Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25970 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25970 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal PM della DDA di Napoli nel procedimento a carico di NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 22.2.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
uditi gli AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, e l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che hanno concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza resa in data 13.3.2024 il Tribunale di Napoli, decidendo sull’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME, ha annullato il provvedimento con cui, in data 23.1.2024, il GIP del capoluogo partenopeo aveva applicato all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere avendo ravvisato, a suo carico, gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di estorsione pluriaggravata – anche ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e, per altro verso, l’esistenza di esigenze cautelari non altrimenti fronteggiabili;
2. ricorre per cassazione il PM della DDA di Napoli lamentando plurimi vizi di motivazione: deduce, infatti, la sua contraddittorietà laddove il Tribunale è pervenuto all’annullamento dell’ordinanza genetica pur avendo dato atto della convergenza delle dichiarazioni del COGNOME e del COGNOME sulla condotta estorsiva; osserva, inoltre, che soltanto un’accurata motivazione in punto di inattendibilità della persona offesa avrebbe potuto giustificare il mancato raggiungimento della soglia di gravità indiziaria fondata sulle sue dichiarazioni, confortate da quelle del COGNOME, collaboratore di giustizia giudicato per contro pienamente attendibile; osserva che il Tribunale, invece, si è limitato a segnalare la illogicità di alcuni aspetti della vicenda in realtà coerenti con la logi camorristica che la pervade, a partire dal fatto che il COGNOME si sarebbe rivolto al COGNOME, esponente del clan RAGIONE_SOCIALE, per sfuggire alle richieste provenienti da esponenti del clan COGNOME; aggiunge che in tal senso il COGNOME si era determinato su insistenza della sua ex moglie e dopo che le questioni di natura personale erano state ormai definite, come peraltro confermato dallo stesso 3 2 COGNOME, il quale si(rivolto al COGNOME, a capo del clan RAGIONE_SOCIALE, per essere autorizzato ad incontrare il COGNOME ed il COGNOME onde tentare ridimensionarne le pretese nei confronti del COGNOME; segnalai che lo screzio tra il COGNOME ed il COGNOME era stata l’occasione per gli esponenti del clan COGNOME di proporre al primo la propria “protezione” ed inserirsi nell’attività e come non fosse affatto illogica l mediazione del COGNOME da leggere, a sua volta, all’interno della dinamica tra clan operanti sul territorio, tutti interessati a trarre iguadagni e vantaggi economici dalla vicenda che vedeva la vittima non legata ad alcuna famiglia; sottolinea, infine, l’errore in cui è incorso il Tribunale nell’affermare che il COGNOME ed il COGNOME non avevano formulato alcuna minaccia o usato alcuna violenza dimenticando il contesto in cui era maturata la vicenda con l’altrettanto implicito utilizzo del metodo mafioso insito nell’inequivoco riferimento al “nome” dei COGNOME, uscito perdente dalla faida di camorra ma tuttora operante come testimoniato dalla esecuzione delle misure cautelari a carico dello stesso COGNOME e di NOME COGNOME Corte di Cassazione – copia non ufficiale
COGNOME nell’ambito del proc. pen. 13700/2017 per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. commesso nello stesso arco di tempo delle vicende di cui si discute in questa sede;
la Procura AVV_NOTAIO, nonostante la richiesta, accolta, di trattazione orale, ha trasmesso le proprie conclusioni scritte insistendo per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure non consentite in questa sede.
Non è infatti inutile ribadire quali siano i limiti alla sindacabilità, in ques sede, dei provvedimenti adottati dal Tribunale del Riesame sulla libertà personale; è infatti consolidato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio d legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza delle esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
La censura con cui si deduca il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, pertanto, consente al giudice di legittimità di vagliare la adeguatezza delle ragioni addotte rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie non potendo prendere in esame quei rilievi che, pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 3, Sentenza n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
Tanto premesso, si deve rilevare che i rilievi articolati dal PM nei confronti del provvedimento adottato dal Tribunale di Napoli si risolvono, in sostanza, in una
alternativa interpretazione dei dati investigativi che erano stati posti a fondamento della misura e che i giudici della cautela non hanno omesso di considerare vagliandone la consistenza e la portata significativa nell’ottica proposta dalla pubblica accusa giungendo, tuttavia, a conclusioni diverse che, però, hanno sorretto con argomentazioni non manifestamente illogiche o intrinsecamente contraddittorie.
2. I giudici del riesame, infatti, hanno vagliato l’ipotesi accusatoria oggetto della provvisoria incolpazione, relativa ad una condotta estorsiva che sarebbe stata tenuta da esponenti del clan COGNOME, ovvero NOME COGNOME e NOME COGNOME, in concorso con altri (COGNOME NOME e COGNOME NOME esponenti invece del rivale clan RAGIONE_SOCIALE) in danno di NOME COGNOME, con l’infondato pretesto di averlo protetto dalla possibile vendetta di NOME COGNOME; più in particolare, il NOME ed il COGNOME, in più occasioni, gli avrebbero intimato di cedere loro la sala slot di Arzano per 1510.000 euro ovvero, qualora avesse continuato a gestirla, a corrispondere loro la somma 280.000 euro, finendo, quindi, per ottenere la somma di 100.000 euro all’esito di un incontro e della “mediazione” del COGNOME.
Il Tribunale (cfr., pagg. 3-4 del provvedimento impugnato) ha quindi richiamato le dichiarazioni di NOME COGNOME, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia, il quale aveva sostenuto di essere intervenuto nella vicenda su richiesta del COGNOME avendo appreso che i COGNOME si erano “insediati” nella sala slot condotta dalla persona offesa; il collaboratore aveva riferito di aver organizzato un incontro con COGNOME e COGNOME i quali sostenevano di aver investito in quell’attività e, comunque, di avere concordato con costoro la consegna di 100.000 per uscirne; il COGNOME, per come riportato nel provvedimento, aveva persino contribuito corrispondendo di tasca sua circa la metà di quell’importo.
A fianco della versione fornita dal COGNOME, il Tribunale ha riportato quella de COGNOME (cfr., pagg. 5-6 dell’ordinanza) evidenziando, quindi, una serie di discrasie rispetto a quella resa dal COGNOME; ha spiegato che il racconto del COGNOME è costellato da vuoti logici “… che rendono impossibile ricostruire la vicenda che ci occupa con la chiarezza necessaria per l’emissione di una misura cautelare” (cfr., pag. 6 del provvedimento) restando oscura la ragione per la quale costui, di fronte ad una richiesta estorsiva, aveva finito per rivolgersi proprio a COGNOME, ovvero al soggetto dal quale i COGNOME avevano sostenuto di proteggerlo perché intenzionato ad ucciderlo.
Altrettanto oscuro, secondo il Tribunale, è il motivo che aveva indotto il COGNOME ad intercedere a favore del COGNOME intervenendo in qualità di mediatore con il clan COGNOME.
Così come era rimasta inspiegata la ragione per la quale il “noleggiatore” di slot nnachine avrebbe acconsentito a mettere a disposizione del COGNOME una parte della somma richiesta dai COGNOME.
Ciò, a fronte della diversa versione fornita dal COGNOME in merito al reperimento della residua parte dell’importo da corrispondere ai COGNOME e che sarebbe stata incomprensibilmente messa a disposizione proprio dal collaboratore gettando in tal modo un’alone di incertezza complessiva sull’effettivo tenore dei rapporti tra il COGNOME e gli esponenti del clan COGNOME e, correlativamente, con il clan RAGIONE_SOCIALE (ovvero lo stesso NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME).
4. Secondo il Tribunale, la versione del COGNOME portava ad ipotizzare che in qualche modo i COGNOME fossero entrati in affari con il COGNOME con il quale sarebbero insorti dei dissidi che avevano indotto lo stesso COGNOME a tentare estrometterli essendosi a tal fine rivolto a COGNOME che – in tal senso autorizzato dal COGNOME – aveva interpellato gli esponenti del clan rivale i quali, tuttavia, avevano sostenuto di aver investito nell’attività: il collaboratore, come già in precedenza accennato, aveva fatto presente che “noi non sapevamo a chi credere” (cfr., ivi, pag. 5).
Il provvedimento ha spiegato che non era emerso se effettivamente i COGNOME avessero investito o si fossero insediati nella attività mediante violenza e/o minaccia aggiungendo che il COGNOME aveva reso dichiarazioni che non avevano fatto luce sulla vicenda “… contribuendo anzi a colorare di illogicità gli avvenimenti … così come ricostruiti attraverso le dichiarazioni sue e di COGNOME” (cfr., ancora, iv pag. 5).
In definitiva, il Tribunale, alla luce delle versioni acquisite, ha concluso nel senso che “… che, pur essendo le stesse concordi su alcuni aspetti del fatto storico, restando invece ignoti ed oscuri i rapporti tra la p.o. e i COGNOME da una parte e gli scissionisti dall’altra, sui quali non fa chiarezza neppure COGNOME“; ha aggiunto che “… da una visione complessiva della vicenda … sembrano emergere cointeressenze tra il COGNOME e gli esponenti di entrambi i clan che rendono ancora più opache le loro relazioni e non permettono di comprendere se effettivamente il COGNOME sia stato vittima di una richiesta estorsiva o se piuttosto si sia trovato in difficoltà nella gestione di affari comuni, potendos ipotizzare cointeressenze con gli esponenti di entrambi i clan, circostanza che
appare avvalorata dal riscontrato rilascio di cambiali di cui al capo B), fatto che mal si concilia con l’ipotesi di un’estorsione …”.
Va detto, a questo punto, che il PM ricorrente ha ravvisato, nelle versioni del COGNOME ed in quella del COGNOME, un nucleo comune ed a suo avviso insuperabile, rappresentato dalla richiesta di COGNOME e COGNOME priva di ogni giustificazione e di comprovata causale e, perciò, di natura estorsiva tenuto conto non soltanto della situazione “ambientale” ma, anche, di quanto riferito dallo stesso COGNOME circa l’avvertimento del COGNOME il quale aveva chiarito che, in mancanza di accettazione, egli avrebbe avuto “problemi” (cfr., ancora, pag. 6 dell’ordinanza).
La parte pubblica ha inoltre evidenziato come le presunte illogicità riscontrate dal Tribunale nelle condotte e nelle iniziative assunte dalla persona offesa sfumerebbero sino a trovare una ragionevole spiegazione proprio nella dinamica dei rapporti tra clan e nella attività di controllo del territorio e d attività economiche su cui i vari gruppi ambiscono a mettere le mani o da cui puntano a trarre vantaggi o guadagni illeciti.
È in quest’ottica, secondo il PM, che troverebbe agevole spiegazione il comportamento del COGNOME che, a fronte ch una richiesta estorsiva proveniente dal clan COGNOME, non poteva far altro che rivolgersi ad esponenti del clan rivale e, tra costoro, al COGNOME (laddove, va pur detto, secondo il COGNOME, fu invece proprio COGNOME ad insistere – di fronte alle sue iniziali resistenze – per intromette per risolvere la questione con i COGNOME sino, a quanto sostenuto dallo stesso collaboratore, a mettere di tasca sua una cospicua somma per favorire l’uscita o impedire l’ingresso – del clan rivale nell’attività).
Il PM ricorrente, in definitiva, ha operato una ricostruzione della vicenda attraverso una lettura dei dati investigativi che, dal suo punto di vista consentirebbe di fornire una ragionevole spiegazione delle ritenute (e non superate) aporie ravvisate dal Tribunale e che, invece, troverebbero una loro composizione nella “logica” della operatività dei gruppi criminali che agiscono sul territorio finisce per risolversi in una interpretazione diversa ed in una diversa ponderazione delle medesime fonti conoscitive da leggere in un’ottica di rivalità e coesistenza di diversi clan.
In tal modo, tuttavia, l’impugnazione ha finito per collocarsi al di fuori del perimetro dei vizi che sono deducibili in questa sede dove non è consentito sollecitare una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata alla luce di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione degli elementi acquisiti, anche qualora indicati dal ricorrente come in ipotesi
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez. 6 – , n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148).
Di qui, pertanto, l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6.6.2024