Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6808 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6808 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LUSCIANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
lette le conclusioni ex art. 611 c.p.p.del PG in perssona del Sostituto Proc. Gen.
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME ricorre a questa Corte chiedendo l’annullamento dell’ordinanza emessa in data 13/14/6/2023 dalla Corte di Appello di Napoli che, decidendo in sede di rinvio disposto dalla Corte di cassazione con sentenza pronunciata il 9/3/2021, ha rigettato l’istanza di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 6 bis cod. proc della sentenza emessa il 27/9/2019 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, divenuta irrevocabile l’11/2/2020, con la NOME il ricorrente è stato condannato alla pena di anni due di reclusione per i reati di cui agli artt. 10 bis e 10 ter D.Igs. n. 74/2000.
2. Il COGNOME lamenta violazione degli artt. 627, co. 3, cod. proc. pen. e 420 bis cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione.
Secondo quanto si legge in ricorso, la motivazione dell’ordinanza della Corte di Appello violerebbe quanto stabilito con estrema chiarezza del giudice di legittimità, che aveva invitato il giudice del rinvio a «indicare specificamente le condotte attive comprovanti la volontà da parte del condannato di sottrarsi alla conoscenza del processo», e al contempo traviserebbe il dato probatorio acquisito; per di più sarebbe illogica, e tale vizio emergerebbe dallo stesso provvedimento impugnato.
Per il ricorrente i dati presi in considerazione dalla Corte di Appello per rigettare l’istanza del condannato erano già passati al vaglio della Corte di legittimità che li aveva ritenuti non sufficienti per una motivazione di rigetto, per cui aveva annullato con rinvio la precedente ordinanza.
La Corte di Appello – prosegue il ricorso- ha introdotto come elemento di novità e quindi a base della motivazione dell’ordinanza, la circostanza non vera che COGNOME NOME fosse “convivente” del padre COGNOME NOME. Da dove abbia tratto questa circostanza il ricorrente dichiara non comprendersi in quanto dal certificato di residenza del figlio risulta che il 5/7/2017 COGNOME abitava in Lusciano (CE) alla INDIRIZZO con la propria compagna NOME, che è poi divenuta la moglie il 28/1/2022. Nello stesso periodo (e già dal 13/7/2009, così come dalla documentazione anagrafica acquisita dalla Corte) COGNOME NOME abitava in Lusciano (CE) alla INDIRIZZO, in altro appartamento e da molti anni i due – padre e figlio – non erano più conviventi.
Quindi NOME circostanza non vera (“contrariamente alla verità”) abbia dichiarato COGNOME alla Polizia Municipale non sarebbe dato comprendere. Ma, se anche così fosse, per il ricorrente non si riesce a comprendere ai fini della valutazione del comportamento del condannato, che non versasse in una situazione di colpevole mancata conoscenza del processo, la circostanza che COGNOME «abbia certamente informato della visita ricevuta il padre per la notifica dell’atto giudiziario».
Si tratterebbe di una mera presunzione.
Ci si duole che, in realtà, la Corte distrettuale riafferma la precedente decisione, annullata, prima su di un presupposto non vero e cioè la convivenza dei due nuclei familiari; e secondo su una presunta intuizione che non ha alcun riscontro e cioè l’informazione data dal NOME al padre NOME in merito all’atto da notificare.
Chiede, pertanto, l’annullamento con o senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il motivo sopra illustrato è infondato e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
Ed invero, in premessa, va rilevato che la Corte partenopea, nel tenere conto delle esposte coordinate ermeneutiche, ha fatto buon governo del principio di diritto secondo cui il giudice del rinvio deve ritenersi vincolato unicamente ai principi ed alle questioni di diritto decise con la sentenza di annullamento, con esclusione di ogni altra restrizione derivabile da eventuali passaggi di natura argomentativa contenuti nella motivazione della sentenza di legittimità, soprattutto ove riferibile a questioni di mero fatto attinenti il giudizio di merito.
Correttamente, dunque, i giudici napoletani hanno attivato i propri poteri istruttori – sollecitati, peraltro, anche in sede rescindente – al fine di acquisi certificato storico di famiglia di COGNOME e il certificato di residenza d COGNOME: e da tali atti è emerso che – contrariamente a quanto dichiarato da COGNOME alla Polizia Municipale – alla data della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini del 5 luglio 2017 il predetto COGNOME conviveva con il genitore nella residenza di famiglia.
Da ciò la Corte territoriale ha dedotto: 1. che non è giustificata la mancata ricezione da parte di COGNOME NOME (che, come detto, in quell’occasione ebbe a riferire una circostanza contraria al vero, ovvero di non essere convivente del genitore) della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini per conto del padre destinatario di detta notifica; 2. che risulta ragionevole ritenere che della visita della Polizia Municipale a fini di notifica il predetto NOME abbia riferito al genito stante l’accertata condizione di convivenza; 3. che siffatta condotta, palesemente non collaborativa, conferma che COGNOME si è volontariamente reso irreperibile nel domicilio eletto.
Ad avviso della Corte territoriale, dunque, la nuova circostanza emersa non solo si rivela altamente significativa nel senso indicato ma si aggiunge vieppiù alle ulteriori circostanze già precedentemente emerse nel giudizio e con esse realizza
un insieme di “condotte positive” tali da far ritenere che l’imputato abbia voluto sottrarsi alla conoscenza del processo.
In proposito ritiene il Collegio che sia stato rispettato il monito della sen tenza rescindente, che, come ricorda il ricorrente, aveva sollecitato il giudice del rinvio, ai fini della dimostrazione della “colpevole ignoranza”, a rifuggire da presunzioni essendo necessario, al fine di ritenere che l’agente abbia voluto sottrarsi alla conoscenza del processo, indicare le condotte positive tenute, evidenziando anche il coefficiente psicologico a sostegno di esse.
Va richiamato in toto, per ragioni di sintesi, il condivisibile dictum di Sez. 4, n. 13236 del 23/3/2022, COGNOME, Rv. 283019 – 01, cui si rimanda per l’evoluzione giurisprudenziale in tema di rescissione del giudicato, in particolare attraverso le pronunce delle Sezioni Unite degli anni 2019 e 2020 (Sez. U. n. 28912 del 28/2/2019, COGNOME, Rv. 275716; Sez. U. n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279420; Sez. U. n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280931).
Ebbene, l’art. 420bis, per la difesa dai “finti inconsapevoli”, valorizza, NOME unica ipotesi in cui possa procedersi pur se la parte ignori la vocatio in ius, la volontaria sottrazione «alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento». Evidentemente, come spiegano ancora COGNOME, si deve trattare di condotte positive, rispetto alle quali si rende necessario un accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta. E l’art. 420-bis cod. proc. pen. non “tipizza” e non consente di tipizzare alcuna condotta particolare che possa ritenersi tale; quindi non possono farsi rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali l’irreperibilità, il domicilio eletto etc. Certamen la manifesta mancanza diligenza informativa, l’indicazione di un domicilio falso, pur se apparentemente valido ed altro, potranno essere circostanze valutabili nei casi concreti, ma non possono essere di per sé deterrninanti, su di un piano solo astratto, per potere affermare la ricorrenza della “volontaria sottrazione”.
Orbene, tale valutazione appare operata dalla Corte partenopea, che, in sede di rinvio ha fornito adeguata risposta a quanto richiestogli dal giudice di legittimit indicando analiticamente le condotte attive tenute, personalmente o per interposta persona, da COGNOME NOME:
/. COGNOME NOME in data 22 giugno 2017, in occasione della notifica del decreto di sequestro emesso dal Gip il 23/5/2017, ha dichiarato domicilio presso gli uffici della società RAGIONE_SOCIALE che già in quel momento era già inesistente, avendo egli pochi giorni prima, il 19 maggio, proceduto alla modifica della denominazione e della sede.
Tale condotta è stata significativamente tenuta in epoca immediatamente successiva all’accertamento della GdF compiuto presso la sede della RAGIONE_SOCIALE nel mese di marzo, accertamento nel corso del NOME il COGNOME fu avvisato di essere sottoposto ad indagine per i reati di cui agli artt. 10bis e 10ter Dlgs 74/2000 e provvide ad eleggere domicilio presso la sede della società;
A tali condotte strettamente personali si aggiunge, poi, la condotta tenuta dal figlio convivente NOME NOME NOME il 5 luglio 2017, a seguito di dichiarazione non veritiera (il fatto che non convivesse con il padre) si rifiutava di ricevere la notifi dell’avviso di conclusione delle indagini presso il domicilio eletto;
e ha dato conto e ragione del perché esse comprovino la volontà del condannato di sottrarsi alla conoscenza del processo, essendo tutte volte a realizzare una situazione di ignoranza meramente apparente.
La decisione impugnata, dunque, appare immune dalle proposte censure di legittimità.
Né con essa il ricorrente si confronta criticamente limitandosi a contestare le risultanze dei certificati anagrafici in atti e ad osservare che rappresenterebbe una mera presunzione ritenere che NOME abbia reso edotto il genitore della visita ricevuta dalla Polizia Municipale per la notifica dell’atto giudiziario.
Al riguardo è sufficiente ribadire che il ragionamento posto a base dell’opzione decisionale si fonda sull’accertata sussistenza di una serie di elementi di fatto tutti tra loro logicamente convergenti i quali, complessivamente intesi, realizzano una piattaforma probatoria idonea a fornire dimostrazione della volontaria irreperibilità del ricorrente presso il domicilio eletto e, per l’effetto, della sua consapevole sottrazione alla conoscenza del processo.
Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 24 gennaio 2024 Il Con GLYPH liere esten ere GLYPH
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