Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19122 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19122 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di: COGNOME NOME, nato a Milano, il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 22/11/2023 della Corte di Appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale del medesimo capoluogo in data 16 novembre 2022, che aveva riconosciuto la responsabilità del ricorrente per il reato di truffa aggravata (per il valore ingente del danno patrimoniale provocato e per la recidiva qualificata contestata e ritenuta), con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti. La truffa aveva ad oggetto somme di danaro consegnate dalle vittime raggirate in vista della definizione transattiva, artificiosamente prospettata, della procedura di esecuzione immobiliare inerente la vendita dell’immobile.
Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo:
1. violazione e falsa applicazione della legge penale e omessa valutazione delle conclusioni scritte depositate per l’udienza di appello (art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 124, 640, comma primo, 85 d.lgs. 150/2022), la Corte pur avendo dato atto della tardività della querela proposta per reato inizialmente procedibile ex officio (in ragione dell’aggravante contestata) e poi divenuto procedibile solo a querela della persona offesa, aveva illegittimamente ritenuto che la mantenuta costituzione di parte civile, anche in appello, potesse tener luogo della querela, in quanto manifestazione della volontà di veder punito l’autore del fatto;
2. vizio esiziale di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) per travisamento di prova inesistente e omessa valutazione di una prova inesistente, non avendo la Corte rilevato il deficit istruttorio che aveva caratterizzato l’accertamento del fatto in primo grado, non avendo la polizia giudiziaria delegata dal Pubblico ministero proceduto a verificare se l’agente avesse o meno interpellato il creditore delle vittime del raggiro nell’ottica di una definizione transattiva della vicenda espropriativa, il che rappresentava l’oggetto della prestazione offerta alle persone offese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono infondati, in forma manifesta.
1. In ordine alla procedibilità dell’azione penale, per essere intempestiva l’originaria querela sporta e mai più successivamente riproposta, la sentenza impugnata ha affrontato a pagina 5 (primo capoverso) la questione in diritto dirimente.
1.1. All’epoca dei fatti (2018) il reato di cui all’art. 646 cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 61, primo comma, n. 5 cod. pen., era procedibile d’ufficio. Mentre, avendo il primo giudice escluso la sussistenza dell’aggravante della minorata difesa, il reato deve ritenersi procedibile a querela della persona
offesa. Come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, «è stata predisposta una disciplina transitoria (art. 12) per regolare le modalità con le quali, in relazione ai reati per i quali è mutato regime di procedibilità, la persona offesa viene messa nelle condizioni di valutare l’opportunità di esercitare nei termini il diritto di formulare l’atto propulsivo» (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551). Pertanto, «è al momento dell’entrata in vigore della nuova legge ovvero da quello in cui la persona offesa ha avuto notizia della facoltà di proporre querela che vanno svolte le valutazioni relative alla ritualità della condizione di procedibilità, a nulla rilevando eventuali “deficit” legati a momenti processuali differenti in cui tale condizione non era affatto richiesta. Trattasi, invero, di due segmenti procedimentali diversi rispetto ai quali il regime transitorio determina un’autonoma apertura del termine per proporre l’istanza di punizione in tutti i casi in cui in precedenza la procedibilità era – come nel caso di specie ex officio. Altrimenti si giungerebbe all’irragionevole risultato di consentire la procedibilità, ex art. 12 della nuova legge, a mere denunzie alle quali è poi seguita una (tardiva) manifestazione di volontà di punizione, escludendola rispetto ad atti, quale quello costituito da una querela irrituale che, in ragione del regime di procedibilità ex officio del tempo del commesso reato, avevano, ai fini della procedibilità, l’identica valenza di notitia criminis» (così Sez. 2, n. 13775 del 30/01/2019, COGNOME, non mass. sul punto; in senso conforme Sez. 2, n. 11970 del 22/01/2020, COGNOME, non mass. sul punto, nonché Sez. 2, n. 29357 del 22/07/2020, COGNOME, non mass.; da ultimo, Sez. 2, n. 48277 del 24/11/2022, p. civ. in proc. COGNOME ed altro, non mass.; Sez. 2, n. 23341 del 13/5/2021, Rv. 281465; Sez. 2, n. 16760, del 19/1/2023, Rv. 284526).
Il Collegio condivide detti principi, di recente ribaditi da questa Corte con riferimento alla normativa introdotta dal d.lgs. 150/2022, sulla base di un chiaro principio di ragionevolezza: diversamente opinando, infatti, «la persona offesa che avesse presentato una mera denunzia (o che non l’avesse presentata affatto, essendosi aliunde appresa la notitia criminis) avrebbe il diritto di essere avvisata della facoltà di proporre querela, mentre quella che avesse proposto tardivamente un atto qualificabile come querela, all’epoca non necessaria, verrebbe sanzionata con una declaratoria d’improcedibilità dell’azione penale» (fra i provvedimenti non massimati, Sez. 7, n. 38981 del 27/09/2022, COGNOME; Sez. 2, n. 38379 del 14/09/2022, COGNOME; Sez. 2, n. 1728 del 01/12/2021, dep. 2022, COGNOME; Sez. 2, n. 1707 del 29/10/2021, dep. 2022, COGNOME; Sez. 2, n. 45902 del 27/10/2021, COGNOME). E stato così superato il contrario orientamento, espresso in due sole pronunzie (Sez. 2, n. 8823 del 04/02/2021, COGNOME, Rv. 280764; Sez. 2, n. 12410 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279057), ove si faceva un improprio riferimento
a un diniego di una “rimessione in termini” rispetto ad un “termine” all’epoca inesistente. Nel caso che ne occupa, la persona offesa aveva espresso la propria istanza punitiva, non solo presentando una querela, tempestiva o tardiva che fosse; ma, soprattutto, costituendosi parte civile, cosicché superfluo era l’avviso del mutato regime di procedibilità, in conformità al principio statuito dalle Sezioni unite, con la sentenza Salatino (successivamente ribadito da Sez. 5, n. 44114 del 10/10/2019, Giamo, Rv. 277432). Deve pertanto riconoscersi nella fattispecie un principio di immanenza della voluntas puniendi, manifestata dalla persona offesa con l’esercizio di facoltà processuali incompatibili con la volontà di lasciar correre il torto subito.
1.2. La Corte di merito aveva ben argomentato il proprio convincimento, richiamando proprio l’evidente e dirimente efficacia euristica della costituzione di parte civile, incompatibile con una volontà abdicativa. Il motivo di ricorso speso sul punto tradisce pertanto manifesta infondatezza.
Quanto al secondo motivo, le deduzioni difensive sono eccentriche rispetto alla decisione impugnata, nella parte in cui, con accertamento di merito qui non rivedibile, in quanto basato su dati di fatto non valutabili nel giudizio di legittimità, la Corte di appello ha affermato come fosse emerso che consistenti somme di denaro erano uscite dal dominio degli offesi per essere incassate dall’imputato, in ragione del raggiro rappresentato dagli artifizi posti in essere dall’imputato, che aveva convinto le persone offese della concreta possibilità di definire transattivamenté la procedura di esecuzione immobiliare, evitando la vendita dell’immobile.
In presenza di ricorso inammissibile, la decisione di merito sull’accertamento del fatto e l’attribuzione della penale responsabilità cristallizza i suoi effetti alla data di emissione della sentenza di appello (26.1.2022). Il decorso del tempo successivo a tale evento non può essere quindi efficacemente computato ai fini del calcolo del termine complessivo della prescrizione (Sez. U. n. 21 del 22/10/2000, Rv. 217266; più recentemente, Sez. 6, n. 58095, del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 271965, in motivazione).
Segue alla inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che stimasi equo determinare in euro tremila.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 marzo 2024.