Volizione Unitaria: la Cassazione chiarisce i limiti tra reati distanti nel tempo
Il concetto di volizione unitaria, o reato continuato, rappresenta un pilastro del diritto penale, consentendo di unificare diverse condotte criminose sotto un unico disegno. Ma cosa succede quando i reati sono commessi a molti anni di distanza? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, offre importanti chiarimenti, stabilendo che un ampio lasso temporale può interrompere questo legame, anche in presenza di una condanna per associazione criminale.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un individuo condannato per tre distinti reati di spaccio di sostanze stupefacenti, commessi rispettivamente nel 1990, nel 1992 e nel 2002. A questi si aggiunge una condanna per associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.). L’imputato ha presentato ricorso al giudice dell’esecuzione chiedendo che tutti i reati venissero considerati come un’unica violazione continuata, sostenendo che l’appartenenza all’associazione criminale fungesse da ‘collante’ per tutte le attività di spaccio. La sua tesi era che, essendo parte di un’organizzazione stabile, non avrebbe potuto agire in proprio, e quindi tutte le sue azioni dovevano essere ricondotte a un medesimo programma criminoso.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. I giudici hanno ritenuto che non vi fossero elementi sufficienti per dimostrare l’esistenza di una volizione unitaria che collegasse reati commessi in un arco temporale così esteso, che supera un decennio.
Le Motivazioni della Corte e il concetto di volizione unitaria
La Corte ha basato la sua decisione su due argomenti principali, che aiutano a definire i contorni applicativi del reato continuato.
Il Criterio Temporale come Indice Rivelatore
Il primo punto analizzato è il tempo. La giurisprudenza consolidata, richiamata anche dalle Sezioni Unite, considera il fattore temporale come un indice fondamentale per valutare l’esistenza di un unico disegno criminoso. Secondo la Corte, è manifestamente illogico pensare che i reati del 1992 e del 2002 potessero essere stati programmati, ‘almeno nelle loro linee essenziali’, già al momento della commissione del primo reato nel 1990. La notevole distanza tra gli episodi rende improbabile una pianificazione unitaria e originaria, suggerendo piuttosto che si tratti di decisioni criminose separate e maturate nel tempo.
L’Associazione Criminale non è un ‘Collante’ Automatico
Il secondo argomento, forse il più interessante, riguarda il ruolo della condanna per associazione a delinquere. Il ricorrente sosteneva che questa condanna dovesse automaticamente unificare tutti i reati-fine (lo spaccio). La Cassazione ha smontato questa tesi, definendola una ‘mera deduzione di tipo logico’ non supportata da prove concrete. I giudici hanno sottolineato che non è sufficiente essere parte di un sodalizio criminale per presumere che ogni reato commesso rientri in un unico piano. Anzi, il giudice di merito aveva evidenziato una circostanza fattuale cruciale: le persone coinvolte nel secondo episodio di spaccio erano diverse da quelle risultate poi essere membri dell’associazione. Questo elemento di discontinuità soggettiva ha ulteriormente indebolito la tesi della volizione unitaria.
Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la continuazione tra reati non può essere presunta, ma deve essere provata sulla base di elementi concreti. Un ampio divario temporale tra le condotte è un forte indicatore contrario all’esistenza di un unico disegno criminoso. Inoltre, la partecipazione a un’associazione criminale non crea un automatismo: non tutti i reati commessi da un affiliato sono necessariamente riconducibili al programma del sodalizio e, di conseguenza, unificabili. La decisione deve basarsi su una valutazione fattuale caso per caso, analizzando elementi come l’omogeneità delle condotte, il contesto, i soggetti coinvolti e, appunto, la contiguità temporale.
Quando più reati possono essere considerati parte di un unico disegno criminoso (volizione unitaria)?
Possono essere considerati tali quando si dimostra che, al momento della commissione del primo reato, gli altri erano già stati programmati almeno nelle loro linee essenziali. Il criterio temporale è un indice fondamentale: una notevole distanza tra i fatti rende meno probabile l’esistenza di un piano unitario.
Un’ampia distanza di tempo tra un reato e l’altro esclude sempre la volizione unitaria?
Sebbene non la escluda in modo automatico, la rende molto improbabile. Secondo la Corte, un lungo periodo tra i reati (in questo caso, anni) è un forte indizio che non vi sia un’unica programmazione, ma decisioni criminose separate e prese in momenti diversi.
Essere parte di un’associazione a delinquere significa che tutti i reati-fine commessi sono automaticamente collegati tra loro?
No. La Corte ha chiarito che la condanna per associazione criminale non funge da ‘collante’ automatico per tutti i reati-fine (come lo spaccio). È necessario dimostrare che i singoli reati rientrano specificamente nel programma del sodalizio, e non si può basare tale collegamento su una mera deduzione logica, specialmente se ci sono elementi di discontinuità, come la diversità dei soggetti coinvolti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36461 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36461 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 23/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MAGENTA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/05/2025 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre contro il provvedimento indicato in intestazione; Rilevato che con memoria scritta i difensori del ricorrente, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, hanno insistito per l’accoglimento del ricorso;
Ritenuto che:
la decisione del giudice dell’esecuzione è coerente con la giurisprudenza di legittimità c ha individuato i criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitaria (cfr., per Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074), atteso che il criterio temporale è un indice di valutazione della esistenza o meno di una volizione unitaria ed, in presenza di un prim reato di cui all’art. 73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso nel 1990, un secondo reato dell stesso tipo commesso nel 1992, ed altri reati ancora dello stesso tipo commessi nel 2002, non è manifestamente illogica la decisione del giudice dell’esecuzione che ha ritenuto che, a momento di commissione del primo reato, quelli oggetto della seconda e terza sentenza di condanna, non potessero essere stati programmati “almeno nelle loro linee essenziali”;
-per ciò che riguarda, poi, la deduzione del ricorso, secondo cui anche i reati di s 1990 e del 1992 dovrebbero essere reati-fine del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., di c ricorrente è stato riconosciuto responsabile con la terza sentenza di condanna, e che costituirebbe, pertanto, il collante di tutti i reati di spaccio, la circostanza che essa si una mera deduzione di tipo logico – ribadita anche nella memoria depositata in corso di giudizio – secondo cui il ricorrente non avrebbe potuto organizzarsi in proprio in un periodo in cui risu essere stato parte dell’associazione criminale, deduzione che non è fondata sull’íd quod plerumque accidit (il giudice del merito ha rilevato, con argomento non contrastato in ricorso, che i nominativi delle persone che compaiono nel secondo episodio di spaccio sono diversi da quelli che poi risultano essere partecipi della consorteria), ed, in quanto tale, idonea a costituire base razionale della motivazione di un provvedimento giudiziario (Sez. 5, n. 25616 del 24/05/2019, P.M. in proc. Devona, Rv. 277312), rende non illogica la motivazione del giudice del merito che ha ritenuto che la condanna per art. 416-bis cod. pen. non consenta di unificare tutti i reati oggetto dell’istanza;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
esidente
Così deciso il 23 ottobre 2025
Il consigliere estensore
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