermarsi che la sentenza impugnata abbia omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di contraddittorio fra le parti, posto che non sono ‘fatti, nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio’ (così Sez. 2 – , Ordinanza n. 10525 del 31/03/2022, in motivazione).
Il secondo motivo è fondato.
6.1 La doglianza è rivolta, in primo luogo, a censurare l’errore di giudizio commesso dalla sentenza impugnata, nella parte in cui, ignorando l’elaborazione della giurisprudenza di legittimità, non riconosce la sussistenza dei tratti tipici dell’abuso della personalità giuridica. Questi consisterebbero, nel caso di specie, nell’utilizzo da parte dei soci NOME e NOME COGNOME dello schermo societario, al fine di gestire i proprii affari,
cedendo le proprie quote ad un prezzo favorevole ed ottenendo un vantaggio fiscale, all’esito di una operazione inidonea a soddisfare esigenze economiche della società, che dismettendo l’unico bene produttivo, l’aveva sostituito con un mero credito di natura finanziaria nei confronti di una società da sempre inoperativa.
6.2 L’abuso di personalità giuridica è figura elaborata da dottrina e giurisprudenza, che descrive il fenomeno che si ha quando un soggetto goda di una disciplina di favore in situazioni diverse da quelle che ne giustificano l’applicazione, in particolare allorché quel soggetto fruisca della limitazione della responsabilità, tipica delle società di capitali, oltre i limiti entro i quali il legislatore ha inteso contenerla. In altri termini si configura l’abuso di personalità giuridica quando un soggetto si nasconda dietro lo schermo di una società al fine di eludere un divieto convenzionale (es. patto di non concorrenza) o di legge, anche derivante da norme fiscali, dando a vita a società di comodo, oppure creando una società di capitali al fine di godere del più benevolo regime di responsabilità limitata, salvo gestirla come se fosse cosa propria.
6.3 Tipico esempio di abuso della personalità giuridica è, secondo la dottrina, la confusione di patrimoni e di sfere giuridiche. In particolare, ricorre un caso di confusione di patrimoni quando i beni appartenenti alla società vengono costantemente confusi con gli altri beni di carattere personale del socio, con conseguente impossibilità di imputazione certa di determinati beni ad un soggetto giuridico precisamente individuato. Il che contrasta con la volontà del legislatore che impone la costituzione di un patrimonio societario autonomo, a garanzia dei terzi creditori, e pretende esso sia effettivo evitando la sua utilizzazione per scopi estranei allo svolgimento dell’attività della società. Mentre la confusione di sfere giuridiche
ricorre laddove si crei un’apparenza in ordine all’esistenza di un’impresa individuale tramite l’occultamento della diversità soggettiva tra socio e società, che renda impossibile distinguere se un atto rientri nella sfera giuridica della società o in quella personale del socio.
Ulteriore ipotesi di abuso di personalità giuridica si ravvisa nell’ipotesi del c.d. socio tiranno, allorquando l’appartenenza della totalità o della quasi totalità delle quote o delle azioni ad un unico soggetto, si congiunga ad una gestione del tutto personalistica della società di capitali, volta unicamente a perseguire scopi personali del socio (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 20181 del 22/06/2022).
Si tratta di situazioni che spesso si sovrappongono e che giustificano il superamento dello schermo societario in modo tale da accollare al socio la responsabilità illimitata per le obbligazioni contratte dalla società di capitali, consentendo l’aggressione del suo patrimonio personale da parte dei creditori della società.
6.4 A ben vedere, l’abuso di personalità giuridica rientra nel più ampio concetto civilistico di abuso del diritto, che, pur privo anch’esso di definizione generale e di specifica sanzione positiva, è stato ritenuto ravvisabile allorquando ‘nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto rispetto al potere che lo prevede’ (così Sez. 3, Sentenza n. 20106 del 18/09/2009, in motivazione; la pronuncia richiama l’elaborazione giurisprudenziale del concetto di abuso del diritto, che deve ritenersi qui ritrascritta).
Si è, in buona sostanza, in presenza di un’estrinsecazione del canone di buona fede oggettiva, come rivisitato alla luce dei principi costituzionali, di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) e della funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), nonché ‘della
stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principii -di buona fede oggettiva e di abuso del diritto’si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l’interpretazione dell’atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l’abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall’ordinamento, si avrà abuso’ ( ibidem ). Il che conduce, in presenza dell’abuso, al rifiuto della tutela ai poteri e diritti esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva ( ibidem ) .
6.5 La figura dell’abuso del diritto ha trovato, invece, peculiare disciplina positiva in materia tributaria nell’art. 10 bis l. 212/2000, ed in precedenza nell’art. 37 bis d.P.R. 600/1973, rubricato ‘Disposizioni antielusive’, introdotto con il d. lgs. 358/1997 e abrogato dall’art. 1, comma d. lgs. 128/2015.
6.6 Al di là delle specifiche disposizioni normative, nondimeno, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che ‘In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati (nella specie, imposte sui redditi), nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi
nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione. (Sez. U, Sentenza n. 30055 del 23/12/2008; conf. Sez. U, Sentenza n. 30057 del 23/12/2008; Sez. 5, Sentenza n. 11236 del 20/05/2011; Sez. 5, Sentenza n. 21782 del 20/10/2011; Sez. 5, Sentenza n. 19234 del 07/11/2012; Sez. 5, Sentenza n. 3938 del 19/02/2014; Sez. 5, Sentenza n. 4603 del 26/02/2014; Sez. 5 – , Sentenza n. 5090 del 28/02/2017; Sez. 5, Sentenza n. 31772 del 05/12/2019; Sez. 5 – , Ordinanza n. 14674 del 27/05/2024).
6.7 Fatta questa lunga premessa, appare necessario, per dare soluzione al quesito posto con il motivo in esame, introdurre alcune brevi osservazioni sulla soluzione prospettata dalla sentenza impugnata.
6.8 La decisione, infatti, nega la sussistenza dell’abuso della personalità giuridica, in quanto ciò presupporrebbe che ‘la società ‘schermo’ costituisca una mera fictio , creata nell’esclusivo interesse della persona fisica’.
6.9 Ebbene, seppure il caso di artificiosa costituzione di una società nell’interesse di un solo soggetto e con lo scopo di ottenere, a suo esclusivo favore, vantaggi -anche fiscali- a mezzo dello schermo societario, costituisca senza dubbio un’ipotesi di abuso della personalità giuridica, non può tuttavia sostenersi che per realizzarsi detto fenomeno abusivo sia necessario che la società sia creata con quel preciso scopo.
Si può, invero, anche immaginare l’eventualità di una società che, pur non costituita a fini abusivi, nondimeno, nel corso della sua vita, magari perché acquisita da un unico socio o da un gruppo ristretto di soci, sia piegata ad una gestione del tutto personalistica di questi, rivolta alla realizzazione di loro scopi esclusivamente soggettivi.
Ecco, allora, che la semplice considerazione inerente alla non abusiva costituzione della società, non può rivelarsi dirimente per escludere l’abuso di personalità giuridica. Così come non lo è -di conseguenza- la circostanza che la medesima società abbia effettivamente posseduto un bene immobile, dalla cui gestione ha ricavato il proprio reddito, e che successivamente ha ceduto, posto che l’abuso dello schermo societario può collocarsi temporalmente in qualunque momento, senza, per forza, involgere l’intera vita sociale, anche precedente.
6.8 Ciò che, al contrario, deve essere indagato, per comprendere se ci si trovi di fronte ad una forma di abuso della personalità giuridica, che altro non è che una forma di realizzazione dell’abuso del diritto, è se le operazioni poste in essere, pur non contrastanti con alcuna disposizione, risultino distorte rispetto agli schemi negoziali classici, palesandosi come irragionevoli in una normale logica di mercato e siano perseguite solo per pervenire ad un determinato risultato fiscale (in questo senso, da ultimo Sez. 5, Ordinanza n. 14674 del 27/05/2024; Sez. 5, Ordinanza n. 16217 del 20/06/2018; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9610 del 13/04/2017; Sez. 5 , Sentenza n. 5090 del 28/02/2017).
6.9 E’, insomma, il difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla aspettativa di benefici fiscali, a rivelare l’abuso del diritto.
6.10 E’ pur vero, infatti, che è consentito al contribuente di preferire fra più alternative, quella che comporti una riduzione
di imposta o un risparmio fiscale, ma ciò che rende elusiva la sua condotta sta proprio nella distorsione dell’uso degli strumenti giuridici messi a disposizione dell’ordinamento, al fine esclusivo di ottenere quel vantaggio fiscale cui non avrebbe diritto, se l’operazione posta in essere fosse giustificata anche da valide e diverse ragioni economiche.
6.11 Ed invero, secondo la giurisprudenza di questa sezione ‘va esclusa l’abusività quando sia ravvisabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, non identificabili necessariamente in una redditività immediata dell’operazione, potendo rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda’ (Sez. 5, Sentenza n. 31772 del 05/12/2019).
E ciò, ‘fermo restando che incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale’ (Sez. 6 -5, Ordinanza n. 9610 del 13/04/2017).
6.12 Ora, la sentenza impugnata non si confronta adeguatamente con i principi sin qui enunciati, sbrigativamente sostenendo che l’essere la società RAGIONE_SOCIALE stata costituita per scissione dalla RAGIONE_SOCIALE e l’avere la medesima effettivamente operato attraverso la gestione dell’area e del complesso immobiliare, poi ceduti, conduca di per sé ad escludere l’abuso di personalità giuridica, senza approfondire né l’eventualità che proprio con l’operazione in discussione si sia realizzato, attraverso un uso distorto di strumenti giuridici, quello scollamento fra gli interessi economici della società ed il risultato dell’operazione, tutto a vantaggio dei
soci che hanno ottenuto un vantaggio fiscale, altrimenti non realizzabile.
6.13 Né appare chiaro -e pertanto merita un approfondimento motivazionale- che cosa la C.T.R. abbia inteso laddove ha affermato che ‘anche qualora i contribuenti avessero ceduto le proprie quote della RAGIONE_SOCIALE prima del trasferimento della proprietà dell’immobile e la società avesse proceduto successivamente alla vendita, l’esito dell’operazione sarebbe immutato rimanendo in ogni caso la plusvalenza tassabile a carico della società e non dei soci o dell’amministratore. Per l’effetto, l’avviso di accertamento conserva i propri effetti nei confronti della società, cui esso è destinato, ma non produce effetti nei confronti degli appellanti’.
6.14 Va, a questo punto, precisato che priva di qualsivoglia valore in questo giudizio appare la sentenza della Corte di appello di Milano n. 615/2020, prodotta dai controricorrenti con la memoria in data 31 ottobre 2024, che ha escluso la qualità di amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e NOME COGNOME trattandosi di pronuncia assunta nei confronti di altre parti, in un giudizio cui l’Agenzia delle Entrate non ha partecipato, che, peraltro, si fonda sull’inidoneità del quadro probatorio -colà offerto- a dimostrare tale loro qualità e che si pone, a sua volta in contrasto con la sentenza penale (pur all’epoca non irrevocabile) che tale qualità aveva riconosciuto (come si evince dalla stessa motivazione della decisione prodotta).
6.15 L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sez. stacc. Di Brescia, cui è demandata anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sez. stacc. di Brescia, cui demanda la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità
Così deciso in Roma il 14 novembre 2024