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Volontà di punire: denuncia valida anche senza formule

Un cittadino presenta una denuncia per appropriazione indebita contro il proprio legale. Nei gradi di merito, la successiva accusa di calunnia contro il denunciante viene archiviata perché si ritiene che la denuncia iniziale non esprimesse una chiara ‘volontà di punire’. La Corte di Cassazione annulla questa decisione, affermando che la richiesta di ‘accertare eventuali responsabilità penali’ è sufficiente a manifestare tale volontà, in linea con il principio del ‘favor querelae’.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Volontà di punire: quando una denuncia diventa querela?

La distinzione tra una semplice denuncia e una querela formale è un punto cruciale nel diritto penale, poiché determina l’avvio o meno dell’azione penale per numerosi reati. Al centro di questa distinzione vi è la cosiddetta volontà di punire, ovvero la chiara manifestazione di interesse da parte della vittima a perseguire legalmente il colpevole. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 11183/2024) ha ribadito un principio fondamentale in materia: non servono formule sacramentali per esprimere tale volontà; è sufficiente che essa emerga, anche implicitamente, dal contenuto dell’atto. Vediamo nel dettaglio il caso e le motivazioni della Corte.

Il Caso: Una Denuncia Contro il Legale e l’Accusa di Calunnia

La vicenda ha origine dalla denuncia-querela presentata da un cittadino presso la Guardia di Finanza nei confronti del proprio avvocato. L’accusa era grave: appropriazione indebita di un assegno di 3.000 euro. A seguito di questa denuncia, il procedimento si era però ribaltato, e il denunciante si era ritrovato a sua volta indagato per il reato di calunnia, previsto dall’art. 368 del codice penale.

Il Giudice per l’udienza preliminare, e successivamente la Corte di Appello, avevano però dichiarato il non luogo a procedere nei confronti del cittadino. La loro motivazione si basava su un presupposto tecnico: il reato presupposto (l’appropriazione indebita) non era perseguibile perché l’atto presentato alla Guardia di Finanza mancava di un elemento essenziale della querela, ovvero la chiara volontà di punire il legale. Secondo i giudici, il denunciante si era limitato a chiedere di “accertare la finale destinazione degli assegni”, senza manifestare esplicitamente l’intenzione di volere una condanna penale.

La Decisione della Cassazione: Interpretare la Volontà di Punire

Il Procuratore Generale ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la manifesta illogicità della motivazione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza e rinviando il caso a un nuovo giudizio.

Il punto centrale della decisione della Cassazione risiede nell’interpretazione dell’atto di denuncia. La Corte ha stabilito che la richiesta del cittadino di “accertare la finale destinazione di detti assegni e se vengano rilevate eventuali responsabilità penali nelle operazioni di incasso” conteneva implicitamente, ma in modo inequivocabile, la volontà di punire l’eventuale autore del reato.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato il proprio ragionamento sul principio consolidato del favor querelae. Questo principio stabilisce che, in caso di incertezza o ambiguità nelle espressioni usate dal denunciante, il giudice deve interpretare l’atto nel senso più favorevole all’esercizio dell’azione penale. In altre parole, se dall’atto emerge un dubbio, si deve presumere che la vittima intendesse presentare una querela valida. Escludere la volontà di punire solo perché non sono state usate frasi come “chiedo la punizione del colpevole” è, secondo la Corte, un’interpretazione eccessivamente restrittiva e contraria a tale principio.

Inoltre, la Cassazione ha definito illogica l’argomentazione della Corte d’Appello secondo cui il denunciante non avrebbe avuto interesse a denunciare una falsa appropriazione di un assegno tracciabile e incassato sul proprio conto. Questa valutazione, sottolinea la Suprema Corte, attiene al merito dell’accusa di calunnia (cioè, se il denunciante sapesse o meno dell’innocenza dell’accusato) e non può essere utilizzata per negare a priori la validità formale della querela.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un importante principio di procedura penale: la volontà di punire non richiede formalismi. L’istanza di punizione è consustanziale alla richiesta di accertare responsabilità penali. L’analisi del giudice deve concentrarsi sulla sostanza dell’atto e, nel dubbio, favorire la procedibilità dell’azione. La decisione della Corte di Cassazione annulla quindi il proscioglimento e impone un nuovo esame del caso, che dovrà partire dal presupposto che la querela originaria era pienamente valida.

Per presentare una querela valida, è necessario usare formule specifiche come ‘chiedo la punizione del colpevole’?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non sono necessarie formule sacramentali. La volontà di punire può essere desunta anche da espressioni come la richiesta di ‘accertare eventuali responsabilità penali’, interpretando l’atto alla luce del principio del favor querelae.

Se un atto di denuncia è ambiguo, come deve interpretarlo il giudice?
In situazioni di incertezza, il giudice deve applicare il principio del favor querelae, ovvero deve preferire l’interpretazione che considera l’atto come una valida querela, al fine di non precludere l’esercizio dell’azione penale.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza precedente?
La Corte ha ritenuto ‘manifestamente illogico’ il ragionamento dei giudici di merito. Essi avevano escluso la volontà di punire basandosi su una lettura restrittiva della denuncia e su considerazioni (come la tracciabilità dell’assegno) che appartengono al merito del processo per calunnia, non alla valutazione della validità della querela originaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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