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Vizio di motivazione: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per diffamazione ai soli fini civili. La Corte chiarisce che le censure della ricorrente non riguardavano un’erronea applicazione della legge, bensì un presunto vizio di motivazione sulla ricostruzione dei fatti, un motivo non deducibile in quella sede. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto con condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Vizio di Motivazione e Ricorso per Cassazione: La Differenza Cruciale

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, n. 31533/2024, offre un’importante lezione sulla differenza tra l’erronea applicazione della legge e il vizio di motivazione. Questo chiarimento è fondamentale per comprendere i limiti del giudizio di legittimità e i motivi per cui un ricorso può essere dichiarato inammissibile. Il caso analizzato riguarda una condanna per diffamazione ai soli effetti civili, ma i principi espressi dalla Corte hanno una valenza generale nel diritto processuale penale.

I Fatti del Caso: Dalla Condanna per Diffamazione al Ricorso

Una donna veniva condannata dal Tribunale, in riforma di una precedente pronuncia, al risarcimento dei danni in favore della parte civile per il reato di diffamazione. Non accettando la decisione, la condannata proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse commesso un’erronea applicazione della legge penale. In particolare, la ricorrente lamentava una scorretta interpretazione dei presupposti fattuali che avevano portato alla sua condanna.

La Censura della Ricorrente: Errore di Legge o Vizio di Motivazione?

Il fulcro del ricorso si basava sulla presunta erronea applicazione della legge. Tuttavia, la Suprema Corte ha subito evidenziato come le argomentazioni della ricorrente non riguardassero un errore di interpretazione o applicazione di una norma, bensì una critica alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito. La ricorrente, infatti, contestava la data di consumazione del reato, sostenendo che fosse avvenuta in un momento specifico (settembre 2016), senza però fornire prove concrete a supporto di tale affermazione né confrontarsi adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata. Questo tipo di doglianza, secondo la Corte, non rientra nel campo dell’errore di diritto, ma configura un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, il che rappresenta un vizio di motivazione.

La Distinzione Chiave secondo la Cassazione

La Corte ha ribadito un principio consolidato, citando una precedente sentenza (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016). La differenza è netta:

1. Erronea applicazione della legge (art. 606, co. 1, lett. b, c.p.p.): Si verifica quando il giudice interpreta male una norma sostanziale o la applica a un caso concreto in modo errato (es. qualificando un furto come rapina).
2. Vizio di motivazione: Riguarda il percorso logico-giuridico della sentenza. Si ha quando la motivazione è mancante, contraddittoria o manifestamente illogica. Criticare la valutazione delle prove o la ricostruzione dei fatti da parte del giudice di merito rientra in questo ambito e non può essere mascherato da un presunto errore di legge.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per due ragioni principali. In primo luogo, la ricorrente ha confuso un presunto vizio di motivazione con un errore di diritto, proponendo una censura non ammissibile in sede di legittimità. Il giudizio della Cassazione, infatti, non è un terzo grado di merito dove si possono rivalutare le prove, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione.

In secondo luogo, le argomentazioni sono state giudicate ‘meramente assertive’. La ricorrente ha affermato che il reato si era consumato in una certa data senza indicare le fonti di prova di tale circostanza e senza confutare la ricostruzione del Tribunale, che si basava anche sulla credibilità della testimonianza della persona offesa riguardo al momento in cui aveva avuto notizia dell’offesa.

Le Conclusioni: Quando un Ricorso Diventa Inammissibile

L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questa decisione comporta due conseguenze automatiche per la ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali e il versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. La decisione sottolinea l’importanza di formulare i motivi di ricorso in modo tecnicamente corretto, distinguendo nettamente le censure sulla legittimità della decisione da quelle che, surrettiziamente, mirano a una nuova valutazione dei fatti, preclusa alla Corte di Cassazione.

Qual è la differenza tra ‘erronea applicazione della legge’ e ‘vizio di motivazione’ secondo la Cassazione?
L’erronea applicazione della legge riguarda un errore nell’interpretazione o nell’applicazione di una norma giuridica a un caso concreto. Il vizio di motivazione, invece, riguarda un difetto nel ragionamento del giudice (motivazione mancante, illogica o contraddittoria) e non una nuova valutazione dei fatti.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la ricorrente ha presentato critiche sulla ricostruzione dei fatti come se fossero un errore di diritto, confondendo il vizio di motivazione (non deducibile in quei termini) con l’erronea applicazione della legge. Inoltre, le sue argomentazioni sono state ritenute generiche e non supportate da prove.

Quali sono le conseguenze per la ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e a versare una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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