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WhatsApp messaggi come prova: Cassazione chiarisce

Un imprenditore, accusato di bancarotta fraudolenta tramite una complessa frode fiscale, ha impugnato l’ordinanza di custodia cautelare sostenendo l’inutilizzabilità dei messaggi WhatsApp, equiparati a intercettazioni illegali. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo un principio chiave: i messaggi WhatsApp e gli SMS memorizzati su un telefono costituiscono prova documentale (art. 234 c.p.p.), non intercettazioni. Pertanto, la loro acquisizione è legittima tramite semplice riproduzione, senza necessità di seguire le rigide procedure previste per le captazioni di comunicazioni.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

WhatsApp messaggi come prova: la Cassazione fa chiarezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 12746/2024) ha affrontato una questione di grande attualità nel processo penale: la natura giuridica dei WhatsApp messaggi come prova. La Corte ha stabilito che le conversazioni salvate nella memoria di uno smartphone non sono intercettazioni, ma prove documentali. Questa distinzione è fondamentale, poiché determina le regole per la loro acquisizione e il loro utilizzo nel processo. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’indagine per bancarotta fraudolenta aggravata. Un imprenditore era accusato di aver causato il fallimento di una società attraverso un complesso meccanismo di frode fiscale, noto come “frode carosello”, nel settore del commercio di idrocarburi. Lo schema, che aveva generato un debito verso l’Erario di oltre 15 milioni di euro, si basava sull’utilizzo di società “cartiere”, create al solo scopo di interporsi nelle transazioni per non versare l’IVA dovuta.

L’imprenditore, in qualità di rappresentante legale della società beneficiaria della frode, coordinava e dirigeva l’intero meccanismo. Le prove a suo carico provenivano in gran parte dall’analisi di chat WhatsApp estrapolate dai suoi dispositivi elettronici sequestrati, che ricostruivano dettagliatamente il suo ruolo nell’organizzazione criminale.

I Motivi del Ricorso e la questione dei WhatsApp messaggi come prova

A seguito dell’ordinanza che disponeva la sua custodia cautelare in carcere, l’indagato proponeva ricorso in Cassazione. Il motivo principale del ricorso si concentrava proprio sulla presunta inutilizzabilità dei WhatsApp messaggi come prova. La difesa sosteneva che tali messaggi, provenienti da un altro procedimento penale, dovessero essere equiparati a intercettazioni. Di conseguenza, la mancata trasmissione dei decreti autorizzativi di quelle presunte “captazioni” avrebbe impedito di verificarne la legittimità, rendendo le prove inutilizzabili.

In sostanza, la difesa tentava di applicare ai messaggi salvati sul telefono le rigide garanzie procedurali previste per le intercettazioni di comunicazioni in corso.

L’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile per genericità. I giudici hanno chiarito in modo definitivo la differenza tra intercettazioni e messaggi memorizzati su un dispositivo.

– I messaggi WhatsApp e gli SMS salvati nella memoria di un telefono non sono comunicazioni in corso di svolgimento, ma rappresentano la documentazione di comunicazioni già avvenute. Hanno, quindi, natura di prova documentale ai sensi dell’art. 234 del codice di procedura penale.
– Le intercettazioni, invece, consistono nella captazione di un flusso di comunicazioni in tempo reale, un’attività investigativa molto più invasiva che richiede, per legge, un decreto motivato del giudice e il rispetto di procedure stringenti.

Essendo documenti, i messaggi possono essere legittimamente acquisiti tramite una semplice copia o riproduzione (ad esempio, una copia forense del dispositivo o la trascrizione nelle informative di polizia), senza che sia necessario applicare la disciplina delle intercettazioni.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per due ragioni principali.

In primo luogo, il motivo era aspecifico, poiché non si confrontava con la motivazione del provvedimento impugnato, il quale aveva già correttamente qualificato i messaggi come prove documentali e non come intercettazioni. La difesa, quindi, contestava un presupposto errato.

In secondo luogo, la richiesta di acquisire i decreti autorizzativi è stata definita meramente esplorativa. Il ricorrente non aveva indicato alcun vizio specifico di illegittimità, ma si era limitato a sollevare un dubbio generico, sperando di trovare un appiglio formale. Un ricorso, per essere ammissibile, deve indicare con precisione le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che lo sostengono.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale ormai pacifico e di fondamentale importanza pratica. La distinzione tra flusso di comunicazioni (oggetto di intercettazione) e dato memorizzato (oggetto di sequestro e prova documentale) è netta. Questa decisione conferma che le conversazioni digitali salvate sui nostri dispositivi possono entrare a pieno titolo nel processo come documenti, semplificando l’attività di acquisizione probatoria per gli inquirenti. Per le difese, ciò significa che le contestazioni non possono basarsi su generiche violazioni delle norme sulle intercettazioni, ma devono, se del caso, concentrarsi sulle modalità di sequestro e di estrazione del dato digitale.

I messaggi WhatsApp trovati su un telefono sequestrato sono considerati intercettazioni?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di prova documentale (art. 234 c.p.p.), in quanto rappresentano la registrazione di comunicazioni già avvenute, e non di intercettazioni, che invece riguardano la captazione di comunicazioni in corso.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile principalmente perché generico e aspecifico. La difesa ha erroneamente qualificato i messaggi come intercettazioni senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato che li aveva già classificati come documenti. Inoltre, la richiesta era esplorativa, non indicando alcun profilo di illegittimità concreto.

Qual è la differenza pratica nell’acquisizione di un messaggio WhatsApp rispetto a un’intercettazione?
La differenza è sostanziale. Un’intercettazione richiede un decreto motivato del giudice e segue una procedura molto rigorosa. Un messaggio WhatsApp, essendo una prova documentale, può essere legittimamente acquisito tramite sequestro del dispositivo e successiva riproduzione (ad es. tramite copia forense o trascrizione), una procedura molto più semplice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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