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Volontà punitiva implicita: Cassazione chiarisce

Due imputate per tentato furto aggravato ricorrono in Cassazione sostenendo l’improcedibilità dell’azione penale per mancanza di querela, a seguito della Riforma Cartabia. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, affermando che la volontà punitiva implicita della persona offesa può essere desunta da atti precedenti, come la richiesta di costituirsi parte civile, che manifestano in modo inequivocabile l’intenzione di perseguire penalmente i responsabili.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Volontà Punitiva Implicita: Quando la Parte Civile Sostituisce la Querela

La recente Riforma Cartabia ha modificato il regime di procedibilità per numerosi reati, trasformandoli da procedibili d’ufficio a procedibili a querela. Una questione cruciale, sorta per i processi già in corso, riguarda la necessità di una querela formale. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14147/2024, offre un chiarimento fondamentale, valorizzando il concetto di volontà punitiva implicita e il suo ruolo nel garantire la prosecuzione dell’azione penale.

I Fatti del Caso

Due donne, condannate in primo e secondo grado per tentato furto aggravato in concorso, hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione. Il loro unico motivo di doglianza si basava sull’assenza di una condizione di procedibilità. Sostenevano che, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 150/2022 (Riforma Cartabia), il reato per cui erano state condannate era diventato procedibile solo a querela di parte. Poiché, a loro dire, tale querela non era mai stata formalmente presentata, il procedimento avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile.

La Procedibilità e la Volontà Punitiva Implicita

Il cuore della questione giuridica risiede nell’interpretazione degli atti compiuti dalla persona offesa prima che la riforma entrasse in vigore. L’argomento delle ricorrenti era puramente formale: nessuna querela, nessuna azione penale. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha adottato un approccio sostanziale, andando a ricercare la presenza di una volontà punitiva implicita, ovvero una manifestazione di intenti che, seppur non formalizzata in una querela, fosse ugualmente chiara e inequivocabile.

La Decisione della Cassazione sulla Volontà Punitiva Implicita

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno stabilito che la volontà di querelare non deve necessariamente manifestarsi attraverso un atto formale e specifico, ma può essere desunta da altri comportamenti processuali che rivelino senza ombra di dubbio l’intenzione della persona offesa di perseguire penalmente i responsabili. Nel caso di specie, la Corte ha identificato diversi indici fattuali che dimostravano tale volontà: l’espressa opposizione della persona offesa al decreto penale di condanna, la richiesta di essere informata in caso di archiviazione e, soprattutto, la volontà di costituirsi parte civile nel procedimento.

Le Motivazioni

La Cassazione ha basato la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale consolidato (richiamando la sentenza n. 19971/2023), secondo cui la costituzione di parte civile o anche la sola riserva di farlo sono atti che implicitamente contengono la volontà punitiva richiesta dalla legge. La ragione è logica e stringente: la richiesta di risarcimento del danno nel processo penale presuppone necessariamente una richiesta di affermazione della responsabilità penale dell’imputato. Sarebbe contraddittorio chiedere un risarcimento e, al tempo stesso, non volere che l’autore del reato venga punito. Pertanto, questi atti processuali sono stati considerati più che sufficienti a integrare la condizione di procedibilità, rendendo superflua una successiva querela formale. Il ricorso delle imputate è stato ritenuto infondato perché non si confrontava con questo principio consolidato, limitandosi a una sterile eccezione formale.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha un’importante implicazione pratica: nei procedimenti in corso per reati la cui procedibilità è stata modificata ‘in corso d’opera’, non è sempre necessario un nuovo adempimento formale da parte della vittima. Se la persona offesa ha già dimostrato attivamente il proprio interesse alla persecuzione penale degli autori del reato, ad esempio manifestando l’intenzione di chiedere un risarcimento, tale volontà è sufficiente a soddisfare la nuova condizione di procedibilità. Questa decisione tutela la sostanza sulla forma, garantendo che l’azione penale prosegua quando l’intento della vittima è chiaro e impedendo che mere formalità procedurali, introdotte da una nuova legge, possano portare all’estinzione di processi già avviati.

Dopo la Riforma Cartabia, se un reato diventa procedibile a querela, è sempre necessario presentare una querela formale nei processi già in corso?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è necessario se la volontà punitiva della persona offesa è già stata manifestata in modo implicito ma inequivocabile attraverso altri atti processuali.

Quali atti possono dimostrare una volontà punitiva implicita?
L’ordinanza indica che atti come l’essersi costituiti parte civile, la riserva di costituirsi parte civile, l’opposizione a un decreto penale di condanna o la richiesta di essere informati in caso di archiviazione sono tutti indici che rivelano univocamente la volontà di procedere penalmente.

Cosa significa che un ricorso è dichiarato inammissibile?
Significa che il ricorso non viene esaminato nel merito perché è manifestamente infondato o manca dei requisiti previsti dalla legge. In questo caso, le ricorrenti sono state anche condannate al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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