Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26913 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26913 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA( ITALIA) il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 02/03/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA, udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette:
– la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; – le conclusioni presentate dall’avvocato NOME COGNOME, il quale – nell’interesse di NOME COGNOME – ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 2 marzo 2023 la Corte di appello di Messina ha confermato il decreto in data 5 ottobre 2022, con il quale il Tribunale di Messina aveva applicato a NOME COGNOME la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno per la durata di anni tre.
Nell’interesse del COGNOME è stato proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento di secondo grado, formulando un unico motivo (di seguito esposto nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, d. att. cod. proc. pen.), con il quale è stata denunciata la violazione degli artt. 1 e 4 d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159 in quanto la Corte di merito non avrebbe esposto le ragioni a fondamento della ritenuta attualità della pericolosità del proposto, così violando l’obbligo di provvedere con decreto motivato e, comunque, provvedendo in contrasto con i princìpi posti dalla giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite, poiché si è limitata a richiamare le precedenti condanne riportate dal COGNOME, aventi ad oggetto fatti che si collocano al più tardi neVanno 2017, e nel resto a rendere una motivazione apparente se non inesistente, tenuto conto di quanto addotto con l’atto di appello (con cui si era rappresentato che il ricorrente – dopo l’espiazione della pena e il percorso di resipiscenza svolto durante essa, ha rescisso ogni legame con la consorteria criminosa, tanto da non essere sottoposto a indagini più di recente, in particolare nella c.d. Operazione Idria; e che egli svolge regolare attività lavorativa, essendo congetturale l’affermazione del Giudice di appello secondo cui egli «”ricav ulteriore denaro dalla cosca dei RAGIONE_SOCIALE»).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile poiché manifestamente infondato e perché ha dedotto un vizio che non può essere ritualmente prospettato, oltre che versato in fatto.
1. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità:
nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge ai sensi degli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, d. Igs. 159 del 2011; dunque, è escluso dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità il vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello (dagli artt. 7, comma 1, e 10, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, in combinato
disposto con l’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.; Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246 – 01; nonché Sez. 5, n. 11325 del 23/09/2019, dep. 2020, COGNOME; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080 – 01; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 257007 01);
– la motivazione del tutto mancante oppure apparente e, dunque, inesistente, è ravvisabile soltanto quando essa sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 05/03/2015, Rv. 263100 – 01; Sez. 3, n. 11292 del 13/02/2002, Salerno Rv. 221437 – 01); in altri termini, «il vizio di motivazione apparente sussiste solo quando il giudice non dia in realtà conto del percorso logico seguito per pervenire alla conclusione che adotta, argomentando per clausole di stile o affermazioni generiche non pertinenti allo specifico caso sottoposto alla sua valutazione» (Sez. 6, n. 31390 del 08/07/2011, COGNOME, Rv. 250686), ossia «allorché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argornentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 196361 – 01; cfr. pure Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244).
1.1. La Corte territoriale ha dato conto degli elementi di fatto sui cui ha fondato sia la qualificazione del ricorrente come indiziato di appartenere a un’associazione di tipo mafioso e della commissione di delitti previsti dall’art. 51, comma 3-bis, cod, proc, pen., sia come persona che v ve anche in parte con i proventi di attività delittuose: in particolare, ha avuto riguardo alla sua condanna definitiva per associazione di tipo mafioso e a cuanto emerso dai successivi procedimenti penali cui il COGNOME è sottoposto (in uno dei quali gli è stata applicata la custodia cautelare in carcere ed ha riportato condanna non definitiva), dando conto dello specifico ruolo – per nulla secondario – da lui svolto nell’ambito del sodalizio e nell’attività estorsiva (alla luce pure di quanto rappresentato dai collaboratori di giustizia e alle relazioni con pregiudicati o sottoposti a misure di prevenzione riscontrate dalle Forze di polizia). E rimarcando la continuità nel tempo della sua intraneità alla societas, tratta dai dati in discorso, e la capacità relazionale con i sodali da lui palesata e il diretto coinvolgimento nell’attività delittuosa della cosca, ha disatteso la prospettazione difensiva, ritenendone attuale la pericolosità sociale nonostante
la sua sottoposizione a misura cautelare e negando rilevanza e allo svolgimento da parte sua di attività lavorativa dal 2020.
Dunque, nel caso in esame non può ravvisarsi, con evidenza, una motivazione apparente, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa; di conseguenza, il ricorso è manifestamente infondato nella parte in cui ha denunciato tale vizio. Così come è manifestamente infondato nella parte in cui ha addotto la violazione della disciplina posta dal codice antimafia, segnatamente in ordine all’attribuzione al ricorrente di una pericolosità sociale attuale, compiuta dalla Corte distrettuale – nei termini appena rilevati – in conformità ai princìpi posti dalla giurisprudenza (compresi quelli relativi all’accertamento da compiersi nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso: cfr. Sez. U, n. 111 del 30/11/2017 – dep. 2018, Gattuso, Rv. 271511 – 01). Nel resto, il ricorso – con le richiamate censure all’impianto argomentativo del provvedimento impugnato – ha allegato un vizio di motivazione che potrebbe rilevare sub specie dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e che, come esposto, non può essere ritualmente dedotto in relazione al decreto in parola. Non occorre, allora, immorare oltre su tale ordine di censure, per vero versate in fatto.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato nammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende (art. 616 cod. proc. pen.), atteso che l’evidente inammissibilità delle censure dedotte impone di attribuirgli profili di colpa (cfr. Corte cost,, sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/03/2024.