Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20136 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20136 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Gravina di Puglia il 17/09/1951
avverso la sentenza del 24/04/2024 della Corte d’assise d’appello di Bari
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore delle parti civili, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso e ha depositato conclusioni scritte e nota spese; o, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno uditi i difensori dell’imputat concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di assise di appello di Bari ha riformato la condanna resa, nei confronti di NOME COGNOME, dalla Corte di assise in sede, in data 18 luglio 2022, condannando l’imputato anche alla rifusione delle spese processuali sostenute nel primo grado di giudizio dalle parti civili NOME e NOME COGNOME confermando, nel resto, il provvedimento appellato dall’imputato, dal Procuratore generale e dalla parte civile NOME COGNOME subentrato a NOME COGNOME con condanna dell’imputato al pagamento
delle ulteriori spese processuali e quelle sostenute nel grado di appello dalle parti civili indicate in dispositivo
1.1. Il primo giudice aveva condannato l’imputato in relazione a l reato di omicidio volontario di NOME COGNOME esclusa la circostanza aggravante della premeditazione, fatto commesso esplodendo nei confronti della vittima due colpi di pistola a distanza di 40 – 50 centimetri, nonché di porto di arma da sparo, riconosciuta la continuazione e applicata la riduzione per il rito abbreviato, alla pena di anni quindici e mesi quattro di reclusione oltre pene accessorie, con la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre e la condanna al risarcimento dei danni sofferti dalle parti civili, nonché al pagamento di una provvisionale di euro 30.000,00 ciascuno, in favore delle parti civili costituite NOME NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME nonché condanna alle spese processuali liquidate come da dispositivo.
1.2. Si tratta del l’ omicidio avvenuto in Gravina la sera del 10 marzo 2014, ai danni di persona con la quale i provvedimenti di merito evidenziano che l’imputato era entrato in conflitto, anni prima, in occasione di uno sconfinamento di proprietà, cui erano seguite altre tensioni, tra le quali denunce per estorsione a carico della vittima, nonché il rinvio a giudizio di Scalese per abuso edilizio, in data 6 febbraio 2014.
Le sentenze di merito hanno reputato, all’esito dell’istruttoria svolta, riferibile l’omicidio di COGNOME all’imputato il quale aveva in uso , all’epoca, un’automobile Fiat Punto considerata non incompatibile con quella immortalata dalle telecamere di videosorveglianza, collocate in più punti, in prossimità del luogo del delitto, nel medesimo arco temporale in cui si era accertato che era stata consumata l’azione omicidiaria.
Gli elementi indiziari raccolti sono indicati nelle immagini estrapolate dalle registrazioni dei sistemi di videosorveglianza di taluni esercizi commerciali e istituti di credito che ricostruivano l’attività di pedinamento della vittima da parte di una Fiat Punto, di colore grigio, ritenuta non incompatibile per caratteristiche costruttive e plurime discromie, con quella in uso all’imputato.
I giudici di merito – riscontrando che queste immagini, da sole, non avrebbero potuto ricostruire completamente gli spostamenti della vittima e dell’omicida -hanno ritenuto che queste smentissero la versione dell’imputato considerato, in particolare, che queste non consentivano di escludere la presenza di vetture diverse da quella compatibile con quella in uso all’imputato dalla scena del crimine, negli orari in cui lo stesso veniva effettuato.
Inoltre, si è dato rilievo al fatto che Scalese, nella fase delle indagini, aveva, secondo i giudici di merito, mentito circa il tragitto percorso la sera del delitto per tornare a casa, nonché all’ esistenza di un consistente movente, in assenza di
ricostruzione alternativa idonea ad attribuire la condotta contestata a soggetti che nutrissero analogo risentimento nei confronti della vittima.
La Corte di primo grado, ritenuta non provata la sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione ha affermato la responsabilità dell’imputato per reato di omicidio volontario e porto dell’arma usata per commetterlo, concludendo nel senso che Scalese aveva colto l’occasione di eliminare il rivale dopo un incontro casuale, avvenuto la sera stessa dell’omicidio .
1.3. Rigettato l’appello della parte pubblica circa la pronunciata esclusione della circostanza aggravante della premeditazione (cfr. p. 32 e ss.), nonché l’appello dell’imputato per le ragioni specificate a p. 7 e ss. della sentenza impugnata, ivi comprese le eccezioni di nullità, inutilizzabilità e di illegittimità costituzionale devolute, la pronuncia di primo grado veniva parzialmente riformata dalla Corte territoriale, limitatamente alle ragioni illustrate nell ‘ appello proposto dalla parte civile NOME COGNOME (v. p. 36 e ss. della sentenza di appello), con la conferma, nel resto, della pronuncia di primo grado.
Avverso la descritta pronuncia, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite dei difensori, avv.ti VCOGNOME e NOME COGNOME che prospettano sette motivi, di seguito riassunti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si denuncia mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione in relazione alle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari, nonché travisamento della prova.
2.1.1. La sentenza impugnata muove dall’assunto che la responsabilità dell’imputato si basi, essenzialmente, sulle sue dichiarazioni.
Invero, l’imputato ha rilasciato quattro dichiarazioni che, secondo la Corte territoriale, non sono state rese per intenti di collaborazione diretti all’accertamento della verità, ma con la finalità di eludere le proprie responsabilità.
La Corte di assise di appello segnala, in particolare, la finalità menzognera dell’imputato, descrivendolo come preoccupato, davanti agli inquirenti, di giustificare la sua presenza a bordo di un’autovettura Fiat Punto quella sera, negli stessi orari di percorrenza della vittima di parte di quelle vie, come descritto nella sentenza di primo grado, in base a circostanze orarie e topografiche ivi indicate.
Secondo la sentenza di appello, in data 15 marzo 2014 gli inquirenti, a seguito della visione delle riprese di alcuni esercizi commerciali, avevano notato che COGNOME poco prima di essere assassinato, era stato pedinato da una Fiat Punto di colore grigio chiaro, di marca, tipo, colore, non incompatibile con quella
in uso all’imputato la quale veniva sequestrata, procedendo anche al prelievo stub del relativo abitacolo con esito negativo.
A tale sequestro è seguita, poi, la spontanea presentazione di COGNOME presso gli uffici della Questura di Bari il quale, in data 19 marzo 2014, aveva giustificato quanto affermato nel precedente verbale di dichiarazioni, rese il giorno 11 marzo 2014, nella parte in cui aveva affermato che si era allontanato verso le 21:15 – 21:20 dall’abitazione di sua madre, precisando che, invece, si era recato presso l’abitazione della sua amante, dove si era trattenuto fino a quell’ora.
Si tratta di dato non veritiero, quello riportato dalla Corte di assise di appello, perché è pacifico, secondo la difesa, che l’imputato ha appreso de ll’esistenza de i filmati di videosorveglianza in occasione dell’interrogatorio del 21 maggio 2014 quando, per la prima volta, era stato informato dagli inquirenti dell’esistenza di tali videoriprese che, peraltro, non gli erano state mostrate in quella occasione.
Sicché, per il ricorrente, non vi sarebbe alcun rapporto tra quanto notato dagli inquirenti, il 15 marzo 2014, a seguito della visione delle riprese con videocamere installate presso alcuni esercizi commerciali, il sequestro della vettura e la spontanea presentazione presso gli uffici della Questura di Bari, il 19 marzo 2014, in quanto, in quel momento, l’im putato non sapeva che erano state acquisite le risultanze delle videoriprese, né ne conosceva il contenuto.
In data 19 marzo 2014, poi, l’imputato ha spiegato le ragioni del mendacio delle precedenti dichiarazioni (perché ha indicato che era stato a casa di una donna con la quale aveva una relazione extraconiugale e che, per questo, non voleva riferire la circostanza, in quanto coniugato e padre di tre figli).
In ogni caso, si reputa tale chiarimento ininfluente perché tutta la condotta che si contesta è quella avvenuta dopo che questi aveva lasciato l’appartamento della donna con la quale si era intrattenuto.
Dunque, per il ricorrente, la finalità menzognera dell’imputato è riportata con motivazione manifestamente illogica ed è frutto del travisamento del contenuto della prova perché valorizza un dato neutro, cioè quello della visita all’amante piuttosto che alla madre dell’imputato , senza considerare il passaggio significativo rappresentato dall’assenza di reali divergenze in ordine agli spostamenti, tra quanto riferito dallo stesso imputato in data 11 marzo 2014, rispetto a quanto affermato nelle spontanee dichiarazioni del giorno 19 marzo 2014.
2.1.2. Si riporta, poi, da parte della Corte territoriale, il contenuto del verbale di interrogatorio del 21 maggio 2014, nella parte in cui all’imputato era stata posta in visione una cartina topografica che riportava il percorso tenuto
dall’imputato , quella sera, per tornare a casa, secondo quanto da lui stesso dichiarato in data 19 marzo 2014.
In tale parte della motivazione, la Corte territoriale è incorsa in travisamento della prova.
Nel corso di quest ‘ interrogatorio rileva la difesa che non è stato chiarito all’indagato che la cartina sottopostagli era relativa a spostamenti di quella che secondo gli inquirenti era la sua auto, senza, peraltro, mostrargli le immagini di cui si stava discutendo.
Si tratta di interrogatorio che si è svolto sul presupposto che gli investigatori fossero in possesso di immagini che permettessero di individuare compiutamente l’auto dell’indagato; invece, le riprese non sono mai state mostrate e soprattutto le immagini acquisite consentono, al più, di formulare un giudizio di non incompatibilità tra l’auto r itratta e la vettura in uso all’imputato.
Ciononostante, nel corso dell’interrogatorio all’imputato, viene esposto che la polizia giudiziaria era in possesso delle immagini della sua auto e che era documentato che questa si sarebbe fermata, due volte, per poi parcheggiare in INDIRIZZO e che si vedeva il conducente svoltare su INDIRIZZO
Si riporta stralcio del passaggio dell’interrogatorio richiamato in sentenza e si segnala che vi è una irragionevole atomizzazione del contenuto del verbale perché la Corte territoriale, avrebbe inserito un elemento estraneo al patrimonio probatorio del processo e cioè che, nel corso di quell ‘ interrogatorio, l’imputato avrebbe vacillato.
Si tratta di travisamento del dato probatorio che è stato introdotto per la prima volta nella sentenza di secondo grado, perché di questo non ha parlato la Corte d’assise.
Si denuncia, quindi, l ‘ antinomia tra il reale contenuto della prova dichiarativa e l’esito che ne viene riportato nella sentenza di secondo grado.
2.1.3. Infine, si esclude che nel verbale di interrogatorio del 26 maggio 2016 relativo alla quarta dichiarazione resa dall’imputato, davanti al Pubblico ministero, in palese violazione dell’art 134, comma 3, cod. proc. pen. perché non registrato e redatto in forma riassuntiva vi sia stata, come riferito dalla Corte di assise di appello, un ‘ ammissione esplicita di responsabilità.
Si tratta di affermazione che è stata introdotta nel verbale secondo quanto autocertificato dagli inquirenti e, comunque, percepita in un momento di sconforto dello stesso imputato, con una affermazione che risulta immediatamente rettificata, tanto che, nel corpo di quello stesso interrogatorio, subito dopo, l’imputato aveva precisato non che lo aveva ammazzato lui ma che avrebbero dovuto ammazzarlo vent’anni prima.
Peraltro, la stessa Corte di assise di appello riconosce l ‘ esistenza di dissidi tra le parti per vicende edilizie, insorti dal 2009, quindi da collocare cinque anni e non vent’anni prima rispetto all’omicidio, fatto avvenuto il 10 marzo del 2014.
In ogni caso, si tratta di dichiarazioni travisate, rese in un momento di sconforto dell’imputato, inutilizzabili ai sensi degli artt. 195, comma 4, 197 lett. d) cod. proc. pen. trattandosi di circostanza desunta da quanto il Pubblico ministero testimonia – sia pure per iscritto – di aver appreso direttamente dall’imputato, nella specie qualificate sostanzialmente come confessione endoprocedimentale, dato di cui la Corte territoriale ha travisato il significato.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia mancata assunzione di prova decisiva in ordine all’accertamento sulla discrasia oraria degli impianti di videosorveglianza di Banca Apulia e Monte dei Paschi di Siena, con vizio di motivazione in relazione agli elementi probatori desunti dalla visione dei filmati.
2.2.1. Secondo caposaldo su cui fonda l’affermazione di responsabilità dell’imputato è la visione dei filmati, avvenuta nel contraddittorio delle parti, riguardanti il percorso svolto dalla vittima la sera dell’omicidio.
Si fa riferimento, da parte dei giudici di merito, alle risultanze ricavate dal sistema di telecamere di Banca Apulia che riprenderebbero l’inizio del presunto pedinamento della vittima, da parte dell’imputato, su INDIRIZZO. Inoltre, i giudici di merito valorizzano le immagini registrate da una cartoleria, collocata su INDIRIZZO poco prima dell ‘ interserzione con INDIRIZZO, dove il presunto omicida avrebbe parcheggiato la vettura alcuni minuti prima di commettere il delitto.
Secondo le sentenze di merito, l’imputato avrebbe avvistato la vittima casualmente su INDIRIZZO nell’isolato compreso tra INDIRIZZO e INDIRIZZO e l’orario dell’ avvio del pedinamento sarebbe documentato dalle telecamere di Banca Apulia, a conferma di quanto riferito dal teste, avvocato COGNOME, circa l’ora in cui la vittima si sarebbe allontanata, quella sera, dal suo studio.
Secondo i giudici di merito, la Fiat Punto ripresa dalle telecamere – che viene fatta coincidere con quella in uso all’imputato dai giudici di merito – sarebbe arrivata al crocevia tra INDIRIZZO e INDIRIZZO non prima delle ore 21:24, comunque escludendo che l’imputato abbia potuto percorrere INDIRIZZO non a bordo dell’auto attenzionata dagli inquirenti, bensì di una delle due vetture che erano transitate davanti alle telecamere di una cartoleria alle 21:15 e alle 21:17, così attestando il mendacio dell’imputato.
Secondo la Corte territoriale, l’imputato era sceso dallo studio legale COGNOME (INDIRIZZO alle 20:20 circa, quindi all’inizio di INDIRIZZO secondo un orario che viene indicato dallo stesso teste perché visibile sul display del suo personal computer .
Si tratta di circostanza che era stato oggetto di contestazione con i motivi di gravame circa la genericità dell ‘ indicazione del tipo di computer e circa eventuali anomalie relative all’orario da questo ricavabili, nonché altre censure relative al fatto che lo stesso teste aveva indicato l’ orario come approssimativo.
Si tratta di circostanze, relative all’attendibilità del riferimento temporale operato dal testimone, indicate nei motivi di appello, che sono state del tutto pretermesse da parte della Corte territoriale che non motiva sul punto.
Inoltre, la Corte di assise d’appello reputa che tale riferimento temporale abbia trovato conferma in quanto certificato circa l’orario reale, dalle videoriprese di Banca Apulia, istituto di credito collocato in INDIRIZZO quindi a pochi metri di distanza dallo studio del professionista, sito in INDIRIZZO
La Corte di assise d’appello ha rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria, proposta con il gravame ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., con motivazione apodittica e illogica.
La motivazione dei giudici di secondo grado fa riferimento ad un documento, acquisito in atti all’udienza del 23 luglio 2020, che non era stato reso noto se non nel corso del dibattimento di primo grado, come atto che risolverebbe le incertezze denunciate dalla difesa.
Il ricorrente sottolinea che vi era una discrasia, rispetto alla missiva del 12 marzo 2014, inviata dalla Veneto Banca, secondo la quale le immagini registrate dal sistema di videoregistrazione digitale, riversate su supporto inoltrato agli inquirenti, riguardava si una filiale della banca Apulia di Gravina in Puglia, ma quella sita in INDIRIZZO, cioè una filiale diversa da quella di interesse.
La sentenza di appello ravvisa, in questa nota di trasmissione, un mero errore materiale e attribuisce alla difesa una richiesta di perizia relativa alle videoriprese che, invece, è attività istruttoria mai chiesta.
Secondo la difesa, invece, non si può trarre, dalle immagini trasmesse, la circostanza che i giudici di secondo grado hanno ricavato dai filmati e, cioè, che la differenza oraria tra l’ora reale e quella indicata dal sistema di videoregistrazione, riportata sui filmati è pari a zero minuti. Infatti, il supporto trasmesso era relativo alla filiale di Banca Apulia di INDIRIZZO e non di INDIRIZZO, sicché, quelle trasmesse sarebbero immagini riversate prive di efficacia dimostrativa.
Si contestano, poi, a p. 22 e ss. del ricorso, una serie di ragioni per le quali dal verbale delle operazioni di riversamento delle immagini esaminato non può trarsi il riferimento alla filiale cui il materiale allegato alla nota del dottor NOME COGNOME si riferisce.
L’equivoco non è privo di rilievo per il ricorrente, perché anche quella ove è sita la diversa agenzia di Banca Apulia, cioè la INDIRIZZO, era una strada percorsa pacificamente dalla vittima; quindi, ben avrebbe potuto essere stata inviata, dagli inquirenti, una richiesta relativa all’Istituto di credito sito in INDIRIZZO
In ogni caso, si rimarca che la difesa non aveva chiesto di svolgere una perizia, ma aveva chiesto, ai sensi dell’art 603, comma 3, cod. proc. pen., all’udienza del 13 dicembre 2023 e con memoria depositata dopo la requisitoria del Procuratore generale, l’audizione dei testi, NOME COGNOME e NOME COGNOME circa le operazioni di riversamento delle immagini e di verifica della discrasia oraria, nella qualità, il primo, di tecnico incaricato delle operazioni di versamento e, il secondo, quale dirigente firmatario della nota di trasmissione.
A INDIRIZZO si rappresenta una ricostruzione alternativa circa gli orari e i percorsi seguiti dalla vettura ripresa dalle telecamere.
2.2.2. Quanto alla non incompatibilità tra la auto Fiat Punto in uso a ll’imputato e quella raffigurata nelle videoriprese, la Corte di secondo grado si affida alla visione del filmato con funzione rallenty ed esclude che da questa si è avuto modo di intravedere altra vettura, non incompatibile con quella dell’imputato. Sicché nessuna altra Fiat Punto, se non quella non incompatibile con quella dell’imputato, è risultata aver imboccato, contromano, INDIRIZZO alle 21:38,28.
Si tratta di conclusione che non considera, per il ricorrente, le osservazioni svolte dal consulente tecnico della difesa esaminato al dibattimento.
Questi aveva effettuato una precisazione circa le due vetture transitate davanti alla cartoleria. Si era esposto che, della vettura ripresa alle 21:05,03, a causa dell’illuminazione, non era stato possibile percepire la targa e verificare la presenza o assenza di un gancio di traino. Ancora lo stesso consulente aveva rilevato che l’auto ritratta alle 21:07,16, a causa della bassa illuminazione, non poteva mostrare elementi identificativi.
A fronte di tali rilievi, la sentenza di secondo grado ha completamente omesso di rispondere alle osservazioni svolte, senza offrire la minima giustificazione onde ritenere più probabile la tesi recepita in sentenza rispetto a quella della difesa, così violando un principio stabilito dalla giurisprudenza a Sezioni Unite di questa Corte di legittimità (Sez. U, Rv. 230317) secondo cui le acquisizioni scientifiche cui è possibile attingere nel giudizio penale sono quelle più generalmente accolte, più condivise, non potendosi pretendere l’unanimità alla luce dell’ormai diffusa consapevolezza della relatività e mutabilità del sapere scientifico.
In definitiva, su tale punto la difesa sostiene che Scalese avrebbe potuto percorrere INDIRIZZO Casale indistintamente a bordo di una delle tre Fiat tipo Punto,
non incompatibili con la sua, riprese alle varie ore dai video, tra cui quella attenzionata dagli inquirenti ritratta alle 21:27,09.
La Corte territoriale ha disatteso la richiesta di perizia finalizzata ad accertare se sia possibile escludere la compatibilità delle autovetture ritratte dal sistema di videosorveglianza della cartoleria alle 21:05,03 e alle 21:07,16 con quella in uso all’imputato.
La Corte d’assise d’appello assume che Scalese non avrebbe potuto essere a bordo di nessuna delle due autovetture diversa da quella attenzionata dagli inquirenti, certificando un preteso mendacio dell’imputato e ricavando da questo la sua responsabilità per l’omicidio.
2.2.3. Quanto all’orario delle riprese attraverso il sistema di videosorveglianza del Monte dei Paschi di Siena, la Corte territoriale espone che la registrazione reca un orario che è di undici minuti in anticipo, rispetto all’ora reale, in base al verbale di acquisizione dei filmati relativi a quell’istituto di credito.
Il teste, ispettore NOME COGNOME che ha firmato il verbale del 13 marzo 2014, ha fatto riferimento all’esistenza di una serie di documenti acquisiti, per la prima volta, durante la sua escussione, a seguito di ordinanza emessa ai sensi dell’art. 525, comma 3, cod. proc. pen. elencati a pagina 29 seguenti.
Come evidenziato nei motivi di appello, i documenti che sono stati citati dal teste, attestano, secondo il ricorrente, che la sera dell’omicidio il sistema di videosorveglianza dell’Istituto di credito, contiguo a quello di Banca Apulia non aveva alcuna discrasia oraria e che, quindi, la cd. ora video coincideva con l ‘ ora reale, per cui gli undici minuti di anticipo, riferiti dall’ispettore, sarebbero frutto di calcoli empirici, svolti in via deduttiva dagli inquirenti, sulla sola base della visione in successione delle immagini dei diversi impianti di videosorveglianza.
Si evidenzia, con riferimento alle immagini del 10 marzo 2014, che il personale incaricato dall’Istituto di credito Monte dei Paschi di Siena, a fronte della specifica richiesta delle Forze dell’ordine, attesta soltanto che ha provveduto all’estrapolazione delle immagini dalle ore 19:00 alle 22:30, senza altro segnalare, evidentemente per non aver rilevato alcuna discrasia oraria in sede di estrapolazione del video.
Su tale punto la motivazione della Corte di assise di appello è silente e comunque, quanto esposto è dato probatorio travisato perché ravvisa l’assenza di certificazione analoga a quella acquisita per i video estrapolati dalle telecamere installate presso la filiale di Banca Apulia.
Si tratta di prova decisiva perché i tecnici, incaricati dal Monte Paschi Siena, di cui si era chiesta l’escussione, avrebbero potuto riferire e chiarire i termini delle attività effettuate, nonché fornire una risposta certa sull’allineamento tra l’orario riportato nei filmati e quello reale, con accertamento processualmente
certo dell’orario del presunto avvistamento di COGNOME da parte dell’ assassino, elemento sul quale viene fondata l’intera ricostruzione delle sentenze di merito
2.2.4. Infine, si evidenzia che vi è una macroscopica contraddizione della motivazione della sentenza di secondo grado e, comunque, un’omessa motivazione su argomenti devoluti con il gravame.
L’unica telecamera che riprende il parcheggio su INDIRIZZO dell’autovettura attenzionata dagli inquirenti e, secondo la tesi di accusa, ritenuta quella dell’imputato, al momento dell’ultimo tratto del pedinamento e successivamente dell’allontanamento dell’omicida, è quella installata in una privata abitazione.
Il filmato, acquisito in data 12 marzo 2014 e restituito al proprietario il successivo 25 luglio 2014, è privo delle immagini relative all’arco temporale che va dalle ore 21:08 alle 21:28 del 10 marzo 2014.
Tanto nel giudizio di primo grado quanto nel giudizio di appello, la difesa aveva stigmatizzato la circostanza che qualunque approfondimento in merito a ll’alibi dell’imputato, alla verifica delle manovre delle altre due vetture che erano transitate davanti alla cartoleria, nonché in merito ai minuti immediatamente precedenti al passaggio di Capone, è stato reso impossibile proprio dall’assenza dei filmati della privata abitazione relativi a tale intervallo temporale.
I due testi, escussi sul punto, riferiscono, il primo, di una copia del video integra che si sarebbe successivamente corrotta, il secondo, di una copia già mancante, ab origine , di venti minuti di filmato.
In ogni caso, il primo giudice sostiene che COGNOME ha mentito proprio sulle circostanze che giustificano la sua presenza sul luogo prossimo a quello del delitto e sui quali lo precedeva la vittima, nell’arco temporale che va dalle 21:00 alle 21:45, perché non compare alcuna Fiat Punto che effettui la manovra di inversione descritta dall’imputato, all’altezza dell’incrocio di INDIRIZZO con INDIRIZZO, manovra che non avrebbe potuto essere ripresa se non dalle telecamere di privata abitazione, nell’arco temporale che va dalle 21:08 alle 21:28.
La difesa riscontra la contraddittorietà di tale parte della motivazione, come dedotto con i motivi di appello. Si assume poi che non ricorre nella specie alcun alibi fallito perché le circostanze non compiutamente dimostrate sono il frutto non di un fallimento probatorio da parte dell’imputato, ma della circostanza per cui gli inquirenti hanno perso, smarrito o reso inutilizzabile la prova rappresentata dal filmato della privata abitazione, nel periodo temporale significativo.
La Corte di assise d’appello non ha motivato né ha chiarito sotto quale profilo le dichiarazioni dell’imputato si sarebbero dovute considerare menzognere, a fronte dei rilievi prospettati con il gravame su tale punto.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia mancata assunzione di prova decisiva riguardante l’accertamento dell’altezza del soggetto ripreso dalla telecamera installata presso l’abitazione privata, con vizio di motivazione.
Secondo la Corte di assise di appello, la consulenza tecnica antropometrica, espletata dalla difesa, nella quale si assume che l’uomo ripreso dalla telecamera dell’abitazione privata su INDIRIZZO la sera del delitto, ha una altezza incompatibile con quella dell’imputato, ha una scarsa definizione delle immagini, dovuta anche alla lontananza delle riprese e si fonda su dati incerti come già rilevato dal primo Giudice.
La difesa, invece, rileva che il consulente tecnico ha svolto un approfondito e qualificato accertamento tecnico, esplicitando la metodologia di indagine utilizzata.
Sia la sentenza di primo sia quella di secondo grado offrono, sul punto, delle argomentazioni vaghe, secondo il ricorrente, perché fanno riferimento soltanto a considerazioni circa l’assoluta inattendibilità della comparazione espletata, nel primo caso, da parte del Giudice di primo grado, riferite dal pubblico ministero nel corso della sua requisitoria, comunque, attribuendo rilievo alla qualità delle immagini, alla distanza dalla telecamera dei soggetti messi a confronto, alla linea tracciata in corrispondenza del limite inferiore, disegnata più in basso rispetto alla base effettiva dei piedi.
Si contesta la contraddittorietà della motivazione perché la sentenza di primo grado reputa le immagini idonee a rilevare le discromie delle vetture, gli oggetti presenti nella vettura, ripresa dal video, mentre considera insufficienti quelle stesse immagini per sviluppare la comparazione svolta dal tecnico, in assenza di supporto scientifico.
Si sostiene, invece, che quella difensiva è una tesi sviluppata sulla base di accertamenti di tipo tecnico che avrebbero dovuto essere valutati, quanto alla loro attendibilità, con strumenti altrettanto tecnici, mentre nel caso di specie si giunge ad una valutazione sostanzialmente arbitraria, dando seguito addirittura all’opinione espressa dal pubblico ministero in udienza.
Si richiama giurisprudenza di legittimità quanto alla svalutazione della correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito, rispetto al sapere tecnico-scientifico e alla necessità di svolgere una verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto.
La Corte di assise di appello, poi, sarebbe incorsa in ulteriore travisamento assumendo che il consulente tecnico di parte non ha rilevato l’altezza di Scalese, avendo il difensore affermato che questi è alto 1,52 metri, senza supportare tale affermazione da riscontri oggettivi mentre nulla avrebbe vietato al tecnico di misurare l’altezza dell’imputato.
Si contesta travisamento della consulenza tecnica perché le prime nove
pagine della relazione sono tutte dirette alla verifica delle caratteristiche morfologiche dell’imputato, ivi compresa l’indicazione dell’altezza.
Del resto, la stessa sentenza di primo grado dà atto della misurazione dell’altezza dell’imputato durante un sopralluogo svolto all’interno della Casa circondariale ove , all’epoca, era ristretto, riportando il dato dell’altezza pari a 1,524 metri (v. p. 90 della sentenza di primo grado).
Ancora la Corte di assise d’appello sostiene che non è stata riscontrata l’altezza del sovrintendente capo COGNOME utilizzato per la comparazione dal consulente tecnico, in quanto ripreso mentre esce dalla vettura dell’imputato, in occasione del primo esperimento giudiziale.
La relazione depositata e l’esame dibattimentale del consulente tecnico di parte evidenziano che, invece, l’analisi svolta aveva preso in considerazione varie altezze dell’operatore di polizia giudiziaria che conduceva l ‘ auto in sequestro in occasione di tale esperimento e aveva concluso nel senso che, in nessuna delle ipotesi prese in esame, l’uomo alla guida dell’auto la sera dell’omicidio avrebbe potuto essere alto 1,54 metri, comprese le calzature come appunto l’imputato.
Invece, il soggetto che viene visto scendere dall’auto, autore dell’omicidio e ripreso dalla telecamera installata presso la privata abitazione, ha un range di altezza che va da 1,66 a 1,93 metri, quindi, è più alto quantomeno di quattordici centimetri rispetto all’imputato. Peraltro, l’ispettore COGNOME, presente in aula in tutte le udienze del dibattimento, era risultato, in modo evidente, alto almeno 1,80 metri.
Infine, si segnala l’ulteriore contraddizione secondo la quale era stata chiesta la perizia, tesa a comparare e verificare la compatibilità tra l’altezza dell’individuo , ripreso il 10 marzo 2014, e quella dell’Ispettore COGNOME che conduceva l’auto nel corso del primo esperimento giudiziale, accertamento che escluderebbe in radice la possibilità che, il 10 marzo 2014, alla guida della vettura attenzionata dagli inquirenti vi potesse essere l’imputato.
2.4 Con il quarto motivo si denuncia vizio di motivazione con specifico riferimento ai criteri propri del processo indiziario, in ordine alla valutazione delle prove testimoniali della famiglia COGNOME e di NOME COGNOME, nonché con riferimento agli esiti dello stub e alla dinamica dell’agguato.
2.4.1. Il processo di primo grado ha evidenziato che nelle vicinanze del civico INDIRIZZO di INDIRIZZO in concomitanza con l’omicidio della vittima, luogo dove erano stati materialmente esplosi i colpi di pistola, c’era un’intera famiglia che, con una autovettura, si era portata in INDIRIZZO al INDIRIZZO, per prelevare la figlia che si trovava sul posto presso un’amica.
I testi appartenenti, alla famiglia COGNOME hanno esposto che nessuno di loro aveva visto transitare qualcuno in concomitanza della loro permanenza nei luoghi di interesse all’orario delle 21:40 circa.
La prima sentenza, poi, ha anche riconosciuto che NOME COGNOME, un giovane che giocava per strada, quella sera, nei pressi di INDIRIZZO con alcuni amici, pur avendo percorso tutto il quadrilatero che comprende INDIRIZZO, INDIRIZZO e INDIRIZZO negli attimi precedenti gli spari, rincorrendosi con un amico, aveva negato di aver visto transitare qualcuno in quelle vie.
Tutti questi testi, per la sentenza di primo grado, non hanno visto transitare qualcuno in orario compatibile con l’arrivo dell’omicida o in orario compatibile con l’ esecuzione dell’ omicidio, né con l’allontanamento dell’esecutore dell’agguato. Ma si tratta di dato viene considerato neutro dalla prima sentenza perché la INDIRIZZO ha una particolare conformazione e, quindi, è verosimile che lo sparatore, provenendo da INDIRIZZO avesse rapidamente percorso il primo breve tratto in salita, non visto (perché magari i coniugi erano ancora all’interno dell’auto con i finestrini appannati e la radio accesa, nell’attesa della figlia).
Inoltre, si segnalava, da parte dei primi giudici, che gli COGNOME potevano non aver visto l’omicida sulla strada del ritorno perché, forse, avevano già fatto inversione su INDIRIZZO e imboccato INDIRIZZO.
Il ragionamento giustificativo della prima sentenza è stato oggetto di varie critiche con i motivi di appello e con successiva memoria difensiva.
Inoltre, erano passati alcuni minuti prima dell’inversione di marcia della vettura degli INDIRIZZO , invece, secondo la ricostruzione di merito, l’omicida aveva fatto ritorno a INDIRIZZO entro quattro minuti e otto secondi. Né può farsi discendere la responsabilità dell’imputato dalla mancanza di prova positiva, fornita dalla difesa, che questi non fosse transitato da INDIRIZZO
Tutti questi argomenti non sono stati considerati dalla Corte di assise di appello nella parte in cui elenca i dati di fatto, denunciati dalla difesa, idonei a sconfessare l’intero impianto accusatorio (p. 4 e 5 della sentenza di secondo grado).
Si tratta, invece, di espresse censure che sono proposte nel § 7.4 dell’atto di appello, esplicitate nel successivo § 8.4, nonché nella memoria difensiva pagine 119 -128.
I coniugi in auto quando hanno sentito l’urlo strozzato e gli spari, erano ancora in attesa della figlia; inoltre, l ‘ esistenza di finestrini appannati e radio accesa avrebbe oscurato la vista degli occupanti del veicolo ma non di NOME COGNOME e di COGNOME che erano a piedi e non all’interno della vettura.
Infine, la Corte di assise di appello attribuisce a un mero caso fortuito che l’omicida, nonostante i quattro fossero sul tragitto da questi percorso, non fosse stato visto.
Viene, da ultimo, r icavata dall’assenza di prova positiva offerta dalla difesa che l’imputato non era transitato quella sera su INDIRIZZO la responsabilità per l’omicidio, senza superare il ragionevole dubbio.
2.4.2. La sentenza di secondo grado ignora, poi, a parere della difesa, due dati positivi, l’assenza di polvere da sparo nell’abitacolo della vettura sequestrata e l ‘acclarata dinamica dell’agguato, ritenendo il primo irrilevante e , comunque, neutro, perché lo stub era stato effettuato, con immotivato ritardo, a cinque giorni dall’omicidio.
Si richiama l’esito della consulenza tecnica di parte, la quale ha chiarito che il numero delle particelle sprigionato da due colpi di arma da fuoco era molto elevato e che l’autovettura non sembrava essere stata sottoposta a lavaggi accurati ma si presentava molto impolverata, considerate le numerose superfici che vengono toccate quando si entra in un veicolo.
Inoltre, si rilevava che non era stata acquisita prova che la vettura era stata sottoposta al lavaggio dopo i fatti, invece, entrambe le sentenze di merito reputano che Scalese avrebbe sottoposto ad accurato lavaggio interno ragionevolmente la vettura.
Quanto, infine, alla dinamica dell’agguato secondo la Corte di assise di appello non può escludersi che la più bassa statura dell’imputato rispetto alla vittima avrebbe impedito l’esecuzione del delitto, secondo le modalità indicate dall’esame autoptico.
Il consulente tecnico della difesa, nell’ambito dell’esame dibattimentale ha specificato che, nella ricostruzione della dinamica dei colpi di pistola che hanno attinto la vittima, doveva tenersi conto della pendenza della strada, del fatto che l’imputato era più basso di ventidue centimetri della vittima e che in tali condizioni se a sparare fosse stato l’imputato, l’inclinazione del braccio sarebbe stata notevole, rispetto a quella fisiologica di una persona ben più alta.
In definitiva la posizione di sparo che avrebbe assunto un aggressore alto 1,52 metri, con un’inclinazione sensibile di 29 °, avrebbe portato l’arma oltre la testa dell’aggressore, manovra astrattamente possibile ma innaturale. Dunque, la dinamica dell’accaduto asseverata nelle pronunce di condanna è un elemento a favore dell’imputato e non idoneo a consolidare il giudizio di penale responsabilità espresso.
2.5. Con il quinto motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e alla concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La motivazione del giudice di secondo grado è apparente e contraddittoria perché pur ammettendo che l’imputato ha tenuto una condotta irreprensibile, nel periodo successivo alla commissione del reato e nel corso del processo, ha ravvisato ragioni utilitaristiche che risultano indimostrate e, comunque, desunte direttamente dal foro interno dell’imputato.
Il diniego delle circostanze attenuanti generiche non può trarsi dallo scontato timore di conseguenze negative dei propri comportamenti afferenti a
circostanze non accertabili perché relativi alla sfera interiore dell’imputato.
2.6. Con il sesto motivo si denuncia vizio di motivazione e inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, in relazione all’art. 454, comma 2, cod. proc. pen.
2.6.1. La Corte di assise di appello rigetta tutte le eccezioni in rito sollevate dalla difesa in base alle stesse argomentazioni svolte dal primo giudice che vengono richiamate.
Secondo i giudici di merito, nel giudizio abbreviato instaurato a seguito di richiesta di giudizio immediato gli atti assunti dal pubblico ministero, dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio immediato, alterando la piattaforma probatoria sulla cui base è stata avanzata la richiesta di rito speciale, sono affetti da inutilizzabilità relativa, sanata ove non dedotta prima della ammissione del giudizio abbreviato.
Nel caso di specie, la difesa, all’esito dell’emanazione dell’ordinanza ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. e dell’espletamento degli incombenti istruttori relativi, ha eccepito la nullità del decreto di giudizio immediato per mancata ostensione di atti di indagine e, in subordine, ha chiesto di essere rimessa in termini per il rito abbreviato.
La Corte di assise, all’udienza del 20 giugno 2022, ha rigettato l’eccezione di nullità rimettendo l’imputato in termini per la richiesta di giudizio abbreviato, richiesta formulata, personalmente, dall’imputato assistito dai suoi difensori di fiducia, seguita dall’ammissione del rito speciale.
All’udienza del 18 luglio 2022, la Corte di assise, dopo aver ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale nell’art. 438, comma 6bis cod. proc. pen., ha deciso il processo dando lettura del dispositivo.
La sentenza reputato che non vi è stata alcuna lesione del diritto di difesa nel caso in esame perché i difensori, invitati dal giudice di primo grado a individuare gli atti utilizzabili per la decisione, non avevano eccepito l’ inutilizzabilità relativa degli atti di indagine depositati dopo l’emissione del decreto di giudizio immediato.
Di qui l’utilizzabilità di tutti gli atti unitamente a quelli acquisiti nelle indagini preliminari, anche se formati nel corso dell’istruttoria dibattimentale, così come argomentato dal primo giudice.
A parere della difesa, la sentenza di secondo grado motiva per relationem rispetto a quella di primo grado del tutto trascurando le deduzioni svolte con il gravame.
Secondo la sentenza di primo grado, la richiesta di giudizio abbreviato al termine dell’istruttoria dibattimentale, con remissione in termini per la richiesta esplicherebbe efficacia sanante, ai sensi dell’art 183 cod. proc. pen., con riferimento a tutte le nullità generali a regime intermedio legate
prevalentemente alla mancata ostensione di atti di indagine che hanno formato oggetto di eccezione da parte della difesa, così riconducendo l’efficacia sanante all’intero perimetro delle sanatorie previste dalla norma citata, con specifico riferimento alla lettera a) del comma 1 dell’art 183 cit.
Invece, secondo quanto dedotto con l’atto di appello, perché questa sanatoria operi è necessario che si accerti la consapevole volontà abdicativa della parte legittimata, volontà che non può ritenersi implicita nella richiesta di applicazione di un rito alternativo.
La sanatoria per facta concludentia di cui all’art 183, comma 1, lett. a) cod. proc. pen. assume valenza solo nel caso in cui dalla condotta possa inoppugnabilmente ricavarsi la definitiva rinuncia a sollevare questioni (Sez. U, n. 27996 del 29 marzo 2012).
L’imputato non ha formulato la richiesta di giudizio abbreviato all’udienza preliminare o nei quindici giorni successivi alla notifica del decreto di giudizio immediato, ma all’esito del dibattimento, nel corso del quale, in più occasioni, ha eccepito la nullità e inutilizzabilità di atti assunti in violazione delle norme del codice di rito e delle garanzie difensive, eccezioni che vengono e analiticamente riportate a p. 65 e ss. del ricorso.
Pertanto, solo all’esito del dibattimento di primo grado e dopo gli approfondimenti istruttori, disposti dalla Corte di assise ex art. 525 cod. proc. pen., l’imputato ha chiesto la rimessione in termini per avanzare istanza di rito abbreviato, dopo aver proposto l’ennesima eccezione di nullità.
L’assenza di animus rinunciandi è confermata dalla proposizione della questione di legittimità costituzionale del disposto di cui all’art., 454 comma 2, cod. proc. pen., proprio per la violazione del principio della discovery integrale degli atti di indagine prevista dagli artt. 415bis , comma 2, 454, comma 2, cod. proc. pen.
2.6.2. Con riferimento alla questione di illegittimità costituzionale il ricorrente afferma che la Corte territoriale ha ripreso la motivazione del primo giudice, senza considerare quanto dedotto con l’appello, ove si era precisato che indurre l’imputato a rinunciare a un diritto, costituzionalmente garantito, affinché sia assicurata l’ammissione al rito abbreviato significa prevedere delle condizioni irragionevoli per la difesa. La presunzione di innocenza implica la legalità del processo, mentre la previsione di cui all’art. 438, comma 6bis , cod. proc. pen. ingenera ulteriori dubbi di legittimità costituzionale, sia per contrasto con l’art 6, comma 2, CEDU sia in relazione all’art. 27 comma secondo cost. in combinato disposto con l’art. 111 comma primo Cost.
Tale violazione si ravvisa nel giudizio abbreviato, se la colpevolezza viene accertata, da parte del giudice chiamato a decidere anche sulla base di atti invalidi o illegittimi, vizi reputati non più deducibili né rilevabili data l ‘esistenza di
una presunzione iuris et de iure di volontà sanante a fronte dell’ istanza di accesso al rito alternativo.
Di qui la richiesta di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ove si interpreti l’ar t. 438, comma 6bis cod. proc. pen, nel senso adottato dai giudici di merito, per violazione dell’art. 111, comma terzo, Cost., 27, comma secondo Cost. in relazione all’art. 111, comma primo Cost., 117, comma primo, 6 CEDU.
La difesa, in sostanza, deduce che, esclusa l ‘efficacia sanante della richiesta di rito abbreviato, deve essere esaminata l’eccezione di nullità della richiesta di giudizio immediato e del decreto, nonché l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 454 , comma 2, cod. proc. pen. sulla quale il giudice di appello non si è pronunciato.
Si riportano, a p. 70 e ss. del ricorso, per esteso, i motivi di appello con i quali era stata sollevata la questione della nullità della richiesta di giudizio immediato e del successivo decreto e dove sono indicate tutte le fonti di prova contrarie che la difesa avrebbe potuto introdurre, se avesse conosciuto tutti gli atti, già esistenti al momento della notifica del decreto di giudizio immediato, ma non ostesi, con particolare riferimento ai due rapporti di intervento tecnico, ivi indicati.
La questione di nullità che poneva la difesa, riguarda la documentazione prodotta al dibattimento -in data 30 maggio 2022 dopo la discussione delle parti – riguardante i rapporti di intervento tecnico in data 13 marzo 2014 e 3 giugno 2016, depositati dal teste COGNOME all’esito della sua escussione testimoniale, relativi alle acquisizioni dal sistema di video sorveglianza dell’Istituto Monte dei Paschi di Siena.
L ‘atto presente nel fascicolo era quello del 13 marzo 2014 a firma dell’ Ispettore COGNOME dove si rilevava l’anticipo di orario di undici minuti rispetto all’ora reale.
Invece, si è acquisito un rapporto di intervento tecnico del 13 marzo 2014, dove non veniva illustrata l’esistenza di discrasia oraria , e un successivo verbale di intervento tecnico, del 3 giugno 2016, che rende conto di un esperimento giudiziale, nel quale si dà atto dello sfalsamento di orari. Si tratta di atti che sono stati ost esi sono dopo l’ordinanza resa , dalla Corte di assise, ex art. 525 cod. proc. pen.
Tanto, con violazione del principio della parità delle armi e del contraddittorio assicurati, secondo quanto devoluto con il gravame, dalla giurisprudenza anche sovranazionale in forza dell’art. 6 CEDU e dell’art. 111, comma terzo, Cost. secondo i quali la persona accusata di un reato, nel più breve tempo possibile, deve essere messo a conoscenza della natura e dei motivi dell’accusa a suo carico, onde disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la difesa. Principi, per la difesa, violati a fronte di una discovery
lacunosa, comunque effettuata da parte del Pubblico ministero scegliendo gli atti da trasmettere contestualmente alla richiesta di emissione del decreto di giudizio immediato.
Secondo quanto dedotto in sede di appello, la patologia da rilevare, per la giurisprudenza di legittimità formatasi nel 2018, sarebbe quella della nullità ex art. 178 cod. proc. pen., non anche della mera inutilizzabilità, stante la violazione del diritto di difesa discendente dall’incisione di prerogative difensive correlate ad una fase processuale nella quale vi è stata ostensione intempestiva di un elemento di prova (si richiama Sez. 2, n. 20125 del 2018).
Inoltre, era stata eccepita l ‘ illegittimità costituzionale dell’art. 454, comma 2, del codice di rito, per la interpretazione svolta dal primo giudice, il quale aveva riscontrato che la giurisprudenza richiamata riguardava i casi di atti e documenti acquisiti durante la fase delle indagini, ma non depositati contestualmente alla notifica dell ‘ avviso ex art. 415bis cod. proc. pen.
Dunque, si era eccepito che, così interpretata la norma, si realizza una violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. posto che un avviso della conclusione delle indagini preliminari prima della richiesta di giudizio immediato da parte del pubblico ministero ha, sostanzialmente, garanzie analoghe a quelle contenute nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e, dunque, ai fini della contestazione del fatto queste garanzie sono analoghe. Con l’unica differenza riscontrabile nel deposito della documentazione delle indagini espletate, previsto dall’art. 415bis , comma 2 del codice di rito al quale fa riscontro, ove si ponga mente alla specificità del giudizio immediato, la contestazione verbale degli elementi e fonti su cui basa l’evidenza della prova richiamata dagli artt. 453, 375, comma 3, cod. proc. pen.
Nel caso di specie, sia il procedimento cautelare sia l’interrogatorio dell’imputato si sono svolti sulla scorta di un compendio investigativo incompleto. Comunque, vista l ‘ equiparazione delle garanzie tra rito ordinario e rito speciale, analoghe sarebbero le conseguenze della violazione del principio della discovery integrale degli atti di indagine, prevista rispettivamente dagli artt. 415bis , comma 2 e 454, comma 2 cod. proc. pen. per la violazione dell’art. 3 Cost.
Per tali ragioni veniva impugnata l’ordinanza, resa dalla Corte di assise il 18 luglio 2022, con la quale era stata rigettata la questione di illegittimità costituzionale, chiedendo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con sospensione del processo, ove sia interpretato l’art. 454, comma 2, cod. proc. pen. nel senso che l’omesso deposito di atti delle indagini preliminari non comporti la declaratoria di nullità dell’atto di esercizio dell’azione penale (richiesta di giudizio immediato).
2.7. Con il settimo motivo si denuncia erronea applicazione di legge
processuale penale con riferimento agli artt. 360, 247, 354 cod. proc. pen., nella parte in cui le sentenze di merito hanno ritenuto utilizzabili le immagini, tratte dai sistemi di videosorveglianza, relative agli spostamenti della vittima e dell’autore dell’omicidio, vizio di motivazione per essersi la Corte territoriale limitata a richiamare le considerazioni della sentenza di primo grado.
Si eccepisce l ‘ inutilizzabilità delle videoriprese tratte dai sistemi di videosorveglianza, eccezione già svolta nella fase delle questioni preliminari al dibattimento, con i motivi di appello e con numerose argomentazioni a confutazione della ordinanza di rigetto espressa il 16 dicembre 2019 dalla Corte di assise.
Le immagini videoriprese sono state la parte essenziale delle prove utilizzate dai giudici di merito per attribuire la responsabilità del fatto all’odierno imputato: la sentenza impugnata (v. p. 10 e ss.) pur riscontrando che queste immagini, da sole, non avrebbero potuto ricostruire gli spostamenti della vittima e dell’omicida, ha esposto che avevano consentito di smentire la versione dell’imputato e di escludere la presenza di vetture diverse da quella compatibile con quella in uso all’imputato dalla scena del crimine, negli orari in cui lo stesso veniva effettuato. Di qui la decisività dell’elemento di prova di cui si eccepisce l’inutilizzabilità .
Con annotazione dell’8 aprile 2014 il dirigente del Commissariato di pubblica sicurezza di Gravina, aveva trasmesso alla Squadra mobile di Bari n. tredici annotazioni di polizia giudiziaria, redatte da personale dipendente, con relative acquisizioni e visualizzazione di immagini, registrate dalle videocamere di istituti bancari e esercizi pubblici; tali annotazioni sono elencate a pagine 96 e seguenti del ricorso.
L’ attività di estrapolazione delle videoriprese veniva appaltata dalle Forze dell’ordine a personale dipendente degli Istituti di credito o degli esercizi commerciali o dai proprietari delle abitazioni private che consegnavano videoregistrazioni agli inquirenti che, sulla scorta di quanto rappresentato dai privati, operavano le loro valutazioni.
Si procedeva, poi, a verificare la coincidenza dell’orario riportato nelle videoriprese rispetto a quello reale.
La difesa aveva eccepito la violazione degli artt. 247, comma 1bis, 354 comma 2, cod. proc. pen. anche alla luce della novella legislativa di cui alla legge n. 40 del 2008 per invalidità delle videoregistrazioni.
L’acquisizione dei file non aveva rispettato le procedure della cosiddetta computer forensic , che impone di preservare e conservare i dati originali e, nel caso in cui sia necessario, copiarli su diverso supporto. Viene sempre a mancare la descrizione nelle annotazioni delle operazioni tecniche compiute dalla polizia giudiziaria, delle caratteristiche delle apparecchiature utilizzate, degli
accorgimenti assunti per garantire la creazione della copia forense.
La difesa deduce che si sarebbe dovuto, nelle indagini, procedere al sequestro degli impianti di videosorveglianza e alla successiva duplicazione dei supporti, nelle forme dell’accertamento tecnico irripetibile, così come, con tale forma, doveva essere compiuta l’estrapolazione.
Si deduce, quindi, la violazione dell’art. 360 cod. proc. pen., sia per la fase di estrapolazione, sia per la fase di duplicazione dei filmati, con conseguente inutilizzabilità della relativa prova.
Si segnalava, poi, la contraddizione tra i riferimenti temporali riportati nei sistemi di videosorveglianza di Banca Apulia e Monte Paschi Siena.
Inoltre, i filmati estratti dalla videosorveglianza dell’abitazione privata non contenevano immagini relative a un range temporale significativo per l’accertamento da compiere, così come vi erano delle carenze relative ai filmati di altri esercizi commerciali (RAGIONE_SOCIALE e Cellulopoli).
L’ordinanza di rigetto resa dalla Corte d’assise è stata trascritta a pagina 102 del ricorso e a questa si è richiamata la Corte territoriale.
Il ricorrente confuta gli argomenti esposti dalla Corte di assise, segnalando che la difesa aveva contestato che tutte le attività di estrapolazione svolte erano state eseguite senza ricorrere alle garanzie previste dall’art. 360 cod. proc. pen. e senza neppure che i server, su cui i video originariamente si trovavano, fossero sequestrati o duplicati con le modalità prescritte dalla legge.
Ciò, in quanto si tratta di atti irripetibili perché destinati alla definitiva cancellazione e conseguente dispersione dopo alcuni giorni.
Quindi, si contestava, da parte della difesa, la modalità, in aperta violazione di legge, con cui era avvenuta l’originaria attività di estrazione dei video. Inoltre, si assumeva che la Corte di assise aveva omesso di motivare circa l’attendibilità dei dati informatici acquisiti nonostante la difesa si fosse posta a dimostrare che, in molti casi, l’attività di acquisizione era avvenuta con modalità carenti o addirittura rispetto a videoriprese che mancavano di alcuni minuti, come quelle tratte dalla telecamera installata presso l’abitazione privata .
Si riportano (v. p. 103 e ss. del ricorso) le ragioni poste a base dei motivi di appello con le quali si erano contestate le conclusioni cui era giunto il giudice di primo grado sul punto, segnalando che ulteriori argomentazioni erano state sviluppate con memoria difensiva depositata alla Corte territoriale il 24 aprile 2024.
In definitiva, di deduce che, a fronte delle censure difensive, la Corte territoriale si è limitata a richiamare le argomentazioni illustrate dal primo giudice, con vizio di motivazione.
Si segnala che le videoriprese, essendo originariamente contenute nei server d ei vari impianti di videosorveglianza, dovevano essere estrapolate per mezzo
della procedura di cui all’art. 360 cod. proc. pen. Si richiama giurisprudenza di legittimità nel senso che sono atti irripetibili quelli mediante i quali la polizia giudiziaria prende diretta cognizione di fatti per loro natura suscettibili di subire modificazioni o addirittura di scomparire in tempi brevi. Proprio con riferimento all’estrapolazione di dati informatici da computer , la Corte di cassazione ha chiarito, poi, che non si tratta di accertamento tecnico irripetibile solo nel caso in cui l’operazione di estrazione è riproducibile un numero indefinito di volte (Sez. 2, n. 24 998 del 4 giugno 2015).
Entrambe le sentenze di merito, quindi, hanno erroneamente applicato l’art. 360 cit. e l’attività di estrapolazione delle videoriprese da parte degli inquirenti, nelle modalità descritte, ha comportato l’inutilizzabilità di queste, vizio che travalica la modalità con la quale il procedimento è terminato cioè col rito abbreviato, ravvisandosi, da parte della difesa, dolose alterazioni dei video e, quindi, dei fotogrammi tratti dai medesimi che avevano comportato, anzi, in un caso in particolare, proprio una mancanza di minuti interi della videoregistrazione estrapolata.
Le difese hanno fatto pervenire tempestiva richiesta di trattazione in udienza partecipata, ai sensi de ll’ art. 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, commi 2, lettere a), b), c) e 3 del d.l. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120.
All’odierna udienza, le parti presenti hanno concluso a seguito di discussione orale, nel senso precisato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto, nei limiti di seguito precisati.
Vanno presi in esame, preliminarmente, i motivi sesto e settimo.
2.1. Il motivo sesto è infondato.
Va evidenziato che l’eccezione difensiva si presenta non specifica posto che, con riferimento agli atti cui questa si riferisce (quelli prodotti dal teste esaminato, all’udienza del 30 maggio 2022, e comunque, tutti quelli elencati a p. 65 del ricorso) di cui si contesta l’intempestività della cd. discovery , non si illustra puntualmente se si tratta di atti che erano già presenti nel fascicolo del Pubblico ministero e non trasmessi al Giudice per le indagini preliminari, in quanto g ià acquisiti presso l’istituto di credito M onte dei Paschi Siena o presso altri uffici, prima della richiesta di giudizio immediato, ovvero se si sia trattato di atti e documenti, già presenti presso le autorità di Pubblica sicurezza o presso gli
Uffici che li avevano raccolti, ma mai entrati prima nel fascicolo del Pubblico ministero, perché ivi mai depositati e transitati in quello del Giudice solo a seguito dell’escussione dei testi in dibattimento o, comunque, di acquisizione nel contraddittorio da parte del Giudice ex art. 507 cod. proc. pen.
Né è chiarito dal ricorrente se il dedotto omesso tempestivo deposito da parte del Pubblico ministero dei documenti indicati fosse privo di giustificazioni.
Infine, non si specifica, risultando dalla sentenza di primo grado (cfr. p. 18 e ss. in nota) che è stata svolta dal Pubblico ministero attività integrativa di indagini, se e qual i atti e documenti cui si riferisce l’eccezione difensiva, siano o meno stati acquisiti all’esito dell’espletamento d i detta attività.
In ogni caso, il Collegio osserva che deve essere data continuità all’indirizzo di questa Corte (Sez. 2, n. 7802 del 8/10/2019, COGNOME, Rv. 278630; Sez. 1, n. 22164 del 5/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270261, non massimata sul punto specifico), secondo la quale, in tema di istruzione dibattimentale, il potere del giudice di disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., non può essere limitato dal principio della cd. discovery , il quale opera esclusivamente nei rapporti fra le parti. La giurisprudenza richiamata, in applicazione di tale principio, ha considerato legittimamente acquisiti dal Giudice gli atti ed i documenti che il Pubblico ministero non aveva ritenuto di depositare nel fascicolo trasmesso all’atto della richiesta di giudizio immediato.
In conformità a tale orientamento si sono espresse Sez. 2, n. 13938 del 18/02/2014, Rv. 259710 -01 (fattispecie nella quale il Tribunale aveva disposto l’acquisizione, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., quali atti irripetibili, di fotografie formate da un teste di polizia giudiziaria nell’imminenza dell’udienza in cui doveva essere esaminato, e, quindi, non presenti nel fascicolo del pubblico ministero, attraverso la stampa di immagini estrapolate dal filmato che aveva documentato un servizio di osservazione, pedinamento e controllo effettuato durante le indagini), nonché Sez. 6, n. 9909 del 20/05/1994, Rv. 199450, quest’ultima relativa a una fattispecie nella quale il Tribunale aveva disposto l’acquisizione al dibattimento di filmati e fotografie, e questa Corte – affermando che non si era trattato di prove fornite o richieste dal Pubblico ministero, bensì di prove ritenute necessarie dal Tribunale – ha ritenuto infondata la censura del ricorrente che al riguardo aveva denunciato la violazione del principio della discovery ( conf. anche Sez. 2, n. 609 del 13/12/2017, dep. 2018, non massimata).
Inoltre, si deve notare, ai fini della specificità della deduzione che non si illustra, precisamente, in che misura gli atti che si assumono ostesi tardivamente nel dibattimento -elencati a p. 65 e ss. del ricorso -siano da reputare prove decisive, in quanto poste a base dell’affermazione di responsabilità dell’imputato,
tolte le quali, ove ritenute solo inutilizzabili e non affette da nullità, l’imputato sarebbe stato assolto.
Quanto, poi, all’eccezione di nullità per essere la tardiva ostensione di atti causa di nullità della richiesta di giudizio immediato, si osserva che la giurisprudenza di legittimità prevalente è orientata nel senso della mera inutilizzabilità degli atti non della nullità rispetto al giudizio immediato.
Invero, costituisce principio acquisito nell’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte quello secondo il quale il mancato deposito, da parte del Pubblico ministero, unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio, di parte della documentazione relativa alle indagini espletate non è causa di nullità della richiesta, ma comporta l’inutilizzabilità degli atti non trasmessi (Sez. 1, n. 22164 del 5/07/2016, dep. 2017, cit. non massimata sul punto; Sez. 3 n. 49643 del 22/09/2015, Rv. 265552; Sez. 1 n. 19511 del 15/01/2010, Rv. 247192; Sez. 4 n. 47497 del 19/11/2008, Rv. 242762).
Il precedente Sez. 2, n. 20125 del 10/04/2018, Apice, Rv. 272901 -01, che cita la difesa, pur se inquadra la patologia degli atti di indagine ostesi tardivamente, nella categoria della nullità e non della inutilizzabilità, comunque, evidenzia (v. p. 10 della sentenza) quanto alla qualità di detta patologia che, con la richiesta di rito abbreviato, la nullità è sanata ex art. 183 cod. proc. pen. anche quando questa sia stata eccepita e la relativa eccezione sia stata disattesa. Detta pronuncia rimarca che in caso in cui, respinta l’eccezione, l’imputato chieda di accedere al rito abbreviato, con una scelta processuale che implica l ‘ accettazione del giudizio allo stato degli atti , si produce l’effetto del la sanatoria dell ‘ invocata nullità ai sensi dell’art. 183 cod. proc. pen.
È noto, invero, che nel giudizio abbreviato sono deducibili solo le nullità assolute e le inutilizzabilità patologiche: sul punto è stato chiarito che l’accettazione del giudizio allo stato degli atti evidentemente presuppone una valutazione di “idoneità” allo svolgimento della funzion e difensiva che permette di ritenere che gli atti funzionali a quell’esercizio abbiano raggiunto i propri effetti. Con la conseguenza di rendere concettualmente operante un meccanismo di ‘ convalescenza ‘ delle nullità a regime intermedio o relative secondo il modello generale offerto dall’art. 183 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 19483 del 16/04/2013, COGNOME, Rv. 256038; Sez. 1, n. 19948 del 05/05/2010, COGNOME, Rv. 247566).
Va richiamata, poi, la più recente Sez. 2, n. 5408 del 20/10/2020, dep. 2021, Possente, Rv. 280646 -01, secondo la quale l’omesso deposito di atti dell’indagine preliminare, contestualmente alla notifica dell’avviso di conclusione di cui all’art. 415bis cod. proc. pen., non comporta la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio, ma l’inutilizzabilità degli atti stessi, che, peraltro, non sussiste nel caso in cui si tratti di attività integrativa di indagine, ex art. 430, comma 2, cod. proc. pen.,
antecedente al l’ emissione del decreto che dispone il giudizio -se la documentazione relativa sia depositata e posta immediatamente a disposizione degli indagati – non essendo ravvisabile, in tal caso, alcuna violazione dei diritti di difesa (si tratta di fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile un’ipotesi di attività integrativa di indagine in relazione ad una relazione tecnico scientifica recante data antecedente a quella dell’avviso di conclusione delle indagini, trasmessa in Procura dopo il decreto di rinvio a giudizio e posta immediatamente a disposizione dell’imputato; conf. Sez. 4, n. 7597 del 08/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259121 -01).
La stessa difesa poi, pretende l’assoluta equiparazione de gli effetti della tardiva ostensione degli atti di indagine rispetto alla notifica dell’avviso 415 -bis cod. proc. pen., alla tardiva ostensione degli atti perché avvenuta dopo la richiesta di giudizio immediato.
La prevalente giurisprudenza, comunque, si è espressa nel senso che l’omissione del deposito di atti dell’indagine preliminare, contestualmente alla notifica dell’avviso di conclusione prescritto dall’art. 415bis cod. proc. pen., comporta l’inutilizzabilità degli atti stessi, non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio; inoltre, si è notato che l’indicata inutilizzabilità non sussiste quando si tratti di attività integrativa di indagine, ex art. 430, comma 2, cod. proc. pen., antecedente all ‘ emissione del decreto che dispone il giudizio, se la documentazione relativa sia depositata e posta immediatamente a disposizione degli indagati, non essendo ravvisabile, in tal caso, alcuna violazione dei diritti di difesa.
La dedotta violazione del diritto di difesa e del principio della cd. discovery integrale degli atti e documenti riguardanti l’imputato (cfr. p. 65 ricorso), lamentata dal ricorrente (anche) nella presente sede di legittimità, si rivela dunque – a maggior ragione – infondata, essendo stata posta la difesa in grado di conoscere, a seguito dell’acquisizione degli atti nel corso del giudizio di primo grado, alcuni all’esito dell’esame dibattimentale dei testi e agenti di polizia giudiziaria, l’intero materiale versato in atti e di esercitare la conseguente facoltà di chiedere la prova contraria . Peraltro, all’esito , l’imputato ha chiesto ed ottenuto il rito abbreviato. Sicché, nella presente sede, non può trovare legittimazione la doglianza relativa al mancato espletamento delle prove contrarie indicate a p. 77 del ricorso.
Alla luce di tale impostazione, va, poi, rilevato, rispetto alle sollevate questioni di illegittimità costituzionale che non ne è compiutamente illustrata la rilevanza rispettivamente al caso in valutazione.
Invero, l’interpretazione accolta in sede di merito non presenta profili di contrasto con i principi costituzionali richiamati dal ricorrente in tema di diritto di difesa e giusto processo, in quanto l’acquisizione delle prove ostese,
asseritamente in ritardo, di cui si controverte, in larga parte, è avvenuta senz’altro ai sensi dell’ar t. 507 cod. proc. pen., nel contraddittorio pieno tra le parti, in condizioni di parità e con la possibilità per l’imputato di chiedere prova contraria.
Va, infatti, sul punto riscontrato un dato segnalato dalla Corte di assise che ha precisato (v. p. 29 della sentenza di primo grado, in nota) una circostanza non avversata, specificamente, dal ricorrente per ciascuno di essi e, cioè, che gli atti asseritamente tardivamente ostesi, non erano nella disponibilità del Pubblico ministero nel momento in cui è stato ritualmente depositato il fascicolo delle indagini. Si tratta, quindi, di prove introdotte nel corso del processo di primo grado, rispetto alle quali le parti, per le modalità e tempi di acquisizione, sono state in grado di svolgere la richiesta di eventuali prove contrarie.
Infine, si deve riscontrare che, all’esito delle acquisizioni, l’imputato ha scelto il rito abbreviato, rito alternativo chiesto in via subordinata ed al quale COGNOME è stato ammesso. Quindi, anche tenendo presente l’indirizzo minoritario richiamato nel ricorso, che dalla tardività dedotta fa derivare la nullità della richiesta di rito immediato, questa patologia è superata, secondo quanto sin qui esposto, dalla richiesta di abbreviato trattandosi di nullità non assoluta, a regime intermedio.
2.2. Il motivo settimo è infondato.
Le videoregistrazioni effettuate dai privati sono prove documentali contenenti la descrizione del fatto riprodotto e, quindi, acquisibili ai sensi dell’art 234 cod. proc. pen.
Inoltre, si osserva che le estrapolazioni di fotogrammi da tali video non possono essere considerate prove illegittimamente acquisite e neppure attività da svolgere mediante accertamento tecnico irripetibile ex art. 360 cod. proc. pen., perché manca lo svolgimento di attività di tipo valutativo.
Invero, è noto che l ‘ ambito di applicazione della previsione che disciplina l’accertamento tecnico irripetibile ex art. 360 cod. proc. pen., risulta non riferibile all’attività di estrazione di copia di file da un supporto. La tecnica consente di acquisire il dato attraverso operazioni, meramente esecutive e materiali, il cui unico scopo è quello di assicurare alla fase processuale quanto di rilevante è contenuto all’interno dello stesso, in formato digitale, operazione che non necessita di perizia o consulenza tecnica.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che non ha natura di accertamento tecnico irripetibile, ex art. 360 cod. proc. pen., l’attività di estrapolazione di fotogrammi da un supporto video (Sez. 1, n. 4895 del 02/11/2023, dep. 2024, Rv. 285716 -01; Sez. 6, n. 41695 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 268326; Sez. 2, n. 4523 del 10/11/1992, Arena, Rv. 192570), atteso che essa non comporta alcuna attività di carattere valutativo su
base tecnico-scientifica, né determina alcuna alterazione dello stato delle cose, tale da recare pregiudizio alla genuinità del contributo conoscitivo nella prospettiva dibattimentale, essendo sempre comunque assicurata la riproducibilità di informazioni identiche a quelle contenute nell’originale (Sez. 1, n. 14511 del 05/03/2009, Stabile Aversano, Rv. 243150).
Ovviamente, è valutazione di merito quella che si richiede quanto all’analisi del contenuto di quella documentazione. Questa Corte ha affermato, poi, che, in ipotesi di perquisizione di sistema informatico o telematico, sia l’art. 247, comma 1bis, sia l’art. 260, comma 2, cod. proc. pen., si limitano a richiedere l’adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza imporre misure e procedure tipizzate (Sez. 3, n. 37644 del 28/05/2015, R., Rv. 265180).
L’art. 247, comma 1bis , cod. proc. pen. in materia di perquisizione, prevede unicamente il rispetto di non esplicitate modalità operative ai fini della conservazione dei dati, onde scongiurarne eventuali alterazioni; non è invece prevista alcuna sanzione processuale in caso di mancata loro adozione, potendone derivare, al più, effetti sull’attendibilità della prova rappresentata dall’accertamento eseguito (Sez. 5, n. 11905 del 16/11/2015, 2016, COGNOME, Rv. 266477).
L’art. 247, comma 1bis cod. proc. pen. («quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorché protetto da misure di sicurezza, ne è disposta la perquisizione, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la 8 conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione») è previsione chiaramente riferibile all’attività di perquisizione disciplinata dalla stessa norma, perquisizione che nella specie non si è verificata.
I restanti motivi, ad eccezione del quinto sul trattamento sanzionatorio, che deve considerarsi assorbito, sono parzialmente fondati nei limiti e con le precisazioni di seguito illustrate per ciascuna doglianza prospettata.
Va premesso che, secondo la ricostruzione della sentenza di primo grado, risulta che il corpo della vittima era stato ritrovato la sera del fatto, per terra, sulla destra di INDIRIZZO con il capo in direzione di INDIRIZZO e gli arti inferiori in direzione di INDIRIZZO
La prima attività di indagine era stata diretta ad accertare gli spostamenti della vittima, nelle ore immediatamente precedenti all’omicidio, e si è acclarato che COGNOME si era recato, insieme ai fratelli, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, al civico INDIRIZZO di INDIRIZZO. COGNOME si era, poi, allontanato dallo studio alle 20:20 (orario riferito dal legale il quale aveva ricordato di aver notato l’ora
sul display del proprio personal computer ) e aveva ricevuto, successivamente, una telefonata dallo stesso avvocato.
La sentenza di primo grado (v. p. 34) dà conto del percorso svolto dalla vittima, accertato attraverso l’esame delle mappe dei luoghi e delle immagini tratte dai sistemi di videosorveglianza di esercizi commerciali e di istituti di credito posizionati sul percorso. COGNOME era stato ripreso mentre, dopo aver camminato per un lungo tratto di INDIRIZZO, aveva svoltato in INDIRIZZO, era sceso lungo INDIRIZZO, aveva svoltato per INDIRIZZO e, attraversando INDIRIZZO, era giunto in INDIRIZZO e, poi, in INDIRIZZO fino alla svolta con INDIRIZZO dove era stato assassinato.
La visione delle immagini dei sistemi di videosorveglianza rendeva evidente che, nel tratto da INDIRIZZO, verso INDIRIZZO, una Fiat Punto aveva seguito la vittima e di quest’auto si potevano individuare alcuni dettagli quali il colore, il tipo, il modello.
Dunque, si procedeva, nelle immediatezze, al sequestro di una Fiat Punto avente caratteristiche considerate sovrapponibili, di proprietà della moglie ma in uso all’imputato, di colore grigio argento metallizzato che, a detta del teste di polizia giudiziaria poi escusso al dibattimento, si presentava, al momento del sequestro, pulita rispetto all’utilizzo che se ne faceva, solo un po’ impolverata nella parte inferiore e presentava un disassamento nella parte anteriore, tra cofano motore e fanale anteriore destro e paraurti anteriore. Inoltre, la sentenza di primo grado segnalava che la vettura dell’imputato aveva l’alloggio per gancio traino sotto il paraurti posteriore e mancava della griglia anteriore del logo Fiat.
3.1. Ciò posto, sul primo motivo di ricorso va osservato che, alla stregua delle quattro dichiarazioni rese da Scalese, come riassunte dai giudici di merito, non risulta coerente la motivazione della Corte territoriale nella parte in cui evidenzia la sussistenza di un’ espressa confessione endoprocedimentale da parte d ell’imputato. Anzi, in base a come sono riportate le sue dichiarazioni, al contrario, l’imputato è apparso assolutamente deciso e costante nel negare di aver condotto , la sera dell’omicidio, l’autovettura controsenso in INDIRIZZO così come di esserne sceso, di avere percorso INDIRIZZO e di avere sparato alla vittima che si trovava in INDIRIZZO per, poi, ritornare a bordo della sua autovettura e allontanarsi dal luogo del delitto.
Il Collegio osserva, comunque, da un lato, che i travisamenti dedotti dal ricorrente non appaiono decisivi ; dall’altro, però, che la motivazione della pronuncia impugnata, quanto, in particolare, alle dichiarazioni di Scalese rese il 24 maggio 2016, non appare lineare e completa laddove evidenzia che queste integrano dichiarazioni autoaccusatorie a carattere confessorio.
Infatti, risulta, dalla stessa motivazione della sentenza di secondo grado, che l’imputato, immediatamente dopo la frase pronunciata dopo una crisi di
pianto ( se sapevo lo ammazzavo vent’anni prima ) e che è stata interpretata dalla Corte territoriale (v. p. 26 e ss.) quale confessione, nel corso dello stesso interrogatorio, risulta aver svolto un ‘ immediata rettifica delle parole pronunciate, della quale, peraltro, il relativo verbale rende espressamente conto.
Sull’eccezione di inutilizzabilità de lle dichiarazioni, invero solo enunciata e non puntualmente esposta, si deve rilevare che questa Corte ha affermato il principio secondo il quale è da escludere ogni e qualsiasi ipotesi di nullità o inutilizzabilità di atti la cui verbalizzazione sia stata effettuata senza il rispetto della normativa di cui all’art. 134, comma 3, cod. proc. pen. (riproduzione fonografica), non rientrando ciò in nessuno dei casi previsti dall’art. 142 del codice di rito (Sez. 1, n. 13610 del 01/02/2012, COGNOME, Rv. 252268 -01, nel senso che non dà luogo a nullità o inutilizzabilità la verbalizzazione in forma riassuntiva di un atto senza riproduzione fonografica dello stesso, in fattispecie relativa a verbale di sommarie informazioni redatto dalla polizia giudiziaria; Sez. 6, n. 1400 del 10/12/2009, dep. 2010, B., Rv. 245851 -01; Sez. 2, n. 9663 del 01/07/1992, COGNOME, Rv. 192510 -01, fattispecie relativa a rigetto di ricorso in cui l’imputato aveva dedotto la nullità del dibattimento di primo grado e con essa la nullità delle sentenze del Tribunale e della Corte d’appello perché il verbale di dibattimento di primo grado, redatto manualmente in forma riassuntiva, non era stato riprodotto fonograficamente come prescritto dall’art. 134, comma 3, cod. proc. pen.).
Con riferimento all’interrogatorio dell’imputato, poi, si è affermato che qualunque dichiarazione, resa nel corso di tale atto, anche se reiterato o effettuato con le modalità del confronto, da persona detenuta, quale che sia il titolo detentivo, deve essere documentata con le formalità previste dall’art. 141bis cod. proc. pen. La norma che il ricorrente assume sia stata violata richiede che l’interrogatorio di persona in stato di detenzione venga documentato, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva o, se ciò non è possibile, con mezzi di riproduzione fonografica. Con la conseguenza che, mancando la riproduzione fonografica o audiovisiva, in assenza delle previste forme alternative ad essa, l’atto è colpito da inutilizzabilità sia nei confronti della persona che lo rende, sia nei confronti di terzi, in quanto è la registrazione, e non il verbale, redatto contestualmente in forma riassuntiva, a far prova delle dichiarazioni rese dalla persona detenuta. Tale regime si applica alla condizione di detenzione inframuraria o in luoghi di cura diversi dal carcere (Sez. 3, n. 31415 del 15/01/2016, COGNOME, Rv. 267518 secondo la quale il descritto regime non opera nel caso di pena o di misura cautelare in esecuzione domiciliare).
Nel caso in valutazione, non risulta che Scalese, alla data del 24 maggio 2016, fosse detenuto; anzi dall’esame del verbale allegato dalla difesa per l’autosufficienza ( esame necessitato per la qualità dell’eccezione formulata , Sez.
U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092), questi è indicato come comparso, davanti al Pubblico ministero nella qualità di persona sottoposta a indagini per i reati per i quali si procede e non è indicato come detenuto in carcere, anche per altra causa.
Né risulta puntualmente illustrata l’eccezione di inutilizzabilità delle medesime dichiarazioni, ai sensi degli artt. 195, comma 4 e 197 lett. c) cod. proc. pen., in considerazione del contenuto verbalizzato e delle circostanze e condizioni personali in cui dette dichiarazioni erano state rese da Scalese.
Il presunto travisamento in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale sul contenuto del primo interrogatorio, rispetto al secondo (v. p. 26 e ss.), non è decisivo perché se è vero, come dedotto dal ricorrente, che, in quella fase delle indagini, non era stato reso palese dagli investigatori al dichiarante che vi erano immagini videoriprese relative al percorso della vittima di quella sera, comunque, al momento in cui COGNOME ha reso le dichiarazioni a rettifica della prima escussione, il 19 marzo 2014, precisando che non si trovava dalla madre quella sera, ma dalla COGNOME, questi aveva già ha subito il sequestro della vettura ( e l’esame stub sull’auto veicolo a lui in uso), quindi al momento della rettifica delle originarie affermazioni rese il giorno 11 marzo 2014, era ormai consapevole che erano in corso indagini e che queste erano indirizzate anche a suo carico. Anzi l’imputato (come ammette n ell’interrogatorio del 21 maggio 2014) si occupa proprio delle telecamere facendosi aiutare dal figlio e dall’amico del figlio. Quindi Scalese già il 19 marzo 2014 sospettava che la sua autovettura era stata ripresa dalle telecamere.
Il terzo travisamento denunciato, relativo all’ interrogatorio del 21 maggio 2014, quanto al percorso e alla cartina sottoposta in visione all’imputato, non è puntualmente illustrato dal ricorrente. Il motivo sembra prospettare che gli investigatori avevano indotto il dichiarante a credere che era stato sicuramente ripreso e immortalato dai sistemi di videosorveglianza; tuttavia, non è specificamente esposto in cosa consisterebbe il travisamento delle dichiarazioni esaminate dalla Corte territoriale e, soprattutto, quale sarebbe il rilievo decisivo di tale travisamento, ai fini di una diversa, più favorevole conclusione per l’imputato.
3.2. Il secondo motivo di ricorso è in parte fondato.
Le articolate e plurime censure devolute con il motivo possono sintetizzarsi nella: 1) mancata assunzione di prova decisiva sulla riscontrata discrasia oraria degli impianti Banca Apulia e Monte Paschi di Siena e vizio motivazione; 2) mancata assunzione di prova decisiva sulla circostanza che Scalese potesse, quella sera, aver transitato a bordo di altri veicoli video ripresi; 3) mancata assunzione di prova decisiva circa l’orario delle riprese della filiale Monte Paschi di Siena; 4) contraddittorietà della motivazione circa le risultanze delle
videoriprese relative al filmato registrato dalla privata abitazione e nell’omessa risposta alla dedotta insussistenza, su tale punto, del fallimento dell’alibi .
Sulla prima censura il motivo è infondato e, comunque, reiterativo di quello di appello. Su tale deduzione, la Corte territoriale ha risposto con motivazione cui il ricorrente oppone argomenti soltanto ipotetici o versati in fatto (v. p. 18 e ss. della sentenza di secondo grado).
La Corte territoriale afferma, con ragionamento immune da illogicità manifesta e completo, che nel verbale di riversamento non si fa riferimento alla via dove era ubicato l’istituto di credito Banca Apulia a cui si riferisce l’attestato di allineamento orario, ma si dà atto che le immagini riversate si riferiscono alla richiesta, pervenuta in data 11 marzo 2014 dal Commissariato di Gravina, richiesta che si riferiva, appunto, al sistema di sorveglianza della filiale della banca sita in INDIRIZZO e non ad altra filiale del medesimo istituto di credito.
La richiesta di rinnovazione istruttoria appare, dunque, per come prospettata, esplorativa e la prospettazione difensiva, sul punto, è illustrata in termini ipotetici. Invero, la Corte di assise di appello fa riferimento specifico ai documenti acquisiti e alla circostanza che la richiesta inoltrata riguardava proprio il sistema di videosorveglianza relativo a Banca Apulia filiale di INDIRIZZO precisando che proprio a questa richiesta, aveva risposto la nota ricevuta sull’allineamento . Il ragionamento esposto dai giudici di merito, dunque, non appare manifestamente illogico, escludendo che all’esito dell’esame dei detti documenti siano residuati equivoci ed è attaccato con argomenti reiterativi dell’appello e ipotetici.
Anche il secondo aspetto devoluto è infondato. In primo luogo, si osserva che si invoca una rinnovazione istruttoria di tipo esplorativo attraverso l’espletamento di perizia, operazione non consentita ex 603 cod. proc. pen. Invero, nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende, comunque, inammissibile la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività ” esplorativa” di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente, non sussistendo pertanto, riaspetto ad essa, alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame (Sez. 3, n. 47293 del 28/10/2021, R., Rv. 282633).
Sul terzo punto devoluto, il ragionamento della Corte territoriale non è manifestamente illogico, la prova che si propone è esplorativa e rispetto a questa neanche il ricorrente illustra quale contributo decisivo avrebbero potuto fornire i tecnici incaricati dal Monte Paschi di Siena, indicati come da escutere, in termini di certezza, ma fa riferimento a meri chiarimenti senza illustrare, specificamente, la decisività di tali precisazioni.
Inoltre, appare versata in fatto la censura relativa all’incertezza dell’orario nel quale la vittima sarebbe scesa dallo studio dell’avv. COGNOME nonché relativa a circostanza per la quale non è illustrata, puntualmente, la decisività della deduzione.
L’orario in cui COGNOME aveva lasciato lo studio dell’avvocato (20:20) e l’orario della chiamata di Desiante al 118, per prestare soccorso alla vittima dopo l’esplosione dei colpi di pistola (ore 21:41,44), sono indicati dal primo giudice in termini di certezza. Circa le dichiarazioni del teste COGNOME si sostiene che questi è apparso certo della circostanza, per aver guardato l’ora sul display del computer e a questa parte della motivazione gli argomenti difensivi opposti sono versati in fatto e, comunque, ipotetici. Inoltre, non va trascurato che, a tali dati, dal punto di vista orario, la Corte di assise affianca il fatto che la sera del 10 marzo 2014, vi erano sistemi di videosorveglianza, in particolar modo quelli posti in INDIRIZZO che avevano ritratto in successione il transito di Capone, in orario posteriore a quando questi aveva lasciato lo studio legale, oltre al descritto passaggio di una Fiat Punto che sicuramente poneva in atto manovre mirate al suo pedinamento, sino al parcheggio su INDIRIZZO Ancona, mentre COGNOME aveva proseguito per INDIRIZZO
Ciò posto, si osserva che le censure relative alla motivazione resa in ordine alla dedotta possibilità che Scalese fosse a bordo di altre vetture sono fondate.
La sentenza della Corte territoriale (v. p. 20 e ss.) pur immune da illogicità manifesta, incrocia l e dichiarazioni dell’imputato rese circa il percorso da lui seguito, quella sera, dal momento in cui era sceso da casa della Collaro, con le immagini che ritraggono le diverse vetture che erano passate davanti alla cartoleria RAGIONE_SOCIALE e riprese dalle telecamere ivi installate, circa la presenza su una vettura soltanto di quelle videoriprese – quella che, per gli inquirenti, appartiene a ll’assassino -di segni distintivi compatibili con la vettura dell’imputato che aveva quali segni individualizzanti, l’assenza di griglia anteriore, specchietti in tinta della carrozzeria, copricerchi con fori multipli.
Su questo punto, la critica prospettata fonda sugli esiti della consulenza tecnica di parte – che, invero, non sono specificamente confutati dai giudici di secondo grado – in base alla quale, secondo le deduzioni già devolute con il gravame, sarebbe emerso che le due auto videoriprese, transitate davanti alla cartoleria, negli orari accertati, non erano certamente incompatibili, perché non si erano potuti riscontrare, per la scarsa illuminazione, i dettagli dei veicoli, secondo quanto assunto dal consulente.
Su tale punto, invero, la motivazione della Corte territoriale appare insufficiente soprattutto circa la dedotta impossibilità di percepire evidenti segni distintivi delle vetture riprese durante il transito, circostanza non specificamente spiegata dai giudici di appello.
Ancora, risulta fondata la censura relativa all ‘ insufficienza e contraddittorietà della motivazione di secondo grado in ordine alle risultanze delle videoriprese della telecamera installata presso l’abitazione privata.
Il filmato della telecamera di sorveglianza di una privata abitazione, quella che aveva ripreso il parcheggio della vettura appartenente, per la tesi di accusa, a ll’ omicida , in INDIRIZZO e la discesa del conducente dall’autovettura, risulta descritto come privo di immagini, per il periodo temporale che va dalle ore 21:08 alle ore 21:28, lasso indicato dalla difesa come decisivo.
La motivazione della sentenza di secondo grado, invero, appare contraddittoria, posto che, da un lato, sconfessa la versione dell’imputato laddove questi ha affermato di avere invertito la marcia, all’altezza dell’incrocio di INDIRIZZO con INDIRIZZO, rilevando che la descritta manovra non risulta da nessun filmato, dalle 21:00 alle 21:45 ; dall’altro , rileva che questa manovra sarebbe stata senz’altro ripresa dalla telecamera privata di cui, però, mancano fotogrammi registrati, proprio relativamente a ll’arco temporale indicato. Carenza non ascrivibile all’imputato ma allo smarrimento o sopravvenuta inutilizzabilità delle riprese a seguito di operazioni svolte per l’estrapolazione e conservazione dei filmati. Né risulta esauriente la motivazione rispetto alla deduzione difensiva secondo la quale non si tratta, su tale specifico punto, di alibi fallito perché l’impossibilità del riscontro alle affermazioni di COGNOME non è imputabile all’imputato.
La motivazione, peraltro, non si richiama neanche alle osservazioni dei primi giudici, nella parte in cui questi incrociano il dato con quello delle riprese delle telecamere della cartoleria (v. p. 73) così neutralizzando il rilievo, già dedotto in primo grado, dell’assenza di immagini per quel lo specifico lasso temporale.
Quindi, questo aspetto della motivazione , in relazione all’alibi fornito dall’imputato, deve essere integrato, ovviamente senza trascurare l’esame complessivo delle dichiarazioni di Scalese, indicate dai giudici di appello come non riscontrate dalle altre prove assunte, quanto alla asserita sosta della sua vettura al INDIRIZZO (risultato invece chiuso), all’orario riferito da Scalese, di rientro alla propria abitazione (sconfessato dalle dichiarazioni della moglie dell’imputato e della COGNOME), alla necessaria manovra di inversione, dovuta alla presenza di ragazzi che litigavano sul percorso (presenza non registrata dai sistemi installati sul posto), quanto all’ ammissione dello stesso imputato di essere transitato, con la sua autovettura, lungo INDIRIZZO (con accertamento che, nell’arco temporale compreso tra le ore 21:00 e le 21:45, non era comparsa una Fiat Punto che effettuasse la manovra descritta più volte dall’imputato, di inversione all’altezza di INDIRIZZO).
Invero, va considerato che, comunque, secondo la giurisprudenza di legittimità, in via generale, in tema di valutazione delle prove, l’alibi “fallito”, in
quanto fondato su circostanze non compiutamente dimostrate (presenza in un luogo ed orario incompatibili con la commissione del reato), non può essere valorizzato quale elemento indiziario a carico dell’imputato, in quanto ciò comporterebbe una non consentita inversione della regola sull’onere della prova (Sez. 6, n. 15255 del 19/02/2020, Prota, Rv. 278878 -01 che ha notato, in motivazione che a differenza dell’alibi “fallito”, può avere una valenza indiziante l’alibi “costruito”, perché indicativo di una maliziosa preordinazione difensiva, salvo restando che lo stesso va pur sempre valutato in relazione alla situazione processuale concreta ed in correlazione con gli altri elementi indiziari; conf. Sez. U, n. 6682 del 1992, Rv. 191231).
3.3. Con riferimento al terzo e quarto motivo di ricorso, si osserva che questi sono parzialmente fondati nei limiti di seguito indicati.
L’accertamento dell’altezza della persona raffigurata in video , immortalata mentre era scesa dalla vettura , l’omessa motivazione c irca le deposizioni dei testi presenti sul posto la sera dell’omicidio, nonché il rilievo attribuito allo stub negativo, svolto a carico del ricorrente, sono argomenti diffusamente esposti nella sentenza di primo grado, a cui si è pervenuti i giudici di merito dopo oltre 40 udienze nelle quali sono stati approfonditi plurimi temi istruttori devoluti dalle parti, anche con consulenza tecnica di parte svolta dalla difesa (v. p. 39 e ss. circa gli esiti negativi dello stub ) o attraverso la nuova audizione di testi o, ancora, con l’acquisizione di documentazione a ll’esito dell’istruttoria dibattimentale, ex art. 507 cod. proc. pen.
Tuttavia, pur a fronte della lettura congiunta delle sentenze di merito, consentita trattandosi di cd. doppia conforme affermazione di responsabilità (trattandosi di un unico percorso argomentativo, Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, COGNOME, 257056; Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, Re Carlo, Rv. 215722), residua sul dato ricavato dallo stub negativo una carenza motivazionale, così come vizio di motivazione si riscontra circa l’esito riconosciuto agli accertamenti svolti sull’altezza del soggetto video ripreso, mentre scende dalla vettura, dopo il pedinamento della vittima. Omette, poi, la sentenza di appello ogni esame delle censure difensive relative alla deposizione dei quattro testimoni presenti, quella sera, nei pressi della scena del delitto.
3.3.1. Emerge, invero, che i giudici di entrambi i gradi di giudizio, in definitiva, attribuiscono all ‘esito negativo dello stub significato neutro, a fronte di una consulenza tecnica di parte che assume, invece, che, ove l’imputato avesse sparato, le particelle significative si sarebbero potute reperire, pur essendo trascorso un certo lasso di tempo tra la sparatoria e il prelievo (cinque giorni).
Si osserva che la motivazione della Corte territoriale non indica come dato certo quello del l’avvenuto lavaggio dell’autoveicolo in uso all’imputato o, almeno,
non lo indica come operazione avvenuta in un autolavaggio ma, eventualmente, come svolta in modo ‘ casalingo ‘ , non professionale.
Peraltro, l ‘esito della c onsulenza tecnica di parte sull ‘esame stub viene conf utato dalla Corte d’assise anche ipotizzando un lavaggio sebbene di tipo non professionale (cfr. p. 40 e ss) ma, comunque, reputando l’accertamento neutro principalmente per essere stato svolto a cinque giorni dai fatti. Tale giustificazione rende, sul punto, anche la Corte territoriale.
Tuttavia, le motivazioni non si confrontano compiutamente con il contenuto della consulenza tecnica di parte.
Va, preliminarmente, tenuto conto del principio interpretativo secondo il quale, in tema di prova scientifica, questa Corte di legittimità non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice delle acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto; ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato (Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, T., Rv. 276151 -01).
Peraltro, questa Corte ha affermato, più in generale (Sez. 5, n. 43845 del 14/10/2022, Figliano, Rv. 283807 -01) che, in tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, purché la sentenza dia conto, con motivazione accurata e approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell’opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (conf. Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008, COGNOME, Rv. 241907 -01).
Sulla base di tale consolidata giurisprudenza, la Corte di secondo grado, pur risultando senz’altro titolare di autonomia decisionale rispetto alle risultanze della consulenza tecnica di parte, tuttavia, non ha specificamente confutato le conclusioni dell’esperto svolte richiamandosi al sapere scientifico (cfr. p. 31), affidandosi a conclusioni indicate come meramente verosimili o ragionevoli ma non certe al di là di ogni ragionevole dubbio, come necessario. Né viene recuperata l’argomentazion e secondo la quale, anche il lavaggio, non accurato e comunque non professionale, avrebbe lasciato residui di particelle di polvere da sparo.
3.3.2. Quanto alla consulenza tecnica di tipo antropometrico, circa l’altezza del soggetto ripreso dalle telecamere installate sui luoghi, secondo i giudici di merito, si tratta di accertamento che ha esiti non decisivi per la scarsa definizione delle immagini dovuta anche alla lontananza delle riprese e fonderebbe su dati incerti.
Le pronunce fanno riferimento a considerazioni relative all’assoluta inattendibilità della comparazione espletata, attribuendo rilievo alla qualità delle immagini, alla distanza dalla telecamera dei soggetti messi a confronto, alla linea tracciata in corrispondenza del limite inferiore, disegnata più in basso rispetto alla base effettiva dei piedi.
In ogni caso, la pronuncia di secondo grado non confuta compiutamente con l’esito dell’ operata comparazione tra l’altezza dell’autista della Fiat Punto presente sul posto, la sera dell’omicidio, con la sagoma dell’Ispettore postosi alla guida dell’auto in sequestro, nel corso del primo esperimento giudiziale del 28 luglio 2014, quanto alla riscontrata incompatibilità tra l’altezza dell’imputato (pari a 1,52 metri, peraltro indicata nella consulenza tecnica di parte) e quella del soggetto che viene filmato mentre esce dall’auto il 10 marzo 2014.
Invero, la motivazione della sentenza impugnata è imprecisa quanto al dato della differenza di altezza tra quella dell’imputato – presa in esame e indicata nella consulenza tecnica di parte – e quella della persona che, secondo gli inquirenti era l’omicida, vist a scendere dalla vettura a piedi per poi tornare all’auto e allontanarsi dal posto e svolge un esame non esauriente delle risultanze dell’esperimento svolto.
Anche uno degli argomenti reputati, altrimenti, individualizzanti per la vettura che pedinava l’imputato , valorizzati dal primo giudice (quello della presenza di un gancio traino e circa l’accertamento della presenza, nella città di Gravina, di n. 44 auto dello stesso modello, di cui solo cinque presentavano un gancio traino installato successivamente all ‘ immatricolazione, gancio traino era stato visionato nelle immagini videoriprese e che, tra queste cinque, una era quella di Scalese), non sono esposti in termini certi, tenuto conto che anche la Corte di primo grado ha concluso, su tale punto, in modo non univoco, quanto meno sul numero complessivo di vetture con gancio traino installato già alla immatricolazione presenti in Gravina.
3.3.3. Quanto al tema del mancato avvistamento della condotta dell’omicida , da parte delle persone risultate certamente presenti nei pressi del luogo del delitto la sera all ‘ ora dell’omicidio, è trattato diffusamente dalla sentenza di primo grado (cfr. 92 e ss.). Tutti i testi della famiglia COGNOME, per come riportate le deposizioni nella sentenza di primo grado, hanno escluso di aver visto qualcuno, quella sera, transitare durante la loro permanenza nei luoghi di interesse (alla INDIRIZZO nei pressi del civico INDIRIZZO). La sentenza di primo
grado spiega l’accaduto anche per la particolare conformazione di INDIRIZZO strada in forte salita dall’incrocio con INDIRIZZO, tranne che nell’ultimo tratto verso INDIRIZZO e viceversa.
La motivazione della sentenza di secondo grado, tuttavia, sul punto, non risponde in modo puntuale alle diffuse censure difensive, contenute nell’atto di gravame e nella memoria difensiva depositata (in particolare si segnalava che dei quattro testimoni presenti sulla scena del delitto – nell’orario prossimo alla esecuzione dell’assassinio, lungo il tragitto che questi avrebbe percorso a partire dal parcheggio di INDIRIZZO e fino al luogo dell’omicidio, nei pressi del civico di INDIRIZZO attraversando INDIRIZZO sia all’andata che al ritorno -nessuno aveva visto passare l’omicida, pur essendo peraltro, due di questi – NOME COGNOME e NOME COGNOME – a piedi). Anzi, nei motivi di appello riassunti nella sentenza impugnata, dette censure non risultano indicate nemmeno per sommi capi (cfr. p. 3 e ss. della sentenza impugnata) o affrontate con motivazione implicita.
Da ultimo, è appena il caso di segnalare, quanto alla censura difensiva relativa alla dinamica dell’agguato, quale prova a favore, che questa è inammissibile in quanto integralmente versata in fatto e fondata su dati ipotetici, nonché rivalutativa del dipanarsi degli accadimenti, operazione inibita a questa Corte.
Alla luce di quanto sin qui esposto, la pronuncia deve essere annullata perché il giudice del rinvio, a seguito di nuovo giudizio e del tutto libero nell’esito, provveda all’i ntegrazione della motivazione nei limiti specificati al § 3., reputato assorbito il motivo quinto inerente al trattamento sanzionatorio,
La disciplina delle spese processuali richieste dalla parte civile è rimessa all’esito del rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’assise d’appello di Bari.
Così deciso, il 14 febbraio 2025