Vizio di Motivazione: Quando il Ricorso in Cassazione è Infondato
Il concetto di vizio di motivazione rappresenta uno dei motivi più comuni, ma anche più complessi, per presentare ricorso alla Corte di Cassazione. Tuttavia, non ogni presunta anomalia nel ragionamento del giudice di merito può portare all’annullamento di una sentenza. Con una recente ordinanza, la Suprema Corte ha ribadito i confini precisi entro cui tale vizio può essere validamente contestato, dichiarando inammissibile un ricorso in materia di furto aggravato. Analizziamo insieme la decisione.
I Fatti del Caso
Un individuo veniva condannato in primo grado dal Tribunale e successivamente dalla Corte d’Appello per il reato di furto aggravato, ai sensi degli artt. 624 bis e 625 del codice penale. La pena inflitta era di due anni di reclusione e 950,00 euro di multa.
Contro la sentenza di secondo grado, la difesa dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo: il presunto vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle prove emerse durante il dibattimento, in particolare riguardo alle dichiarazioni di un testimone che avevano portato al riconoscimento e alla condanna del proprio assistito.
L’unico motivo di ricorso: il presunto vizio di motivazione
La difesa sosteneva che la Corte d’Appello non avesse motivato in modo adeguato e logico la propria decisione, specialmente nel considerare attendibile la testimonianza chiave. Secondo il ricorrente, la valutazione dei giudici di merito era viziata e non conforme a quanto previsto dall’art. 533, comma 1, del codice di procedura penale, che richiede una condanna solo se l’imputato risulta colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
La Decisione della Corte di Cassazione e le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato”, respingendolo senza entrare in un nuovo esame dei fatti. Il cuore della decisione risiede nella precisa definizione di quale tipo di vizio di motivazione sia censurabile in sede di legittimità.
Gli Ermellini hanno chiarito che, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e) del codice di procedura penale, il vizio che permette l’annullamento di una sentenza è solo quello che emerge da un palese contrasto tra l’argomentazione del giudice e due elementi:
1. Le massime di esperienza: principi basati sul senso comune e sulla logica generale.
2. Altre affermazioni contenute nel provvedimento: una contraddizione interna alla sentenza stessa.
Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che la motivazione della sentenza impugnata era immune da tali difetti. I giudici d’appello avevano, infatti, “vagliato approfonditamente” le dichiarazioni del testimone che avevano portato al riconoscimento del ricorrente. La motivazione non presentava alcuna illogicità manifesta né contraddizioni. Di conseguenza, la doglianza della difesa è stata giudicata non decisiva e il ricorso inammissibile.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma un principio fondamentale del nostro ordinamento: la Corte di Cassazione non è un “terzo grado di giudizio” dove si possono rivalutare le prove e i fatti. Il suo compito è quello di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.
Perché un ricorso per vizio di motivazione abbia successo, non è sufficiente proporre una lettura alternativa delle prove o lamentare la mancata condivisione della propria tesi difensiva. È necessario dimostrare che il ragionamento del giudice è stato palesemente illogico, contraddittorio o contrario al senso comune. In assenza di tali macroscopici difetti, come nel caso esaminato, il ricorso è destinato a essere respinto.
Cos’è il vizio di motivazione che può essere contestato in Cassazione?
Secondo la Corte, il vizio di motivazione censurabile è quello che emerge da un palese contrasto tra il ragionamento della sentenza e le massime di esperienza, oppure da contraddizioni interne al provvedimento stesso. Non è sufficiente una diversa valutazione delle prove.
Perché il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato in questo caso?
Il ricorso è stato respinto perché la motivazione della Corte d’Appello, che aveva valutato approfonditamente le dichiarazioni di un testimone, non presentava alcuna illogicità o contraddizione riconducibile alla nozione di vizio di motivazione rilevante per la Cassazione.
Per quale reato era stato condannato il ricorrente?
L’imputato era stato condannato per il delitto di furto aggravato, previsto dagli articoli 624 bis, comma 2, e 625 n. 2 del codice penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 17157 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 17157 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il 31/07/1963
avverso la sentenza del 05/11/2024 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, che ha confermato quella del Tribunale di Catanzaro in ordine al delitto di cui agli artt. 624 bis, comma 2, 625 n.2 cod. pen., per il quale l’imputato è stato condannato alla pena di anni due di reclusione ed euro 950,00 di multa;
Considerato che il primo ed unico motivo di ricorso – che lamenta vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle istanze dell’istruttoria dibattimentale in ordine all’art. comma 1 cod. proc. pen. – è manifestamente infondato, poiché il vizio censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., è quello che emerge dal contrasto dello sviluppo argomentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedimento; ebbene, la motivazione della sentenza impugnata (cfr. pagg. 4-5) non presenta alcun vizio riconducibile alla nozione delineata nell’art. 606, comma 2, lett. e) co proc. pen. La Corte territoriale ha vagliato approfonditamente le dichiarazioni rese dalla test COGNOME che hanno portato al riconoscimento del ricorrente, risulta doglianza non decisiva
quella riguardante il colore della capigliatura dell’imputato, come riportato dalle dichiarazio della teste. Come chiarito dal Giudice di Appello, la certezza del riconoscimento del ricorrente
non si basa sull’unico indice del colore dei capelli, ma sul fatto che la teste COGNOME ha avuto modo di poter osservare, a distanza ravvicinata, i tratti del volto del COGNOME riconoscendo
agevolmente in sede di individuazione di persona, così fugando ogni dubbio sul suo riconoscimento. La Corte territoriale ha così seguito un ragionamento congruo, esente dai vizi
logico-giuridici paventati dal ricorrente, risultando il motivo nel resto versato in fatto e consentito;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9 aprile 2025
Il consilie estensore
Il Presidente