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Voto di scambio: la Cassazione e la custodia cautelare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato per il reato di voto di scambio politico-mafioso, confermando la misura della custodia cautelare in carcere. La Corte ha ritenuto logica e coerente la valutazione dei giudici di merito sull’esistenza di un accordo tra l’esponente politico e membri di un’associazione criminale per ottenere voti in cambio di future utilità. È stata inoltre confermata la sussistenza delle esigenze cautelari, in particolare il pericolo di reiterazione del reato, ritenendo non superata la presunzione di adeguatezza della massima misura restrittiva prevista per questo tipo di delitti.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Voto di Scambio e Mafia: La Cassazione sulla Custodia Cautelare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6019 del 2024, si è pronunciata su un caso delicato di voto di scambio politico-mafioso, confermando la linea dura in materia di misure cautelari. La decisione offre importanti spunti di riflessione sui criteri di valutazione della prova indiziaria e sulla presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per i reati connessi alla criminalità organizzata.

I Fatti del Caso: La Contestazione del Reato

Il caso riguarda un esponente politico indagato per il reato di cui all’art. 416-ter del codice penale. L’accusa era quella di aver stretto un patto con esponenti di un noto clan camorristico per ottenere il loro sostegno elettorale durante un turno di ballottaggio. In cambio, l’indagato avrebbe promesso future utilità, come denaro, assunzioni e favoritismi nell’assegnazione di appalti pubblici.

L’indagato, tramite il suo difensore, aveva impugnato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, sostenendo la propria estraneità ai fatti. La difesa evidenziava l’assenza di contatti diretti con figure di spicco del clan e il fallimento di tentativi di avvicinamento da parte di quest’ultimi. Le conversazioni intercettate, a dire della difesa, erano di natura meramente politica e l’accordo raggiunto con altri soggetti era condizionato proprio alla non ingerenza della camorra.

La Decisione del Tribunale del Riesame

Il Tribunale del Riesame aveva rigettato la richiesta, confermando la misura cautelare. I giudici avevano ritenuto pienamente sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, basandosi su un’analisi complessiva degli elementi raccolti, tra cui intercettazioni, denunce e indagini di polizia giudiziaria.

Secondo il Tribunale, l’indagato era pienamente consapevole della caratura criminale dei suoi interlocutori e della natura illecita dell’accordo. Il patto politico-camorristico era finalizzato a orientare un “tesoretto” di voti controllati dal clan in una zona specifica della città, rivelatosi decisivo per l’esito elettorale. Il Tribunale aveva inoltre confermato la sussistenza delle esigenze cautelari, ritenendo attuale il pericolo di reiterazione del reato a causa dei solidi legami tra l’indagato e l’ambiente criminale.

L’Analisi della Corte di Cassazione sul voto di scambio

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso relativi alla sussistenza del reato e infondati quelli relativi alle esigenze cautelari.

I giudici di legittimità hanno sottolineato che il ricorrente si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dal Tribunale del Riesame, senza contestare specificamente la logicità della motivazione. La Cassazione non può effettuare una nuova valutazione dei fatti, ma solo verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica della decisione impugnata. In questo caso, la ricostruzione operata dai giudici di merito è stata ritenuta priva di manifeste illogicità e basata su una valutazione complessiva e coerente degli indizi.

La questione delle esigenze cautelari

Sul fronte delle misure cautelari, la Corte ha confermato la correttezza dell’operato del Tribunale. È stato ribadito il principio secondo cui, per i reati aggravati dal metodo mafioso come il voto di scambio, vige una presunzione relativa di adeguatezza della sola custodia in carcere (art. 275, comma 3, c.p.p.). Questa presunzione può essere superata solo fornendo elementi specifici che dimostrino che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con misure meno afflittive. Nel caso di specie, la difesa non è riuscita a fornire tali elementi. Anzi, il radicamento dell’indagato nell’intreccio tra politica e camorra è stato ritenuto un fattore tale da rendere concreto e attuale il pericolo di recidiva, rendendo inadeguata qualsiasi misura diversa dal carcere.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri principali. Il primo riguarda i limiti del giudizio di legittimità: la Cassazione non è un terzo grado di merito e non può sostituire la propria valutazione a quella, logicamente argomentata, dei giudici delle fasi precedenti. L’interpretazione delle intercettazioni, se non palesemente travisata, è una questione di fatto riservata al giudice di merito.

Il secondo pilastro è l’applicazione rigorosa della normativa sulle misure cautelari in materia di criminalità organizzata. La presunzione di adeguatezza della custodia in carcere non è una formalità, ma risponde all’esigenza di contrastare efficacemente fenomeni criminali di particolare gravità. Il collegamento stabile con esponenti di un clan, l’entità degli interessi economici in gioco e la pervicacia dimostrata sono elementi che, secondo la Corte, giustificano ampiamente la prognosi infausta sulla reiterazione di condotte analoghe, anche a fronte dello scioglimento del consiglio comunale, ritenuto un evento non risolutivo.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di voto di scambio politico-mafioso. Viene riaffermata la centralità della valutazione complessiva e logica del compendio indiziario da parte del giudice di merito, la cui decisione è difficilmente scalfibile in sede di legittimità se ben motivata. Inoltre, la pronuncia conferma la forza della presunzione legale che impone la custodia in carcere come misura prioritaria per contrastare le infiltrazioni mafiose nel tessuto politico e sociale, ponendo a carico della difesa un onere probatorio particolarmente gravoso per ottenere misure alternative.

Quando è giustificata la custodia in carcere per il reato di voto di scambio?
Per il reato di voto di scambio politico-mafioso (art. 416-ter c.p.), la legge prevede una presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere. Secondo la sentenza, questa misura è giustificata a meno che non vengano forniti elementi specifici e concreti che dimostrino che il pericolo di reiterazione del reato possa essere contenuto con misure meno severe. Il profondo radicamento dell’indagato in contesti di commistione tra politica e criminalità organizzata rafforza tale presunzione.

Come valuta la Cassazione le prove di un accordo politico-mafioso?
La Cassazione non valuta direttamente le prove, ma controlla la logicità e la coerenza della motivazione con cui il giudice di merito (in questo caso, il Tribunale del Riesame) le ha valutate. La Corte ha ritenuto corretta una valutazione complessiva degli indizi (intercettazioni, indagini, dichiarazioni), che, letti in maniera coerente, permettevano di desumere l’esistenza di un patto illecito e la piena consapevolezza dell’indagato, anche in assenza di prove dirette.

La dissoluzione del consiglio comunale può far venir meno il pericolo di reiterazione del reato?
No. Secondo la sentenza, la dissoluzione del consiglio comunale non è un evento di per sé sufficiente a eliminare il pericolo di reiterazione. I giudici hanno ritenuto che i legami stabili dell’indagato con l’organizzazione criminale e la sua capacità di mettere a disposizione la propria rete di contatti rendessero ancora concreto e attuale il rischio di future condotte illecite, a prescindere dalla carica politica ricoperta in quel momento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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