Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2559 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2559 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, n. RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/02/2023 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con trasmissione RAGIONE_SOCIALE atti alla Procura della Repubblica di RAGIONE_SOCIALE; udito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8 febbraio 2023, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la decisione con cui il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni tre di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 5-septies d.l. 28 giugno 1990, n. 167, conv., con modiff., dalla I. 4 agosto 1990, n. 227, per aver fornito dati e notizie non corrispondenti al vero nell’ambito dell’intrapresa procedura di collaborazione volontaria per l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute all’estero di cui al precedente art 5-quater del citato provvedimento.
Avverso la sentenza di appello, a mezzo dei difensori fiduciari, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, l’inosservanza dell’art. 8, comma 1, cod. proc. pen. e l’errata applicazione dell’art. 5-quater d.l. n. 167 del 1990 e dei provvedimenti del direttore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aAVV_NOTAIOati nel 2015 in attuazione della richiamata disciplina sulla collaborazione volontaria. Si lamenta, in particolare, che la Corte territoriale aveva respinto la doglianza sull’eccepita incompetenza territoriale del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE – individuato quale giudice territorialmente competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente e del fatto che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata competente alla lavorazione della pratica – essendo invece competente il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, ove ha sede la RAGIONE_SOCIALE presso la quale il ricorrente aveva presentato la domanda di volontaria collaborazione e che era divenuta competente ai fini della liquidazione RAGIONE_SOCIALE importi dovuti in alternativa al RAGIONE_SOCIALE per le istanze di adesione alla voluntary disclosure presentate per la prima volta dopo il 10 novembre 2015. Certamente non poteva invece dirsi competente il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, la cui RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva materialmente provveduto alla liquidazione RAGIONE_SOCIALE importi dovuti quale ente gerarchicamente sottoposto alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva peraltro inciso significativamente nella lavorazione della pratica. Nel caso di specie – si precisa – l’istanza del ricorrente doveva ritenersi presentata il 30 dicembre 2015, con l’ultima trasmissione di documentazione ed informazioni, che aveva sostituito quella originariamente presentata il precedente 24 ottobre e che, in forza RAGIONE_SOCIALE circolari attuative aAVV_NOTAIOate dal direttore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dovevano considerarsi come l’unica (e, dunque, la prima) istanza trasmessa ai fini della procedura. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 188 cod. proc. pen. nell’assunzione, da parte del pubblico ministero, RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese
a sommarie informazioni testimoniali dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME in data 5 dicembre 2017 e la loro conseguente inutilizzabilità ai sensi dell’art. 191 cod. proc. pen., con inutilizzabilità in via derivata RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dal medesimo rese nell’esame dibattimentale nel corso del quale erano state più volte mosse contestazioni, ex art. 500 cod. proc. pen., sulla base del precedente verbale di s.i.t. Quelle dichiarazioni – allega il ricorrente – avevano avuto incidenza determinate ai fini della ritenuta prova dei fatti contestati.
Nel respingere l’eccezione di inutilizzabilità, la Corte territoriale si era limit ad osservare che il AVV_NOTAIO. COGNOME – in allora praticante avvocato che aveva professionalmente collaborato, con i colleghi di studio, nell’assistere il ricorrente nella procedura di voluntary discosure -non aveva opposto, né ciò gli era stato impedito, il segreto professionale in sede di s.i.t. e non poteva dunque opporlo in sede di esame dibattimentale, trascurando di considerare che dalle intercettazioni telefoniche emergeva chiaramente come le prime dichiarazioni fossero state acquisite contra legem in violazione della libertà di autodeterminazione del dichiarante e fossero pertanto inutilizzabili anche in via derivata. In particolare allega il ricorrente – dalle conversazioni intercettate intercorse tra il AVV_NOTAIO. COGNOME e i suoi colleghi di studio e tra il primo ed i suoi genitori emergeva chiaramente il contesto di coartazione ed intimidazione in cui si era svolta l’assunzione RAGIONE_SOCIALE s.i.t. e la conseguente violazione della libertà morale del praticante avvocato, assalito dalla paura di essere coinvolto come indagato nel procedimento se non avesse reso dichiarazioni che riscontravano l’ipotesi di accusa. Proprio a causa della coazione sofferta – rileva il ricorrente – l’AVV_NOTAIO non si era avvalso del segreto professionale, in tal senso dovendosi interpretare la dichiarazione al proposito resa a dibattimento (“non me ne sono avvalso perché non sono stato nelle condizioni”). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per le medesime ragioni appena esposte, con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 200 cod. proc. pen. nell’assunzione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese a s.i.t. dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME in data 5 dicembre 2017 e la loro conseguente inutilizzabilità ai sensi dell’art. 191 cod. proc. pen., con inutilizzabilità i derivata RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dal medesimo rese nell’esame dibattimentale. Le pressioni esercitate dagli interroganti nell’assunzione RAGIONE_SOCIALE s.i.t. – si rilev integrano quella coazione alla testimonianza, vietata dall’art. 200, comma 1, cod. proc. pen., su quanto appreso dal dichiarante nello svolgimento dell’attività professionale in relazione al quale è data facoltà di opporre il segreto.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 103, comma 5, cod. proc. pen. con conseguente inutilizzabilità della conversazione telefonica intercettata tra l’imputato e l’AVV_NOTAIO in data 19 settembre 2017, utilizzata,
unitamente alle dichiarazioni da quest’ultimo rese, quale unica fonte di prova per affermare la falsità dell’attestazione relativa alla dislocazione territoriale del opere d’arte. Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata – si rileva – la tutela prevista dall’invocata disciplina opera anche con riguardo all’attività che il professionista legale svolge pur in assenza di formale mandato ed in contesti giudiziari diversi da quello penale e, per le ragioni esposte nei precedenti due motivi di ricorso, non poteva operare neppure l’eccezione prevista dall’art. 271, comma 2, cod. proc. pen.
Richiamando taluni passaggi della sentenza di primo grado, riportati in quella qui impugnata, con riguardo alla richiamata conversazione telefonica, il ricorrente rileva, inoltre, come i giudici sembrino aver richiamato un’ipotesi di istigazione al reato nei confronti del ricorrente da parte dell’AVV_NOTAIO, senza aver tuttavia effettuato una denuncia di reato e senza averne tratto le dovute conseguenze sul piano processuale, vale a dire l’inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese d professionista in veste di testimone, piuttosto che di indagato con la necessaria assistenza difensiva e le garanzie di legge.
6. Con il quinto motivo si lamentano violazione della norma incriminatrice e vizio di motivazione con riguardo, innanzitutto, alla ritenuta falsità circa la qualifi di collezionista di opere d’arte – anziché di mercante – dichiarata dal ricorrente nella volontaria collaborazione. Al di là dell’illogicità della conclusione, affermat in base ad indizi inconcludenti, il ricorrente rileva come la qualifica di collezionist sia stata in realtà affermata non da lui, ma dal suo professionista nella relazione di accompagnamento e si trattasse dunque di una valutazione tecnica che avrebbe dovuto condurre alla conclusione dell’insussistenza del mendacio del contribuente, come dalla Corte territoriale ritenuto con riguardo all’ambito oggettivo della dichiarazione, che aveva parimenti costituito motivo di addebito, ritenuto fondato in primo grado ed escluso invece in grado di appello. Si rileva, del resto, che, diversamente da quanto stabilito nella previgente disciplina normativa – e da quanto il legislatore si propone di fare con il progetto di riforma fiscale attualmente all’esame del Parlamento – il vigente t.u.i.r. non contiene una oggettiva disciplina sul regime fiscale applicabile alle cessioni di opere d’arte effettuate da una persona fisica. In ogni caso, la qualifica soggettiva di collezionista attribuita al ricorre dal suo professionista non era un’affermazione destinata a provare la verità del fatto, ma una valutazione tecnica, fondata su notizie e dati veritieri forniti d contribuente, insuscettibile di trarre in inganno il pubblico ufficiale cui dichiarazione era destinata, al quale erano stati sottoposti i dati necessari per effettuare una (eventualmente diversa) valutazione. Ai fini dell’integrazione del reato contestato, la non veridicità della dichiarazione deve ricadere su quanto
oggetto di valutazione da parte del professionista e non sull’esito della valutazione stessa.
6.1. Quanto al mendacio contestato con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente rileva l’insussistenza del fatto di reato poiché detta società non era neppure menzionata nella relazione accompagnatoria. Né vi era stata dolosa omissione del bigliettino da visita in forza del quale si era ritenuto di ricondurr all’imputato tale società, essendo stati al proposito forniti chiarimenti e documenti nel successivo contraddittorio con l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dalle cui conclusioni circa la riconducibilità di quella società al figlio dell’imputato la sentenza si era discosta in base a premesse prive di valore inferenziale, essendosi valorizzate conversazioni intrattenute nel 2017 e non negli anni d’imposta oggetto della voluntary discosure.
6.2. Ci si duole, inoltre, della ritenuta rilevanza penale dell’omessa dichiarazione di titolarità della società RAGIONE_SOCIALE, che, in quanto acquisita nel 2014, era irrilevante rispetto al periodo (2009-2013) oggetto della volontaria collaborazione e non rientrava quindi nell’obbligo giuridico di dichiarazione.
6.3. Quanto al contestato mendacio relativo alla collocazione all’estero di opere d’arte detenute invece in Italia, al di là del fatto che la dichiarazione er imputabile al professionista e non al contribuente, si lamenta che l’attestazione penalmente sanzionata riguardava la situazione esistente sino al 2013, sicché, per un verso non vi era prova della detenzione in Italia di opere in quel periodo e, per altro verso, era irrilevante, ai fini del reato contestato, il proposito di mantene in futuro all’estero il patrimonio investito in opere d’arte.
6.4. Da ultimo, con riguardo all’addebito concernente la falsità della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà datata 2 settembre 2015, per un verso si richiama l’inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE elementi di prova adAVV_NOTAIOi per affermare la penal responsabilità alla luce di quanto argomentato nei motivi secondo, terzo e quarto del ricorso; per altro verso ci si duole dell’omessa risposta alla doglianza contenuta nell’atto di appello sulla conclusione che sarebbe falsa e attribuibile all’imputato la dichiarazione sostitutiva del 2 settembre 2015, mentre non lo sarebbe quella del 21 dicembre 2015, trattandosi di dichiarazioni entrambe redatte dal professionista con analoghe modalità anche formali.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta la manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’omessa riduzione della pena pur avendo la Corte territoriale riconosciuto l’insussistenza della più rilevante contestazione di falso quella concernente l’ambito oggettivo della procedura di voluntary disclosure.
Con memoria del 6 ottobre 2023, i difensori dell’imputato hanno proposto un nuovo motivo allegando la sopravvenuta estinzione del reato alla data del 30 giugno 2022, non essendovi cause di sospensione e dovendo collocarsi il tempus commissi delicti del reato istantaneo contestato al 30 dicembre 2015, e non già al 26 aprile 2016 come indicato in imputazione, vale a dire al momento dell’invio alla RAGIONE_SOCIALE Regionale dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE della relazione di accompagnamento alla domanda di ammissione alla procedura di collaborazione volontaria.
Con memoria dell’8 ottobre u.s., il Procuratore generale, ritenendo fondato il primo motivo di ricorso sull’incompetenza per territorio, ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con trasmissione RAGIONE_SOCIALE atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, ritenuto competente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato, sia pur per ragioni giuridiche diverse da quelle adAVV_NOTAIOe nella sentenza impugnata.
1.1. Nel decidere l’impugnazione cautelare proposta da NOME COGNOME con riguardo al sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato oggetto di contestazione nei suoi confronti a suo tempo disposto, questa Corte ha già condivisibilmente osservato che il reato di cui all’art. 5-septies, d.l. 28 giugno 1990, n. 167, conv., con modiff., dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, volto a garantire il corretto svolgimento della procedura di “collaborazione volontaria” di cui all’art. 5-quater del medesimo decreto, mira a garantire che siano forniti all’autorità finanziaria tutti i dati e le notizie rilevanti ai fini della individuaz regime fiscale applicabile, e, quindi, della determinazione dell’esatto ammontare RAGIONE_SOCIALE imponibili (Sez. 3, n. n. 27603 del 14/07/2020, COGNOME, Rv. 280279-02). Si è altresì precisato che il relativo profitto si identifica nelle somme non versate a Fisco per effetto della esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi o dell comunicazione di dati e notizie non rispondenti al vero nell’ambito della procedura di voluntary disclosure, trattandosi del vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito (Sez. 3, n. 27603 del 14/07/2020, COGNOME, Rv. 280279-03).
Non v’è dubbio, pertanto, che la fattispecie – introAVV_NOTAIOa in una legge intitolata Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denar dalla I. 15 dicembre 2014, n. 186, recante, tra l’altro, Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale sia finalizzata alla corretta imposizione fiscale nell’ambito della riconosciuta possibilità per i contribuenti che detengono patrimoni
occulti al di fuori del territorio nazionale di regolarizzare la propria posizio denunciando spontaneamente all’Amministrazione finanziaria la violazione RAGIONE_SOCIALE obblighi di monitoraggio fiscale imposti dall’art. 4, comma 1, d.l. n. 167/1990. Pur strutturata in termini di reato di pericolo, la fattispecie è dunque diretta tutelare le RAGIONE_SOCIALE tributarie dello Stato, sicché, trattandosi di reato finanziar contemplato da una legge finanziaria diversa dal d.lgs. n. 74/2000 – che, per i reati nello stesso previsti, all’art. 18 detta regole speciali, confermando soltanto in via residuale l’individuazione della competenza per territorio con riguardo al giudice del luogo di accertamento del reato – viene in rilievo l’art. 21, comma 3, I. 7 gennaio 1929, a mente del quale per i reati preveduti dalle leggi finanziarie, a cui si riferisce la disciplina tuttora vigente contenuta nel Titolo III della legge, competenza per territorio è determinata dal luogo dove il reato è accertato». In forza dell’art. 210 disp. coord. cod. proc. pen. detta disposizione speciale continua infatti ad applicarsi in deroga alle disposizioni generali in materia di competenza, anche per territorio, previste dal codice di rito.
1.2. Ciò premesso in diritto, osserva che il Collegio che, sulla base della non contestata ricostruzione del fatto operata nelle sentenze di merito, non v’è dubbio che il luogo di accertamento del reato sia stato RAGIONE_SOCIALE.
Come correttamente argomentato dai giudici di merito – sia pur nella diversa prospettiva del luogo di consumazione del reato ex art. 8, comma 1, cod. proc. pen., che ha comunque conAVV_NOTAIOo alla medesima conclusione qui ritenuta va innanzitutto osservato che la pratica relativa alla voluntary discosure, benché telematicamente presentata dall’odierno ricorrente all’indirizzo della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, è stata concretamente lavorata dagli uffici della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, che ha poi provveduto alla liquidazione RAGIONE_SOCIALE imposte dovute, come riferito dal suo funzionario NOME COGNOME, le cui dichiarazioni sono riportate alle pagg. 112 s. della sentenza impugnata senza che gli occasionali interventi da parte della RAGIONE_SOCIALE indicati in ricorso, e ben presenti alla Corte territoriale, inficin correttezza della conclusione. In secondo luogo – e ai fini di cui si discute il rilie è assorbente – va poi rimarcato che dalle stesse sentenze (v., in particolare, sent. impugnata, pagg. 68 ss. e 121) si ricava come, a fronte di un controllo definito “blando” da parte della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE – che aveva provveduto a quantificare l’imposta dovuta e le sanzioni sulla base di quanto rappresentato dal contribuente, senza effettuare ulteriori indagini – è stata soltanto la penetrante attività di indagine compiuta dalla locale Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, che ha permesso di accertare la falsità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese da NOME COGNOME nella procedura di collaborazione volontaria. Deve pertanto affermarsi che il reato è stato accertato
in RAGIONE_SOCIALE e che il relativo Tribunale è territorialmente competente ai sensi dell’art. 21, comma 3, I. n. 4/1929.
1.3. Al proposito, questa Corte ha infatti già avuto modo di precisare che la competenza per territorio prevista dall’art. 21 della legge n. 4 del 1929 per i reati finanziari va determinata nel “luogo dell’accertamento”, che coincide con la sede dell’Ufficio in cui è stata compiuta una effettiva valutazione RAGIONE_SOCIALE elementi che depongono per la sussistenza della violazione, inteso quale sede dell’autorità giudiziaria requirente che, disposte le indagini per verificare l’esistenza d irregolarità tributarie, ne aveva apprezzato i risultati, essendo invece irrilevante tal fine il luogo di acquisizione dei dati e RAGIONE_SOCIALE informazioni da valutare (Sez. 3, n 11978 del 09/01/2014, COGNOME, Rv. 258732). Nessun rilievo può dunque riconoscersi al fatto che l’istanza di voluntary disclosure sia stata trasmessa telematicamente alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (e da questa poi smistata per la concreta lavorazione della pratica all’ufficio RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE).
Il secondo ed il terzo motivo – da esaminarsi congiuntamente perché obiettivamente connessi ed in larga parte sorretti da analoghe argomentazioni sono parimenti infondati.
2.1. Va in primo luogo rilevato che nel caso di specie non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 188 cod. proc. pen., disposizione, peraltro, neppure evocata nell’atto di appello, stando al non contestato riepilogo dei motivi di ricorso effettuato nella sentenza impugnata (v. pagg. 83 ss.).
Riproducendo tra le disposizioni generali sulle prove l’identica previsione dettata con riguardo all’interrogatorio dall’art. 64, comma 2, cod. proc. pen., la disposizione invocata dal ricorrente prevede che «non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti». Come precisato anche nella Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale che, esemplificativamente, indica narcoanalisi, lie detector, ipnosi e siero della verità – la norma, oggettivamente riferibile, in particolar modo, alla prova dichiarativa, bandisce dalla sede processuale, anche per la scarsa attendibilità che viene loro generalmente riconosciuta, l’impiego di strumenti che, agendo dall’esterno sul soggetto (dichiarante), possono condizionarne la libera autodeterminazione o alterarne le capacità psichiche. Al di là della voluntas legislatoris, in aderenza alla lettera ed alla ratio della disposizione, la cui rubrica fa riferimento alla tutela della libertà morale della person nell’assunzione della prova, ad avviso del Collegio la norma ben può essere in generale riferita al divieto di conAVV_NOTAIOe di coartazione esercitate nei confronti de dichiarante, ma – per farne derivare la conseguenza processuale prevista dall’art.
191, comma 1, cod. proc. pen. – occorre dimostrare il concreto impiego dei “metodi” e RAGIONE_SOCIALE “tecniche” che la disposizione vieta e tale onus probandi incombe sulla parte processuale che invoca l’inutilizzabilità del risultato probatorio.
2.2. Nel caso di specie, il giudice di merito – come detto, non specificamente investito della questione – nulla ha al proposito accertato e dalla prospettazione del ricorso reputa il Collegio che non possa affermarsi esservi stato un illecito impiego di rgodalità di assunzione della prova vietate dall’art. 188 cod. proc. pen. né che al AVV_NOTAIO COGNOME sia stato impedito di avvalersi della facoltà di opporre il segreto professionale. Quello che emerge dagli stralci, riportati in ricorso, RAGIONE_SOCIALE conversazioni telefoniche intercorse dopo l’assunzione RAGIONE_SOCIALE s.i.t. tra il AVV_NOTAIO. COGNOME ed i suoi colleghi ed i genitori e cfte (- praticante avvocato avess la preoccupazione di essere iscritto nel registro RAGIONE_SOCIALE indagati. Dalle stesse sue affermazioni quali liberamente proferite ai suoi interlocutori subito dopo l’assunzione RAGIONE_SOCIALE s.i.t. – affermazioni, peraltro, diversamente articolate ed enfatizzate quando il AVV_NOTAIOCOGNOME COGNOME parlava ai genitori piuttosto che ai colleghi di studio, nei confronti dei quali doveva comunque giustificarsi per non aver opposto il segreto professionale come in precedenza aveva invece loro detto che avrebbe fatto – non può tuttavia apprezzarsi alcuna forma di indebita coartazione riconducibile a metodi vietati dall’art. 188 cod. proc. pen., non potendo certo questi consistere nella richiesta di spegnere il telefono cellulare nel corso dell’assunzione della prova o nei normali avvertimenti circa l’obbligo di rispondere e di dire la verità e le conseguenze penali in cui incorre chi menta avanti all’autorità giudiziaria (le s.i.t. furono assunte dal pubblico ministero). 6
2.3. Questi avvertimenti, del resto, sono legittimamente dati anche a chi abbia teoricamente il diritto di opporre il segreto professionale, non essendo per contro previsto dall’art. 200 cod. proc. pen. che chi si trovi in tale ultima situazio – pur nota agli esaminatori – debba invece essere avvertito della facoltà di astensione. Si tratta, invero, di prerogative note ai professionisti e, nella specie pure al AVV_NOTAIO COGNOME, di ciò reso comunque eAVV_NOTAIOo dai suoi colleghi più esperti prima che si presentasse per rendere la deposizione, come chiaramente emerge dalle conversazioni telefoniche riportate in ricorso. Il punto è – attesta la sentenza impugnata a pag. 115 – che da quelle conversazioni «emerge, piuttosto, che a fronte della possibilità di essere coinvolto, in qualità di concorrente nel reato, (il AVV_NOTAIO, n.d.r.) abbia deciso di rispondere».
La conclusione della Corte territoriale è del tutto logica, condivisa dal Collegio quale giudice del fatto processuale e non inficiata dalle contrarie valutazioni adAVV_NOTAIOe dal ricorrente e fondate sui !abili elementi della cui scarsa concludenza già si è detto. Il AVV_NOTAIOAVV_NOTAIO COGNOME ha liberamente ritenuto di non opporre il segreto professionale, per valutazioni personali, magari anche condizionate
dall’ordinario stress in cui può venire a trovarsi chi sia convocato quale testimone avanti alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero ed abbia consapevolezza di essere chiamato a riferire di fatti penalmente rilevanti a carico altrui, che sono a sua conoscenza e che forse preferirebbe non rivelare, determinandosi tuttavia a rispondere anche per “prendere le distanze” dalla conAVV_NOTAIOa illecita. D’altronde, che la preoccupazione del AVV_NOTAIO COGNOME di incorrere in responsabilità penale per il ruolo in generale da lui svolto tenendo i rapporti professionali con NOME COGNOME potesse avere un oggettivo fondamento (a prescindere dalla conAVV_NOTAIOa RAGIONE_SOCIALE esaminatori) è riconosciuto dallo stesso ricorrente, quando, sia pure con riguardo a fatti successivi al perfezionamento della voluntary disclosure, addirittura ipotizza elementi per la sua iscrizione come indagato nel procedimento per “istigazione al reato” in relazione al colloquio, registrato, intercorso in data 19 settembre 2017.
Occorre ancora rilevare che neppure allorché è stato escusso a dibattimento davanti al giudice, in presenza RAGIONE_SOCIALE parti ed in un contesto certamente non connotato da pressioni di sorta, il dichiarante, nel frattempo divenuto avvocato, ha espressamente sostenuto che in sede di indagini gli fosse stato impedito di opporre il segreto, non potendo in tal senso interpretarsi l’equivoca affermazione riportata in ricorso di cui più sopra si è dato atto.
Nessuna violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 188 e 200 cod. proc. pen. è pertanto ravvisabile nei fatti descritti.
Alla luce di quanto appena osservato, avendo l’AVV_NOTAIO deposto nel processo sui fatti, è conseguentemente infondata anche la doglianza, contenuta nel quarto motivo di ricorso, relativa alla lamentata applicazione dell’art. 271 GD GLYPH v n · comma 2, c. GLYPH , ne specie invece correttamente avvenuta.
3.1. Ed invero, nel vietare l’utilizzo RAGIONE_SOCIALE conversazioni o comunicazioni intercettate intercorse con le persone che, a norma dell’art. 200, comma 1, cod. proc. pen., possono avvalersi del segreto professionale per non essere obbligati a deporre su quanto conosciuto in ragione del proprio ministero, ufficio o professione, la citata disposizione fa salva l’eventualità che tali persone abbiano deposto sugli stessi fatti ovvero li abbiano in altro modo divulgati.
Poiché l’art. 103, comma 7, cod. proc. pen., nel prevedere, tra l’altro, l’inutilizzabilità dei risultati RAGIONE_SOCIALE intercettazioni di comunicazioni o conversazi con i difensori acquisiti in violazione dell’art. 103, comma 5, cod. proc. pen., f salvo quanto previsto dall’art. 271 cod. proc. perì., non v’è dubbio – e il ricorrent neppure affronta, in diritto, la questione – che, limitatamente ai fatti oggetto del deposizione testimoniale resa dall’AVV_NOTAIO, le intercettazioni RAGIONE_SOCIALE comunicazioni intercorse con NOME COGNOME siano utilizzabili.
3.2. Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non lo sarebbero, per contro, con riguardo a fatti rispetto ai quali il teste non abbi deposto.
Ed invero, va in via generale ribadito che le garanzie difensive di cui all’art. 103 cod. proc. pen., in quanto finalizzate a prevenire il pericolo di abusive intrusioni nella sfera difensiva e a tutelare il segreto professionale e l’esercizio d diritto di difesa, non sono limitate al difensore dell’indagato o dell’imputato ne procedimento in cui sorge la necessità dell’attività di ispezione, di ricerca o d sequestro, ma devono essere osservate in tutti i casi in cui tali atti sono eseguiti nell’ufficio di un professionista, iscritto all’RAGIONE_SOCIALE – , che abbia assunto la difesa di assistiti, anche fuori del procedimento in cui l’attività ricerca della prova è compiuta (Sez. 2, n. 44892 del 25/10/2022, COGNOME, Rv. 283822), venendo in rilievo, appunto, l’inviolabilità del diritto di difesa, com diritto fondamentale della persona garantito dall’art. 24 Cost. (Sez. 6, n. 20295 del 12/03/2001, COGNOME, Rv. 218841). Con particolare riguardo alle intercettazioni, premesso che il divieto di cui all’art. 103, comma 5, cod. proc. pen. riguarda l’attività captativa in danno del difensore in quanto tale e ha dunque ad oggetto le sole conversazioni o comunicazioni – individuabili, ai fini della lor inutilizzabilità, a seguito di una verifica postuma – inerenti all’esercizio de funzioni del suo ufficio (Sez. 4, n. 55253 del 05/10/2016, COGNOME, Rv. 268618; Sez. 5, n. 42854 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 261081), la sua operatività non postula che lo svolgimento dell’attività difensiva risulti da uno specifico e formale mandato, conferito con le modalità di cui all’art. 96 cod. proc. pen., potendo desumersi l’esistenza di un mandato fiduciario anche dalla natura stessa RAGIONE_SOCIALE conversazioni (Sez. 2, n. 32905 del 30/10/2020, COGNOME, Rv. 280233; Sez. 6, n. 10664 del 16/12/2002, COGNOME, Rv. 223965). Più in generale, le garanzie previste dalla disposizione a tutela del diritto di difesa non sono limitate alla ipotesi in il mezzo di ricerca della prova sia disposto nell’ambito dello stesso procedimento in cui si svolge l’attività difensiva, dovendo, viceversa, ritenersi estese agli al eventuali procedimenti – anche non penali – in cui il difensore sia impegnato nell’interesse dell’assistito (Sez. 5, n. 8963 del 17/04/2001, 2002, COGNOME, Rv. 221900). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Alla luce di tali principi, va dunque ritenuta erronea l’esclusione dell’operatività del divieto sancito dall’art. 103, comma 5, cod. proc. pen. che la sentenza impugnata ha giustificato in base al mero rilievo che «dal contenuto RAGIONE_SOCIALE conversazioni non emerge che ci si stesse riferendo ad un procedimento penale, ma, semmai, alla pratica della voluntary disclosure», trattandosi, appunto, di conversazioni afferenti allo svolgimento di una funzione difensiva, espletata nell’ambito di una vertenza tributaria, tutelata dalla richiamata garanzia.
3.3. Ciò posto, osserva tuttavia il Collegio come la doglianza svolta dal ricorrente riguardi il solo utilizzo – ritenuto precluso – della conversazion intercettata intercorsa tra lui e l’AVV_NOTAIO in data 19 settembre 2017 con particolare riguardo al contestato profilo di falsità afferente alla dislocazion territoriale RAGIONE_SOCIALE opere d’arte.
Ben consapevole della necessità di confrontarsi con la cosiddetta “prova di resistenza”, alla luce del consolidato principio giusta il quale gli elementi di prov acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la lor espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’ident convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina e a., Rv. 269218; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011; per l’affermazione del medesimo principio in tema di inutilizzabilità di conversazioni intercettate, v. Sez. 6, n. 13213 del 15/03/2016, Giorgini e aa., Rv. 266774), il ricorrente ha allegato che la conversazione di cui al progr. n. 93 del 19 settembre 2017 è stata «utilizzata, in uno con le dichiarazioni di COGNOME, per affermare la falsità della attestazione relativa alla dislocazione territoriale RAGIONE_SOCIALE opere d’arte. noti che non vi sono ulteriori risultanze probatorie idonee e sufficienti a giustifica la condanna di COGNOME su tale profilo di falsità e tale prova ha avuto incidenza determinante (in uno con le dichiarazioni dell’AVV_NOTAIO, parimenti viziate da inutilizzabilità patologica) sul giudizio di colpevolezza».
Come si vede, dunque, è lo stesso ricorrente che ammette come, con riguardo all’unico profilo di allegata rilevanza dell’intercettazione ritenuta inutilizzabi teste COGNOME avesse deposto in giudizio, sicché non v’è dubbio sulla utilizzabilità di quella conversazione alla luce del disposto di cui all’art. 271, comma 2, cod. proc. pen., richiamato dall’art. 103, comma 7, cod. proc. pen., e ciò in disparte il fatto che la prova della falsità della dichiarazione concernente la dislocazione RAGIONE_SOCIALE opere d’arte si rinviene comunque – come parimenti ammesso dallo stesso ricorrente – in quella deposizione testimoniale, ma, aggiunge il Collegio, non COGNOME Nell’analizzare le doglianze sul punto proposte con l’appello, richiamando comunque la corposa motivazione contenuta nella decisione di primo grado, la sentenza impugnata, dopo aver non illogicamente disatteso la rilevanza RAGIONE_SOCIALE prove documentali a discarico invocate dall’imputato, ha infatti richiamato le puntuali dichiarazioni rese dalla testimone NOME COGNOME – con le quali il ricorren in alcun modo si confronta – circa la consegna a lei da parte di NOME di oltre cento opere d’arte indicate negli elenchi allegati alla dichiarazione come detenute all’estero ed invece collocate in Italia già nel 2013 e ancora entro l’estate del 2015, dunque prima della presentazione della voluntary disclosure (v. sentenza di primo grado, pagg. 62-63).
3.4. Quanto, da ultimo, al profilo giusta il quale dalla conversazione telefonica emergerebbe «una ipotesi di istigazione al reato da parte dell’AVV_NOTAIO nei confronti di COGNOME» che avrebbe imposto ai giudici di merito di ordinare la trasmissione RAGIONE_SOCIALE atti per procedere nei suoi confronti e, comunque, di rilevare l’inutilizzabilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni da lui rese come testimone, anziché come indagato con la necessaria assistenza di un difensore e le garanzie difensive, osserva il Collegio come, stando al non contestato riepilogo dei motivi di ricorso effettuato nella sentenza impugnata, si tratti di questione non devoluta con l’appello e, comunque, del tutto genericamente esposta in ricorso. Se pur si volesse ritenere implicitamente evocato il principio di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen. – con la conseguente rilevabilità dell’inutilizzabilità in ogni stato e gra del procedimento, e quindi, indipendentemente dalla mancata deduzione con l’appello e dalla preclusione di cui all’art. 606, comma 3, ult. parte cod. proc. pen. anche in questa sede, ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. – la genericità della doglianza non consente a questa Corte alcun tipo di sindacato. Basti, al proposito, rilevare che non è neppure chiaro quale sarebbe il reato di cui l’AVV_NOTAIO sarebbe stato istigatore e certamente una conAVV_NOTAIOa commessa in conversazioni intercorse nel 2017 non potrebbe valere quale istigazione alla commissione del reato qui sub iudíce, consumato, come più oltre meglio si dirà, al 26 aprile 2016.
Il quinto motivo di ricorso è inammissibile in relazione a tutte le doglianze sollevate, generiche e manifestamente infondate perché meramente ripetitive di questioni già adeguatamente vagliate e risolte dai giudici di merito, con doppia decisione conforme, con la quale il ricorrente neppure completamente si confronta, sollevandosi peraltro del pari inammissibilmente in questa sede questioni che attengono alla valutazione RAGIONE_SOCIALE prove ed alla ricostruzione del fatto.
Ed invero, va in primo luogo osservato che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già deAVV_NOTAIOi in appello puntualmente disattesi dalla Corte di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto
d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Alla Corte di cassazione, poi, sono precluse la rilettura RAGIONE_SOCIALE elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorren come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli aAVV_NOTAIOati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logici della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sull rilevanza e attendibilità RAGIONE_SOCIALE fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la sce tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
4.1. In via generale, va in diritto premesso che il reato previsto dall’art. 5 septies, comma 1, d.l. 167 del 1990, riferendosi alle disposizioni contenute negli articoli precedenti, punisce la conAVV_NOTAIOa del contribuente residente in Italia che, avendo violato, sino al 30 settembre 2014, gli obblighi di dichiarazione relativi agli investimenti all’estero ed alle attività ivi svolte suscettibili di produrre re imponibili, quali previsti dall’art. 4, comma 1, «nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria di cui all’art. 5 -quater, esibisce o trasmette atti o documenti falsi, in tutto o in parte, ovvero fornisce dati e notizie non rispondent al vero». Se la formazione o trasmissione di atti e documenti o, comunque, la comunicazione di dati e notizie è compiuta per il tramite di un professionista che assiste il contribuente nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria, la conAVV_NOTAIOa è comunque a quest’ultimo attribuibile, tanto che, a norma dell’art. 5septies, comma 2, d.l. 167/1990, egli deve rilasciare al professionista «una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale attesta che gli atti documenti consegnati per l’espletamento dell’incarico non sono falsi e che i dati e notizie forniti sono rispondenti al vero». Quanto all’oggetto RAGIONE_SOCIALE obblighi dichiarativi ed informativi che in caso di mendacio determinano la penale responsabilità, l’individuazione va rapportata al contenuto del richiamato art. 5quater. E’ a quest’ultimo – e, in particolare, alla previsione di cui al primo comma, lett. a) che deve dunque farsi riferimento per individuare l’oggetto del mendacio penalmente sanzionato, essendo ivi previsto l’obbligo di «indicare spontaneamente all’Amministrazione finanziaria, mediante la presentazione di apposita richiesta, tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanz costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona,
fornendo i relativi documenti e le informazioni per la determinazione dei redditi che servirono per costituirli o acquistarli, nonché dei redditi che derivano dalla loro dismissione o utilizzazione a qualunque titolo, unitamente ai documenti e alle informazioni per la determinazione RAGIONE_SOCIALE eventuali maggiori imponibili agli effetti RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi e relative addizionali, RAGIONE_SOCIALE imposte sostitutive dell’imposta RAGIONE_SOCIALE sulle attività produttive, dei contributi previdenzial dell’imposta sul valore aggiunto e RAGIONE_SOCIALE ritenute, non connessi con le attività costituite o detenute all’estero, relativamente a tutti i periodi d’imposta per i qual alla data di presentazione della richiesta, non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione della violazione RAGIONE_SOCIALE obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 1;».
Trattandosi di una conAVV_NOTAIOa lato sensu riconducibile al genus della falsità ideologica – ciò su cui anche il ricorrente concorda, sia pur traendone, come più oltre si dirà, non corrette conclusioni in tema di decorso della prescrizione possono allora richiamarsi i principi, al proposito affermati, secondo cui il reato sussiste quando chi è tenuto a rendere informazioni su fatti o situazioni ovvero a darne una fedele rappresentazione renda informazioni ovvero esponga una rappresentazione in termini incompleti e soltanto parziali, tacendo dati la cui omissione è rilevante ai fini dell’economia dell’atto (Sez. 6, n. 23819 del 30/01/2019, COGNOME, Rv. 275994-02; Sez. 5, n. 32951 del 21/05/2014, COGNOME, Rv. 261651), essendo penalmente irrilevanti soltanto quelle omissioni del tutto irrilevanti rispetto alla finalità dell’atto (Sez. 2, n. 29910 del 08/06/2022, Polla Rv. 283787; Sez. 3, n. 44366 del 15/09/2021, Gulino, Rv. 282336). Quando, poi, si tratti di dichiarazioni concernenti valutazioni tecniche connotate da un certo margine di discrezionalità, fermo restando il necessario accertamento del dolo, sul piano oggettivo il falso ideologico è configurabile soltanto quando il giudizio contraddica parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi ovvero si fondi su premesse contenenti false attestazioni (Sez. 5, n. 18521 del 13/01/2020, COGNOME, Rv. 279046-02; Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, COGNOME e a., Rv. 257895). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con particolare riguardo al caso di specie, nel già richiamato procedimento cautelare originato dalla precedente vicenda, questa Corte ha ad esv avuto al proposito modo di affermare che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’ar 5-septies, d.l. n. 167 del 1990, volto a garantire il corretto svolgimento della procedura di “collaborazione volontaria” di cui all’art. 5-quater del medesimo decreto, fra i dati e le notizie rilevanti ai fini di tale procedura sono ricompre anche le circostanze fattuali necessarie ai fini della individuazione del regime fiscale applicabile, e, quindi, della determinazione dell’esatto ammontare RAGIONE_SOCIALE imponibili, essendo in tale ambito inclusi i dati concernenti la disponibilità 3
società-schermo nel medesimo settore di attività in cui si collocano le operazioni oggetto della procedura (Sez. 3, n. 27603 del 14/07/2020, COGNOME, Rv. 28027902).
4.2. Ciò premesso, osserva il Collegio che, richiamando ed integralmente condividendo la conforme, ed assai articolata, decisione di primo grado quanto ai profili di falsità diversi da quello concernente l’ambito oggettivo della procedura (in grado di appello ritenuto penalmente irrilevante perché frutto di una valutazione del professionista sugli atti concernenti il pregresso accertamento della Guardia di Finanza), la sentenza impugnata (pagg. 123-129), facendo buon governo dei richiamati principi, li ha correttamente ritenuti riconducibili al rea ascritto con non illogica motivazione. Le doglianze proposte in ricorso – come detto, meramente ripetitive di quelle devolute con l’appello – trovano tutte risposta nelle decisioni di merito, alle cui esaustive argomentazioni, con le quali il ricorrent non completamente si confronta, pertanto si rimanda, rimarcando succintamente quanto segue.
4.2.1. L’imputato non è stato ritenuto penalmente responsabile per aver argomentato in puro diritto, attraverso il suo professionista, la asserita qualità d collezionista piuttosto che di mercante d’arte, ma per aver, da un lato, falsamente rappresentato e, d’altro lato, callidamente taciuto importanti elementi di fatto che costituiscono elementi indiziari indispensabili per attestare lo svolgimento o meno di un’attività professionale suscettibile di generare reddito imponibile, essendo perfettamente consapevole di essere un mercante piuttosto che un collezionista. I plurimi profili di mendacio fattuale, evidenziati dai giudici di merito sulla scor RAGIONE_SOCIALE conversazioni telefoniche dal medesimo intrattenute, RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dai testi COGNOME e COGNOME, dall’esito RAGIONE_SOCIALE perquisizioni, dagli accertamenti sull società-schermo attraverso le quali egli operava all’estero hanno, tra l’altro, riguardato: la simulazione, in sede di voluntary disclosure, di essere animato da meri interessi culturali nelle compravendite di opere d’arte effettuate nel periodo considerato, dissimulando l’evidente intento di business e la professionale attività volta a generare profitti chiaramente emersa, e confessata, nelle conversazioni telefoniche intercettate; l’omessa declaratoria di vendite di oggetti di arte da lu indirettamente compiute attraverso l’anziana madre e attraverso la società RAGIONE_SOCIALE; la riconducibilità al ricorrente di questa ed altra società-schermo (RAGIONE_SOCIALE sedenti all’estero e operanti nel settore del commercio di opere d’arte; la disponibilità di un’organizzazione per lo stoccaggio e l’accatastamento RAGIONE_SOCIALE opere d’arte senza alcuna possibilità di fruizione per fini di diletto, culturali o estetici; l’esercizio abituale di un’attività di commercio di o d’arte con giro d’affari milionario se rapportato ai numeri e ai valori RAGIONE_SOCIALE operazion di vendita, con generazione di enormi plusvalenze tra prezzi di acquisto e
rivendita. Elementi, questi, che, insieme ad altri, del tutto logicamente e correttamente – e, sul punto, in ricorso difetta anche una specifica contestazione in diritto – hanno inAVV_NOTAIOo i giudici di merito a considerare come imprenditoriale, e dunque fonte di reddito imponibile e rilevante ai fini della procedura di emersione, l’attività di commercio di opere d’arte svolta all’estero dall’imputato.
4.2.2. La riconducibilità al ricorrente della RAGIONE_SOCIALE è stata non illogicamente motivata con articolate argomentazioni sin dalla sentenza di primo grado (pagg. 15-44) come pure non è manifestamente illogico il rilievo che gli elementi desumibili dalle conversazioni telefoniche intercettate nel 2017 consentissero di ricavare che da sempre – e, quindi, anche negli anni cui si riferiva la voluntary disclosure -l’imputato fosse il gestore effettivo di quella società. Mentre si tratta, dunque, di valutazioni fattuali che in questa sede non possono essere ulteriormente scrutinate, in diritto è appena il caso di osservare come, per quanto sopra evidenziato alla luce del chiaro disposto di cui all’art. 5 -quater, comma 1, lett. a), d.l. 167/1990, certamente vi fosse l’obbligo di dichiarazione, nella specie violato, avendo i giudici di merito peraltro non illogicamente accertato – senza che la conclusione formi oggetto di specifica contestazione in ricorso come, nel periodo oggetto di emersione, la RAGIONE_SOCIALE fu utilizzata dal ricorrente per compiere consistenti operazioni di compravendita di opere d’arte (v., in particolare, pagg. 44-51 della sentenza di primo grado).
4.2.3. Giusta la specificazione contenuta nella prima parte della disposizione da ultimo citata, l’obbligo dichiarativo riguarda in primo luogo, e tra l’altro, “tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria cos detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona” e lo stesso è riferibile anche alla c.d. data di emersione, come peraltro specificato nel provvedimento del direttore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aAVV_NOTAIOato ai sensi dell’art. 5sexies d.l. 167/1990, pure richiamato in ricorso, che ha approvato il modello per l’accesso alla collaborazione volontaria richiedendo, appunto, la specificazione RAGIONE_SOCIALE attività detenute all’estero al momento dell’emersione. E’ soltanto la parte finale della disposizione che ricollega le ulteriori notizie richieste (“unitamente documenti e alle informazioni”, recita la norma) alla determinazione RAGIONE_SOCIALE eventuali maggiori imponibili con riguardo ai periodi di imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione RAGIONE_SOCIALE violazioni fiscali (nella specie, 2010-2013). Certamente, pertanto, doveva essere dichiarata anche l’impresa gestita dalla società RAGIONE_SOCIALE, costituita nel 2014 e, dunque, dal ricorrente indirettamente detenuta alla data della dichiarazione di emersione.
4.2.4. Per la stessa ragione doveva essere oggetto di dichiarazione alla data di emersione, come nella specie peraltro avvenuto, il patrimonio in opere d’arte
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detenuto all’estero, ma – come già più sopra si è precisato (§. 3.3) – con doppia decisione conforme non illogicamente motivata in base a prove pienamente utilizzabili è stato al di là di ogni ragionevole dubbio accertata la falsità di que dichiarazione, essendo stato provato che prima della presentazione della domanda molte RAGIONE_SOCIALE opere indicate come detenute all’estero si trovavano invece in Italia, ciò che del tutto ragionevolmente è stato ovviamente imputato ad una dichiarazione resa dal contribuente al suo professionista.
Il sesto motivo, con cui ci si duole dell’illogicità della motivazio sull’omessa riduzione del trattamento sanzionatorio, è infondato.
5.1. In diritto va premesso – e il ricorrente non muove al riguardo alcuna contestazione – che del tutto correttamente i giudici di merito, in conformità alla formulazione dell’imputazione, hanno ritenuto che i plurimi profili di falsità oggett
di addebito integrassero un unico reato e non già, ciascuno, un autonomo delitto eventualmente sussumibile nel vincolo della continuazione. Come ulteriormente si argomenterà nel paragrafo che segue, il delitto di cui all’art. 5-septies d.l. 167/1990 punisce infatti la conAVV_NOTAIOa di mendacio che – con uno o più atti di violazione dell’obbligo dichiarativo previsto dal precedente art. 5-quater, comma 1, lett. a) si svolgano nell’ambito dell’intrapresa procedura di collaborazione volontaria.
5.2. Ciò posto, pur avendo il giudice di appello escluso un profilo di falsità ritenuto invece in primo grado, la sentenza argomenta, da un lato, le ragioni per cui questa conclusione non può essere valorizzata ai fini del riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche (e su questo punto in ricorso non si muove alcuna contestazione), dall’altro, col richiamo alla gravità del reato, le ragioni per cui no è stata riAVV_NOTAIOa neppure la pena base.
In particolare, dopo aver riconosciuto l’insussistenza di profili di falsità con riguardo alla valutazione (ritenuta di carattere eminentemente tecnico-giuridico) sul fatto che l’ambito oggettivo della procedura di voluntary disclosure era diverso da quello della verifica fiscale subita dalla RAGIONE_SOCIALE, la sentenza non esclude l’erroneità di quella valutazione, compiutamente argomentata dalla sentenza di primo grado – che aveva rilevato come ciò, in radice, precludesse l’utilizzo della procedura – e rimarca l’assenza di spontaneità nella decisione di NOME di avvalersi dell’istituto. Osservando come egli avesse in tal modo inteso «evitare maggiori guai a seguito della verifica fiscale che aveva interessato la RAGIONE_SOCIALE», la sentenza impugnata non illogicamente afferma che «la collaborazione asseritamente mostrata era strumentale intesa solo a limitare i danni ed a negare l’evidenza».
Il ricorso, senza prendere posizione sul punto, si limita a rilevare che, per il solo fatto dell’esclusione di un profilo di responsabilità – che pur non incide sul sussistenza del reato – la pena si sarebbe dovuta ridurre “data la minore rilevanza e gravità del fatto”.
La conclusione, non altrimenti argomentata, sarebbe al più condivisibile se, in primo grado, il discostamento dai minimi edittali (peraltro, non particolarmente significativo e anzi contenuto nel medio edittale) fosse stato argomentato con particolare riguardo ad una maggior gravità del fatto riconducibile ai plurimi profili di falsità oggetto di addebito, ma il ricorso – in ciò generico – non contiene a proposito alcun rilievo e l’analisi dell’articolata motivazione contenuta nella sentenza di primo grado (pagg. 140-144) mostra come il discostamento dal minimo edittale si fondi, in realtà, su tutt’altre ragioni, essendo stati fatti ogge di (non favorevole) valutazione: le modalità dell’azione; la gravità del danno per l’Erario; i motivi a delinquere; la conAVV_NOTAIOa successiva al reato. Soltanto con
riguardo al dolo si afferma essere di «una certa intensità, tenuto conto dei plurimi profili di falsità, dichiarativa ed omissiva», aggiungendosi, tuttavia, ulteri elementi di negativa connotazione dell’elemento soggettivo di per sé sufficienti a giustificare la conclusione, essendosi infatti tenuto conto «della spiccata propensione alla mistificazione dei fatti come metodo ordinario e deformante di gestione dei propri interessi, nonché della pervicacia nel prospettare e confermare a più riprese all’RAGIONE_SOCIALE circostanze volte al nascondimento della sua operatività commerciale», con il conseguente rilievo, del tutto logicamente argomentato, che «il dolo dell’agente è risultato assai strutturato».
Anche a fronte della genericità del ricorso, dunque, non essendo stato deAVV_NOTAIOo alcun profilo di violazione di legge – in effetti non ravvisabile, posto che l’obbligo di riduzione della pena inflitta è posto, dall’art. 597, comma 4, cod. proc. pen., soltanto nel caso di accoglimento dell’appello dell’imputato con riguardo a circostanze o reati concorrenti – non si rileva una manifesta illogicità della motivazione nella conferma del trattamento sanzionatorio.
Resta, infine, da aggiungere che, diversamente da quanto allegato dal ricorrente nella memoria contenente motivi aggiunti, il reato non può dirsi prescritto alla data di pronuncia della presente sentenza.
In assenza di cause di sospensione del corso della prescrizione, tenendo conto RAGIONE_SOCIALE atti interruttivi, il termine massimo di sette anni e sei mesi, decorrente da 26 aprile 2016 quale momento di cessazione della conAVV_NOTAIOa illecita correttamente contestato in imputazione (ove il tempus commissi dell’ai è stato indicato “dal 30.12.2015 al 26.04.2016”), matura infatti soltanto con lo spirare del giorno 26 ottobre 2023. Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il decorso del termine di prescrizione inizia, per i reati consumati, dal giorno in cui si è esaurita la conAVV_NOTAIOa illecita e, quindi, il computo incomincia con le ore zero del giorno successivo a quello in cui si è manifestata compiutamente la previsione criminosa e termina alle ore ventiquattro del giorno finale calcolato secondo il calendario comune (Sez 3, n. 23259 del 29/04/2015, COGNOME, Rv. 263650; Sez. 6, n. 4698 del 16/03/1998, COGNOME, Rv. 211066).
6.1. Al proposito reputa il Collegio che non possa accogliersi la tesi sviluppata nella citata memoria contenente motivi aggiunti sulla natura necessariamente istantanea del reato ascritto, che dovrebbe affermarsi, al pari di quanto predicabile per il delitto di cui all’art. 483 cod. pen., di cui quello qui in esame costituirebbe ipotesi speciale.
Che il reato previsto dall’art. 5-septies d.lgs. 167/1990 costituisca ipotesi speciale del delitto di cui all’art. 483 cod. pen. sicché, al pari di questo di quest sarebbe sempre a consumazione istantanea e dovrebbe nella specie ritenersi
consumato alla data del 30 dicembre 2015, allorquando fu telematicamente depositata la relazione di accompagnamento alla domanda di voluntary discosure con gli allegati contenenti le informazioni asseritamente false, è conclusione non condivisibile per plurime ragioni.
6.1.1. Va in primo luogo rilevato che il delitto da ultimo citato cui si pretende di parificare la fattispecie qui in esame sanziona il mendacio ideologico commesso da privato che, in un atto pubblico, attesti falsamente al pubblico ufficiale fatti de quali l’atto è destinato a provare la verità. Non essendo stato sollecitato un confronto con l’ipotesi prevista dall’art. 76 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, osserva il Collegio che, pur alla luce della non restrittiva interpretazione data dalla giurisprudenza sul punto (cfr., di recente, Sez. 5, n. 15901 del 15/02/2021, Pizzuto, Rv. 281041), non è agevole individuare l’atto pubblico in cui si sarebbero trasfuse le falsità nella specie oggetto di contestazione, ciò che il ricorrente neppure ha tentato di fare. Del resto, per quanto consta a questa Corte in difetto di contrari elementi di allegazione, l’atto pubblico in questione andrebbe individuato nel provvedimento con cui l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, facendo proprie le false attestazioni rese nella procedura, salvi piccoli aggiustamenti imputati ad errori ritenuti compiuti in buona fede, ha alla fine accettato e condiviso le informazioni fornite dal contribuente concludendo la procedura con esito per lui favorevole con la liquidazione di una somma dovuta a titolo di imposte e sanzioni pari a poco più di tre milioni di euro (cfr. sentenza impugnata, pag. 68). Un provvedimento reso – si legge ancora in sentenza, nel punto richiamato – almeno dieci mesi dopo la presentazione dell’istanza, vale a dire non prima dell’ottobre 2016, con la conseguenza che, in quest’ottica, la data di consumazione del reato sarebbe addirittura successiva a quella indicata in imputazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La giurisprudenza che lo stesso ricorrente invoca – sia in ricorso, sia nella memoria contenente motivi aggiunti – infatti, ha chiaramente affermato che il reato di cui all’art. 483 cod. pen., perfezionato dalla falsa attestazione al pubblico ufficiale, in un atto pubblico di fatti dei quali l’atto è destinato a provare la ver si consuma, stante la finalizzazione dell’atto privato ad essere trasfusa in un atto pubblico, non già nel momento della inveritiera dichiarazione quanto nella relativa percezione da parte del pubblico ufficiale che la trasfonde nell’atto pubblico (Sez. 5, n. 19325 del 03/02/2012, Grasso, Rv. 252678, dalla cui motivazione è evidente che, secondo la Corte, il reato, nella specie ritenuto non consumato, si sarebbe appunto perfezionato con l’adozione dell’atto pubblico).
6.1.2. Reputa, tuttavia, il Collegio che l’invocato parallelismo con l’art. 483 cod. pen. non sia in ogni caso pertinente ai fini dell’individuazione del momento consumativo del reato previsto dall’art. 5-septies d.l. 167 del 1990 per l’assorbente ragione che la struttura di quest’ultimo delitto è completamente
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diversa da quella del falso ideologico in atto pubblico, con il quale ha in comune soltanto l’elemento materiale di un mendacio ideologico commesso nei confronti della pubblica amministrazione rispetto ad un obbligo dichiarativo concernente fatti a conoscenza del cittadino/contribuente la cui veridicità è destinata a costituire presupposto per l’adozione un determinato provvedimento (nella specie, di favorevole accoglimento della voluntary disclosure). Il fatto che la conAVV_NOTAIOa incriminata non sia legata ad alcun atto (in ipotesi, ideologicamente falso) della p.a. anticipa, semmai, il momento consumativo all’esaurimento della conAVV_NOTAIOa prevista come tipica, che viene punita a titolo di reato di pericolo (non già rispetto alla lesione della fede pubblica, bene che qui non viene certo in rilievo), ma RAGIONE_SOCIALE interessi finanziari dello Stato, tutelati dall’obbligo di fornire informazioni verit sulle attività finanziarie oggetto di emersione.
6.1.3. La conAVV_NOTAIOa penalmente sanzionata cui si deve guardare per stabilire il momento consumativo del reato, dunque, è quella di esibizione o trasmissione di atti o documenti in tutto o in parte falsi ovvero di comunicazione di dati e notizie non rispondenti al vero che si verifichi – come la disposizione precisa – «nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria di cui all’art. 5-quater» d.l. 167 del 1990.
A parere del Collegio, la procedura in questione – da intendersi come ci:3~ procedimento amministrativo – non si conclude, ma, al contrario, si attiva,vbrecisa il comma 5 della disposizione, con la domanda di richiesta di ammissione alla voluntary disclosure, il cui termine di presentazione per l’integrazione dell’istanza scadeva il 30 dicembre 2015. Se il legislatore avesse voluto considerare penalmente rilevanti soltanto le conAVV_NOTAIOe di mendacio commesse in sede di attivazione della procedura, vale a dire con la presentazione e l’integrazione dell’istanza, ben avrebbe potuto farlo precisandolo con chiarezza o facendo riferimento, al più tardi, al termine da ultimo indicato. In aderenza alla ratto perseguita dall’incriminazione è stata invece non a caso utilizzata una più ampia formula idonea ad abbracciare tutte le conAVV_NOTAIOe di mendacio considerate dalla norma incriminatrice comunque commesse nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria, vale a dire del procedimento amministrativo finalizzato all’adozione del provvedimento finale come in linea generale previsto dall’art. 2 I. 7 agosto 1990, n. 241, disciplina nella specie certamente applicabile ove non derogata da speciali disposizioni.
La presentazione della domanda, invero, non esaurisce certo la possibilità di rendere false informazioni idonee a pregiudicare gli interessi tutelati dalla norma incriminatrice. Si pensi al diritto d’intervento nella procedura da part dell’interessato, con la conseguente possibilità, ad. es., di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano
pertinenti all’oggetto del procedimento (cfr. art. 8, comma 1, lett. b, I. 241/1990), principio da ritenersi applicabile anche nel caso di specie non trattandosi, a rigore, di un vero e proprio procedimento tributario per il quale opera la deroga a tali garanzie prevista dall’art. 13, comma 2, I. 241/1990 e trattandosi, comunque, di un diritto d’intervento sostanzialmente confermato dall’art. 12 I. 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. statuto del contribuente) e dalle generali disposizioni in tema di procedimento tributario. Il contraddittorio nella fase procedimentale, del resto, è connaturato al generale principio di leale collaborazione tra cittadino e pubblica amministrazione che governa l’attività amministrativa (art. 1, comma 2 -bis, I. 241/1990), che è ribadito con riguardo ai rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria (art. 10, comma 1, stat. contr.) e che ben si giustifica proprio con riguardo alla procedura di collaborazione volontaria delineata dal d.l. 167/1990. Non a caso la Circ. n. 10/E del 13 marzo 2015 – pure invocata in ricorso ed ivi allegata, recante prime indicazioni relative alla procedura di collaborazione volontaria di cui alla I. 15 dicembre 2014, n. 186 – ha previsto (§ 4.1.) che «in fase di contraddittorio potrà ovviamente essere presentata nuova e diversa documentazione, sempre che la stessa abbia carattere esplicativo di quanto già presentato, e quindi funzionale a puntualizzare la corretta pretesa, e non integrativo, cioè finalizzato a far emergere attività o imponibili ulteriori rispett quelli evidenziati in fase di richiesta di accesso alla procedura».
6.1.4. Or bene, le conformi sentenze di merito, sul punto non contestate e, anzi, sostanzialmente confermate dalle allegazioni contenute in ricorso, danno atto che, nel caso di specie, nel contraddittorio instauratosi nella procedura di voluntary disclosure a seguito della presentazione della domanda del 30 dicembre 2015, il ricorrente, a mezzo dei suoi legali, ha fornito ulteriori informazioni e documenti ad esplicazione di quanto già presentato – che sono state doverosamente presi in considerazione e hanno ovviamente condizionato l’esito favorevole della procedura – ed in quel contesto si sono manifestati ulteriori conAVV_NOTAIOe di mendacio, le ultime RAGIONE_SOCIALE quali intervenute, come correttamente contestato in imputazione, in data 26 aprile 2016. La sentenza di primo grado (pag. 138) attesta infatti che nel contraddittorio intercorso sino alla citata data il ricorrente ha caparbiamente negato la riconducibilità a sé della società di diritto elvetico RAGIONE_SOCIALE particolare (v. la dettagliata ricostruzione alle pagg. 16 e 17 della sentenza di primo grado), a fronte RAGIONE_SOCIALE richieste di chiarimenti avanzate nel corso dell’incontro tenutosi il 19 aprile 2016 nel contraddittorio instaurato tra l’amministrazione ed il contribuente, rappresentato dall’AVV_NOTAIO, con e-mail trasmessa il successivo giorno 26, quest’ultimo, a nome del suo assistito, rispondeva che questi non ricopriva alcuna carica sociale né aveva mai avuto alcun ruolo all’interno di detta società, la quale era soggetto rispetto a lui distinto il cui capitale era al 100
riconducibile al figlio. Queste dichiarazioni – la cui falsità, come detto, è stata no illogicamente ricostruita dai giudici di merito – convincevano l’Amministrazione finanziaria, aggiunge la citata sentenza, della bontà della versione offerta dal contribuente, così concludendo il procedimento nel senso da lui auspicato.
6.1.5. Il 26 aprile 2016, dunque, si è verificato l’ultimo atto di mendacio oggetto della contestazione mossa in imputazione ed è in quel momento che va ritenuta cessata la consumazione del reato qui in esame, da qualificarsi quale reato di durata e, in particolare, quale reato eventualmente abituale.
Se, infatti, il delitto si consuma anche con una soia conAVV_NOTAIOa di mendacio tra quelle previste, nel caso in cui il contribuente trasmetta plurime false dichiarazioni, informazioni, comunicazioni di atti o documenti nell’ambito della medesima procedura di collaborazione volontaria, il reato resta unico e qualora – come nella specie avvenuto – la conAVV_NOTAIOa criminosa venga reiterata nel tempo in momenti diversi la consumazione si protrae e cessa con il compimento dell’ultimo atto penalmente rilevante. Giusta il consolidato orientamento di questa Corte, applicato con riguardo a differenti fattispecie riconducibili a tale paradigma, il reat eventualmente abituale, potendosi risolvere tanto in un’unica conAVV_NOTAIOa idonea a configurarlo, quanto nella reiterazione di più conAVV_NOTAIOe omogenee che danno vita ad uno stesso reato, coincidendo il momento finale della consumazione delittuosa con la cessazione dell’abitualità, in quest’ultimo caso si prescrive col compimento dell’ultimo atto antigiuridico (Sez. 2, n. 4651 del 12/11/2020, COGNOME, Rv. 280561; Sez. 3, n. 43255 del 19/09/2019, C., Rv. 277130; Sez. 6, n. 20099 del 19/04/2016, COGNOME, Rv. 266746).
Il ricorso, nel complesso infondato, va pertanto rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Così deciso il 25 ottobre 2023.