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Volontà di punizione: vale come querela? La Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14400/2024, ha stabilito che la dichiarazione della persona offesa di volersi costituire parte civile, o la riserva di farlo, espressa al momento della denuncia, integra una valida manifestazione della volontà di punizione. Tale dichiarazione è quindi equiparabile a una querela, rendendo procedibile l’azione penale anche per reati che, a seguito di riforme legislative, la richiedono espressamente. La Corte ha chiarito che il successivo risarcimento del danno non comporta una remissione tacita della querela.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Volontà di punizione: la riserva di costituirsi parte civile equivale a querela?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 14400/2024) ha affrontato un tema cruciale della procedura penale: il valore da attribuire alla dichiarazione della persona offesa di volersi costituire parte civile. La Corte ha stabilito che tale manifestazione, anche se espressa come mera riserva, è sufficiente a integrare la volontà di punizione richiesta dalla legge per procedere penalmente, equiparandola di fatto a una querela. Questa decisione ha importanti implicazioni, soprattutto per i reati che sono diventati procedibili a querela a seguito di recenti riforme.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna per cinque episodi di furto aggravato. In appello, la Corte territoriale aveva dichiarato il non doversi procedere per uno degli episodi per mancanza di querela, confermando però la responsabilità penale per gli altri quattro. La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo, tra le altre cose, che anche per gli altri reati mancava una valida querela. Secondo il ricorrente, la volontà espressa dalle vittime di costituirsi parte civile o di riservarsi tale facoltà, pur essendo state risarcite, non poteva essere considerata una valida manifestazione di volontà di procedere penalmente.

La questione giuridica e la volontà di punizione

Il nodo centrale della questione era interpretare se la manifestazione dell’intento di chiedere un risarcimento in sede penale (costituzione di parte civile) potesse supplire alla mancanza di una querela formale. Questo aspetto è diventato particolarmente rilevante dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022 (la cosiddetta “Riforma Cartabia”), che ha ampliato il novero dei reati procedibili solo su querela della persona offesa.

La difesa sosteneva che la volontà di ottenere un risarcimento è distinta dalla volontà di punizione penale del colpevole. Di conseguenza, in assenza di una querela esplicita, l’azione penale avrebbe dovuto essere dichiarata improcedibile.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo una chiara e articolata motivazione. I giudici hanno basato la loro decisione sul principio del favor querelae, secondo cui, in situazioni di incertezza, l’interpretazione degli atti deve privilegiare la volontà querelatoria, anche se non espressa con formule sacramentali.

La riserva di costituzione di parte civile come querela implicita

La Corte ha affermato che la dichiarazione con cui la persona offesa, al momento della denuncia, si costituisce o si riserva di costituirsi parte civile deve essere qualificata come una valida manifestazione del diritto di querela. L’intento di partecipare al processo penale per ottenere un risarcimento presuppone logicamente e giuridicamente che tale processo venga instaurato. Pertanto, questa dichiarazione rimuove l’ostacolo alla procedibilità del reato, manifestando in modo implicito ma inequivocabile la volontà di punizione del responsabile.

Irrilevanza del successivo risarcimento e della mancata costituzione

La Cassazione ha inoltre chiarito che il fatto che le vittime siano state successivamente risarcite e non si siano poi effettivamente costituite parte civile nel processo non inficia la validità della volontà originariamente espressa. La remissione della querela, infatti, deve essere un atto espresso o desunto da fatti incompatibili con la volontà di persistere nell’azione penale. La mancata costituzione di parte civile e l’accettazione del risarcimento non sono, di per sé, atti univoci in tal senso, potendo derivare da altre valutazioni (ad esempio, evitare i costi e le lungaggini del processo).

La motivazione sulla dosimetria della pena

Infine, la Corte ha respinto anche il motivo di ricorso relativo alla presunta carenza di motivazione sull’aumento di pena per i reati satellite in continuazione. I giudici hanno ribadito che, quando l’aumento di pena non si discosta significativamente dalla media edittale, non è richiesta una motivazione specifica e dettagliata, essendo sufficiente un richiamo generico alla congruità e adeguatezza della sanzione.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Stabilendo che la riserva di costituirsi parte civile equivale a una querela, la Cassazione tutela la volontà della persona offesa, evitando che cavilli procedurali possano portare all’improcedibilità dell’azione penale. Questo principio garantisce che l’intento iniziale della vittima di ottenere giustizia sia rispettato, anche se manifestato in forme non rituali, e assume un rilievo ancora maggiore nel contesto normativo attuale, che richiede sempre più spesso la querela come condizione per la persecuzione di numerosi reati.

La dichiarazione di volersi costituire parte civile vale come querela?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la dichiarazione con cui la persona offesa manifesta l’intento di costituirsi parte civile, o si riserva di farlo, è una valida espressione della volontà di punizione e deve essere qualificata come una valida manifestazione del diritto di querela.

Il risarcimento del danno alla vittima fa venir meno la querela?
No. L’accettazione del risarcimento del danno non comporta automaticamente una remissione della querela. La remissione deve essere un atto espresso o desunto da fatti inequivocabilmente incompatibili con la volontà di persistere nell’azione penale, tra i quali non rientra la mera accettazione di una somma a titolo di risarcimento.

È sempre necessaria una motivazione dettagliata per l’aumento di pena nel reato continuato?
No. Quando l’aumento di pena per i reati satellite (quelli successivi al più grave) non si pone al di sopra della media della pena prevista, non sussiste un obbligo di specifica motivazione. È sufficiente che il giudice faccia richiamo a criteri di adeguatezza e congruità dell’aumento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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