Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15215 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15215 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/03/2025
perchØ il fatto non sussiste;
ha dichiarato NOME COGNOME (classe 1976) colpevole dei reati a lui ascritti ai capi 15 (come sopra e limitatamente all’episodio del 16/01/2009), 17 (come sopra) e 18 (artt. 378 e 416bis.1 cod. pen.) e – unificati sotto il vincolo della continuazione i primi due – lo ha condannato, per questi, alla pena di anni tre di reclusione e alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per il delitto sub 18, così fissando la pena complessiva nella misura di anni cinque e mesi otto di reclusione;
ha assolto NOME COGNOMEclasse 1976) dai reati a lui ascritti sub 5 e 16, con formula di rito ‘perchØ il fatto non sussiste’ e dal reato di cui al capo 15 (quanto all’episodio del 02/09/2008), con formula di rito ‘per non aver commesso il fatto’;
ha condannato gli imputati al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, di quelle relative al proprio mantenimento in carcere, oltre che alle spese relative alla custodia dei beni in sequestro;
ha disposto la confisca di quanto in sequestro;
ha applicato a NOME COGNOME le pene accessorie dell’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante il tempo di espiazione della pena, dichiarando anche NOME COGNOMEclasse 1971) interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque;
ha condannato, limitatamente al capo 1, NOME COGNOME al risarcimento del danno – in favore delle parti civili Comuni di Brindisi, Mesagne e Torre Santa Susanna – rimettendone la liquidazione a separato giudizio.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Lecce – in parziale riforma della suddetta decisione – ha così provveduto:
ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine ai reati di cui ai capi 15 e 17, previa esclusione della circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen., per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione e consequenzialmente, ha eliminato il relativo aumento di pena, così rideterminando la pena complessivamente inflitta al COGNOME nella misura di anni diciotto di reclusione, oltre che eliminando le pene accessorie e la condanna al pagamento delle spese relative alla custodia dei beni in sequestro;
ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME (classe 1971), in ordine ai reati di cui ai capi 15 e 17, previa esclusione della circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. e riqualificazione della contestata recidiva qualificata in recidiva semplice, per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione, eliminando consequenzialmente la relativa porzione di pena e lasciando residuare quindi – a carico del COGNOME – esclusivamente la pena di anni uno e mesi otto di reclusione, inerente al reato ascritto sub 22 (esclusa – quanto a quest’ultimo – la
contestata circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen., ma ritenuta sussistente la contestata recidiva) ed eliminando sia la pena accessoria, sia la condanna al pagamento delle spese relative alla custodia dei beni in sequestro;
ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME (classe 1976), in ordine ai reati di cui ai capi 15 e 17, previa esclusione della circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione, eliminando consequenzialmente la relativa pena e lasciando a carico del COGNOME, pertanto, la sola pena di anni due e mesi otto di reclusione, relativa al reato sub 18 della rubrica, nonchØ eliminando la condanna al pagamento delle spese relative alla custodia dei beni in sequestro;
d) ha confermato nel resto la sentenza gravata, condannando NOME COGNOME al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore delle parti civili Comuni di Brindisi, Mesagne e Torre Santa Susanna;
e) ha disposto la revoca della confisca e, consequenzialmente, la restituzione all’avente diritto di tutti i beni sequestrati, mediante i provvedimenti dei Giudici per le indagini preliminari dei Tribunali di Lecce e di Brindisi, rispettivamente del 18/02/2016 e del 04/03/2016.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo quattro motivi, che vengono di seguito enunciati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, si denunciano i vizi ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 416-bis, primo, secondo, terzo e quinto comma cod. pen., nonchØ per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in punto di valutazione delle prove poste a fondamento dell’accertamento circa la attitudine intimidatoria dell’associazione.
L’organizzazione capeggiata da COGNOME, in sostanza, non Ł stata in grado di esprimere una rilevante capacità di intimidazione; non si comprende, altrimenti, per quale ragione non abbia imposto il preteso metodo anche nei rapporti con i titolari delle discoteche ‘L’Aranceto’ e ‘Mashad’. Il processo, sul punto specifico, ha fatto emergere la piena libertà di autodeterminazione dei titolari di tali locali, che sono sempre stati in grado di assumere ogni decisione, senza tema di dover subire conseguenze di sorta. Si registra, inoltre, l’operatività di altro gruppo concorrente, che Ł restato del tutto immune dalle pressioni del clan; i corrispettivi chiesti per i servizi prestati, del resto, consistevano in utilità bagatellari, oltre ad essere assimilabili a quelli ordinariamente praticati nel settore di attività.
3.2. Con il secondo motivo, si denunciano i vizi ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 56 e 629 cod. pen., nonchØ per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in punto di valutazione delle prove poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale, per il reato di cui agli artt. 110, 81, 56-629, primo e secondo comma, in relazione agli artt. 628, terzo comma, n. 3 e 416-bis.1 cod. pen. L’idoneità delle minacce Ł stata tratta dal tenore dei colloqui, intercettati in carcere fra COGNOME e la moglie; non Ł chiaro, però, come tali frasi possano aver indotto il necessario metus nel destinatario, al quale esse non sono mai pervenute. E del resto, l’inidoneità delle pretese minacce si desume anche dal fatto che COGNOME non abbia avuto alcuna difficoltà, ad affidare il servizio di parcheggio ad altri soggetti, pure all’indomani della visita di alcuni uomini di COGNOME, i quali gli avevano chiesto di poter gestire tale attività.
3.3. Con il terzo motivo, si denunciano i vizi ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., con riferimento al capo 4 della rubrica, per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 416-bis.1 cod. pen., nonchØ per mancanza della motivazione, in
relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante.
Si Ł stabilita, in realtà, una sorta di responsabilità per posizione, con evidente violazione del principio di materialità; la Corte avrebbe dovuto invece chiarire da quale elemento, diverso dalla caratura criminale di COGNOME, sia possibile trarre il dato che egli abbia agito avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. La Corte avrebbe dovuto, parimenti, specificare da cosa si tragga il fatto che l’imputato abbia agito al fine di agevolare l’associazione mafiosa. Pacifico Ł che l’attività incriminata, peraltro, fruttasse solo poche centinaia di euro al mese, cosa che la rendeva inidonea a rappresentare un valido supporto economico per il gruppo.
3.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., con riferimento al capo 4 della rubrica, per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’applicazione della circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. al delitto tentato. Risulta giuridicamente inammissibile configurare l’aggravante mafiosa, in presenza della riqualificazione del fatto in delitto tentato. In conformità ai principi di tassatività e tipicità, laddove determinati effetti giuridici, di valenza peggiorativa della fattispecie, siano dalla legge collegati – a mezzo di elencazione tassativa – alla perpetrazione di reati specificamente individuati, deve intendersi che essi si producano esclusivamente con riferimento alle ipotesi consumate, ma non anche a quelle tentate.
Ricorre per cassazione NOME COGNOMEclasse 1971), a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo due motivi, che vengono di seguito enunciati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
4.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., per mancanza, illogicità, contraddittorietà della motivazione, oltre che per violazione ed erronea applicazione di norme di legge, in relazione alla ritenuta fattispecie di cui all’art. 367 cod. pen., nonchØ violazione degli artt. 125, 530, 533, 546 lett. e) cod. proc. pen. Non Ł adeguatamente motivato il passaggio nel quale la Corte territoriale conferma la pronuncia gravata, relativamente al delitto di simulazione di reato, pur escludendo l’aggravante del fine di agevolare, in tal modo, il sodalizio mafioso.
4.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., per mancanza, illogicità, contraddittorietà della motivazione, oltre che per violazione ed erronea applicazione di norme di legge, in relazione alla ritenuta fattispecie di cui all’art. 12-quinquies decreto legge 08 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 07 agosto 1992, n. 356 (norma abrogata dall’art. 7 lett. t) d.lgs. 01 marzo 2018, n. 21 e trasfusa nell’art. 512-bis cod. pen., ad opera dell’art. 4, comma 1, lett. b del medesimo decreto legislativo).
Piuttosto che dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, si sarebbe dovuto, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., adottare altra decisione. Sul punto, manca del tutto la motivazione, soprattutto in quanto la Corte territoriale non ha risposto alle doglianze difensive, sia con riferimento ai punti salienti dell’atto di gravame, sia per quanto attiene al contenuto della memoria depositata in udienza il 03/01/2020 (qui si richiamava il testo della sentenza di annullamento emessa dalla Corte di Cassazione il 06/03/2017, nell’ambito del procedimento ex art. 325 cod. proc. pen., pronuncia che non può non esplicare effetti anche con riferimento alla posizione del ricorrente, ritenuto l’effettivo intestatario dell’azienda). La difesa, peraltro, aveva dimostrato come, nelle conversazioni intercettate, non fosse possibile cogliere accenni – ad opera di COGNOME – in ordine alle ditte di COGNOME e alle auto da questi vendute; nØ poteva essere operato – nell’anno in cui intervenivano i dialoghi, ossia nel 2013 – alcun riferimento alle auto rinvenute e sequestrate nel 2016.
5. Ricorre per cassazione NOME COGNOMEclasse 1976), a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo due motivi, che vengono di seguito enunciati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
5.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., per mancanza, illogicità, contraddittorietà della motivazione, oltre che per violazione ed erronea applicazione di norme di legge, in relazione alla ritenuta fattispecie di cui all’art. 378 cod. pen., nonchØ violazione degli artt. 125, 530, 533, 546 lett. e) cod. proc. pen. Emergerebbe, in pratica, l’appiattimento della motivazione della sentenza della Corte di appello su quella della adottata dal Tribunale, senza alcuna significativa analisi delle censure poste dall’appellante.
5.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., per mancanza, illogicità, contraddittorietà della motivazione, oltre che per violazione ed erronea applicazione di norme di legge, in relazione alla ritenuta fattispecie di cui all’art. 12-quinquies legge n. 356 del 1992, nonchØ violazione degli artt. 129, 530, 533, 546 lett. e) cod. proc. pen.
La collocazione temporale del fatto potrebbe condurre alla statuizione di estinzione del reato per prescrizione. La Corte territoriale, però, non ha risposto alle doglianze difensive, sia con riferimento al tenore dell’atto di gravame, sia per quanto attiene alla memoria depositata in udienza il 03/01/2020 (qui si richiamava il contenuto della sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di Cassazione il 06/03/2017, nel procedimento ex art. 325 cod. proc. pen., pronuncia che non può non essere rilevante anche per la posizione del ricorrente, ritenuto l’effettivo intestatario dell’azienda). La difesa, peraltro, aveva dimostrato come nelle conversazioni intercettate non potessero cogliersi accenni – ad opera di COGNOME – alla ditta di COGNOME e alle auto da questi vendute; nØ poteva essere operato – nell’anno in cui intervenivano i dialoghi, ossia nel 2013 – alcun riferimento alle auto rinvenute e sequestrate nel 2016.
5.3. COGNOME NOME (cl. 1976) ha presentato memoria con motivi aggiunti, mediante atto a firma dell’avv. NOME COGNOME ed ha ribadito le già prospettate censure, sottolineando la violazione ed erronea applicazione della norma penale – di cui all’art. 416-bis. 1 cod. pen., in relazione all’art. 378 cod. pen.›, nonchØ l’esistenza di una motivazione apparente e, quindi, inesistente. Sarebbe stata necessaria la prova circa la oggettiva finalizzazione dell’azione a favorire l’associazione, piuttosto che un singolo partecipante; la Corte territorial, però, ha dato per certo e provato quanto doveva formare oggetto, al contrario, di disamina e di compiuta dimostrazione (ossia, che il ricorrente fosse conscio del retroterra mafioso di Parisi e di Vicientino). Dal testo della sentenza emerge unargomentare che, invece, si regge su una mera presunzione, circa tale conoscenza.
Ulteriore contraddittorietà risiede nel fatto che il ricorrente viene ritenuto intestatario fittizio dell’immobile sito in INDIRIZZO, nella disponibilità di fatto di COGNOME: la suddetta intestazione fittizia sarebbe servita a COGNOME per eludere le norme in tema di misure di prevenzione patrimoniali, evitando la confisca del bene. Anche la contestazione sub 18 della rubrica – consistente nel fatto di aver favorito la latitanza di COGNOME, boss della SCU di Mesagne – riferisce a COGNOME la condotta di aver messo a disposizione del predetto l’abitazione in INDIRIZZO Episcopana. La Corte territoriale esclude, però, che l’acquisto e l’intestazione fittizia a terzi del bene immobile, riferibile in realtà a COGNOME, siano stati finalizzati ad agevolare l’associazione mafiosa cui apparteneva il predetto. Ciò contraddice, in modo irrimediabile, la parte in cui la stessa Corte sostiene la sussistenza dell’aggravante del fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa.
6. La parte civile Comune di Mesagne – in persona del Sindaco e con il patrocinio
dell’avv. NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte e nota spese. Il giudizio di merito ha evidenziato come la struttura tipica della associazione mafiosa in parola, essenzialmente, sia fondata sul controllo del territorio e delle attività economiche, anche attraverso l’esercizio della forza intimidatrice. Gli episodi criminosi che hanno avuto come teatro (anche) il territorio comunale di Mesagne, dunque, hanno leso non solo la libertà morale e l’integrità psicofisica dei cittadini, ma parimenti il concreto interesse dell’Ente Comune, alla preservazione del proprio territorio da tali deteriori fenomeni. L’operatività dell’associazione criminosa nell’ambito territoriale di un Comune, inoltre, produce un evidente danno all’immagine del Comune medesimo.
Tanto premesso, il Comune di Mesagne ha insistito per il rigetto del ricorso per cui Ł processo; ha domandato la conferma della sentenza di secondo grado, nonchØ delle statuizioni civilistiche già disposte e, infine, ha chiesto la condanna dell’imputato al pagamento delle spese, diritti ed onorari del presente giudizio.
Il Procuratore generale ha chiesto, con riguardo a NOME COGNOME, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; con riguardo a NOME COGNOME (anno 1976), con riferimento al capo 18, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ed il rigetto dei motivi di ricorso nel resto; con riguardo a NOME COGNOME (anno 1971), dichiararsi la inammissibilità dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME (cl. 1971) Ł infondato, mentre quello di NOME COGNOME (cl. 1976) deve essere accolto, con riferimento alla sola contestazione sub 18 della rubrica. Fondato Ł anche il ricorso di NOME COGNOME.
NOME COGNOME condannato per i reati sub 1 (art. 416-bis cod. pen.) e 4 (tentata estorsione aggravata), ha presentato un ricorso articolato in quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata la tecnica redazionale adottata dalla Corte territoriale, sostenendo la difesa essere carente la prova circa la sussistenza del reato associativo, per esser stata tratta, la stessa, esclusivamente dalla ritenuta concretizzazione dei reati fine; risulterebbe carente, dunque, la capacità di intimidazione.
Giova allora richiamare i principi di diritto fissati da Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664 – 01 e, quindi, ricordare che la motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale Ł da considerare legittima allorquando: a) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua, rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e, poi, le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; c) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l ‘ e sercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (si vedano anche Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 274252 – 01;
Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014 – dep. 22/12/2014, COGNOME, Rv. 26183901; Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, Barone, Rv. 261248 – 01; Sez. 4, n. 4181 del 14/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238674 – 01; Sez. 3, n. 2125 del 27/11/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 223294 – 01). Deve ritenersi inammissibile, però, il ricorso per cassazione a mezzo del quale venga
genericamente dedotta l’illegittimità della sentenza d’appello, sul mero rilievo dell’essere questa motivata “per relationem”, rispetto alla decisione di primo grado, senza procedere alla specifica indicazione dei punti dell’atto di appello che si assumono non adeguatamente presi in considerazione, ad opera della decisione impugnata (Sez. 3, n. 37352 del 12/03/2019, Marano, Rv. 277161 – 01).
2.1.1. La motivazione adottata dalla Corte territoriale risulta, nel caso di specie, scarna e poco approfondita. Ma nel caso in cui la parte appellante – sia pubblica, che privata – abbia addotto argomentazioni ed esposto ragioni che possano, in astratto, valere ad invalidare gli elementi sui quali si basa il convincimento del primo giudice, nonchØ l’iter logico-deduttivo da costui seguito e, nel contempo, abbia proposto temi d’indagine specifici, lamentando un insufficiente o erroneo esame di alcuni elementi probatori, o anche l’omesso esame di altri elementi di notevole rilievo, il giudice di appello deve procedere a un attento riesame di tutti gli elementi probatori del processo. Non Ł quindi consentito trincerarsi dietro una mera conferma della decisione gravata, tramite il pedissequo rinvio alle considerazioni svolte dal giudice di primo grado, pena la violazione dell’esigenza del doppio grado di giurisdizione. Laddove resti carente tale forma di riesame – sia che la sentenza di appello non contenga alcun riferimento, sia nel caso in cui si limiti al puro e semplice richiamo testuale, senza inserire una propria struttura motivazionale, pur se sintetica – la pronuncia di appello dovrà essere ritenuta affetta da un difetto argomentativo.
2.1.2. Ferma dunque la piena legittimità della motivazione per relationem, tale modalità argomentativa e interpretativa deve essere conforme ai canoni sopra delineati; le doglianze difensive – nella concreta fattispecie – non sono state invece oggetto di confronto sostanziale, ad opera della Corte territoriale.
Si duole la difesa, infatti, che la tecnica adottata nella redazione della sentenza impugnata abbia finito per sovrapporre due piani tra loro ontologicamente distinti e – mediante un ragionamento di tipo circolare – abbia tratto la prova della sussistenza del reato associativo, semplicemente, dalla ritenuta sussistenza dei reati fine. Dalla dimostrazione di piø episodi criminosi, di natura prevalentemente estorsiva, atti a rivelare una posizione di egemonia nella illecita gestione dei parcheggi e della sicurezza di numerosi locali, si sarebbe quindi giunti a ricavare anche l’esistenza della struttura associativa, nella sua estrinsecazione piø caratterizzante, rappresentata dall’adozione del metodo mafioso.
Sottolinea la difesa, poi, come già il Tribunale abbia assolto COGNOME dai reati fine originariamente ascritti sub 2, 3, 5 e 16, procedendo alla riqualificazione in ipotesi tentata della contestazione sub 4; la Corte di appello ha poi dichiarato l’estinzione per prescrizione degli episodi rubricati sub 15 e 17 della rubrica, previa esclusione della sussistenza dell’aggravante mafiosa. Venuta meno la dimensione finalistica dapprima attribuita all’associazione, quale protagonista di una persistente e diffusa attività di taglieggiamento e quale espressione di un consolidato metodo mafioso, residuerebbe allora, secondo la difesa, solo un’ipotesi di tentata estorsione, posta in essere con modalità del tutto estemporanee.
Rispetto a tali prospettazioni difensive, Ł mancato il confronto sostanziale e la relativa risposta. La sentenza impugnata, in definitiva, ha ritenuto di poter superare tutte le problematiche poste dalla difesa, mediante il semplice richiamo – testuale e integrale – alla sentenza gravata, della quale avrebbe dovuto, però, riportare specificamente i passaggi salienti e aggiungere una autonoma motivazione, pur se stringata e di carattere adesivo. Il motivo, pertanto, deve ritenersi fondato.
2.2. Il secondo motivo aggredisce la ritenuta sussistenza del delitto di tentata estorsione aggravata; secondo la sentenza impugnata, dunque, COGNOME avrebbe fatto avvicinare da uomini di fiducia il titolare della discoteca ‘Poison’ di Mesagne, ossia COGNOME, imponendo che tali soggetti disciplinassero il parcheggio dei clienti all’esterno della discoteca, ossia su un’area comunale,
intascando poi essi stessi il corrispettivo dagli avventori.
2.2.1. Assume la difesa che COGNOME possa, al massimo, essere considerato soggetto passivo della condotta, ma non del danno, ossia del reato. La doglianza si dipana poi ricordando come il locale non disponesse di una propria area adibita a parcheggio per i clienti, tanto che aveva incaricato tre individui di disciplinare la viabilità nell’area mercatale appartenente al Comune di Mesagne, laddove i clienti erano soliti parcheggiare le auto. In ipotesi difensiva, COGNOME non avrebbe mai potuto, quindi, assegnare ad altri tale attività e ricavarne il relativo profitto, trattandosi di uno spazio ricadente nella titolarità comunale; in capo al COGNOME, in definitiva, risulterebbe carente il profilo dell’interesse economico, nØ allo stesso potrebbe essere ricollegato l’elemento della necessaria correlazione dell’ingiusto profitto con altrui danno. Mancherebbe la prova, inoltre, della sussistenza di uno degli elementi costitutivi del reato di tentata estorsione, non essendo emerse minacce idonee a coartare la volontà della vittima.
2.2.2. La censura difensiva così sintetizzata Ł fondata, per non esservi adeguata motivazione circa la sussistenza del danno in capo a COGNOME
Come Ł noto, il reato di estorsione presuppone, tra l’altro, per la sua configurabilità l’intenzione del soggetto agente di procurarsi un ingiusto profitto, con danno della persona offesa. Il danno – quale fulcro e momento culmine dell’offesa “criminale”, sulla quale Ł imperniato il delitto di estorsione – deve presentare un contenuto di tipo patrimoniale, determinando una effettiva diminuzione del patrimonio della persona offesa. La definizione della nozione di danno, pertanto, deve essere fissata in correlazione funzionale rispetto a quella di patrimonio, che ne rappresenta il prodromo logico-giuridico, necessario in vista della individuazione del momento effettuale, del risultato pregiudizievole della condotta costrittiva.
La questione, allora, non ha natura strettamente semantica e terminologica, vertendo essa sul corretto inquadramento della figura del “danno patrimoniale” ed involgendo, in particolare, la questione circa la riconducibilità, all’interno di tale alveo concettuale, non solo del danno patrimoniale diretto ed immediato derivante dalla condotta tipica, ma anche del danno potenziale, pur sempre di natura patrimoniale, consistente nella c.d. perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico. Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente affermato che ‹‹In tema di estorsione, nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini della configurabilità del delitto rientra anche la perdita di una seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale›› (Sez. U, n. 30016 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286656 – 01)
Questa Corte ha altresì chiarito come, in ordine agli elementi che descrivono l’offesa propria del danno “criminale”, sia necessaria la dimostrazione – in termini di certezza – circa l’esistenza di un nesso causale, tra la condotta colpevole e l’evento di danno, inteso non solo alla stregua di un decremento, ma anche quale possibilità perduta, di ottenere un risultato migliore o piø favorevole, distinguendo i profili della seria ed apprezzabile possibilità e della mera speranza, o generica aspettativa del conseguimento di un risultato positivo.
Questi essendo i principi di diritto che governano la materia, ritiene il Collegio che manchi – nella avversata decisione – una motivazione adeguata, in punto di prova del predetto nesso causale, tra condotta individuata a carico del soggetto attivo e danno a carico della persona offesa. Blasi ha infatti chiarito sia il profilo della non appartenenza alla discoteca dell’area adibita a parcheggio, sia l’aspetto del mancato esborso economico – da parte sua – in favore dei sodali del Parisi. In ragione di quanto precede, viene disposto l’annullamento con rinvio anche riguardo a tale punto, affinchØ la Corte territoriale, nel giudizio rescissorio, vi si soffermi piø accuratamente, colmando le sopra delineate lacune motivazionali.
2.3. La fondatezza dei primi due motivi consente di ritenere assorbiti il terzo e il quarto motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME (classe 1971), articolato in due motivi, Ł infondato. Trattasi di un imputato che risponde, ormai, del solo reato ex art. 367 cod. pen., ascritto sub 22 della rubrica, con esclusione dell’aggravante mafiosa; le due ipotesi ex art. 12-quinquies d.l. n. 306 del 1992, oggi art. 512-bis cod. pen., per le quali era stata pronunciata condanna in primo grado, sono state infatti dichiarate prescritte in appello, previa esclusione dell’aggravante mafiosa.
3.1. Il primo motivo avversa il fatto che sia stata confermata la pronuncia gravata, relativamente al delitto di simulazione di reato, pur essendosi esclusa l’aggravante del fine di agevolare, in tal modo, il sodalizio mafioso; la difesa aveva sostenuto, infatti, che denunciare falsamente il furto dell’auto – all’indomani dell’arresto del latitante COGNOME il quale disponeva del mezzo stesso, fosse una condotta realizzata nell’intento di porsi al riparo da possibili conseguenze penali, ma non al fine di agevolare l’associazione mafiosa.
3.1.1. La censura si sviluppa sul piano del fatto ed Ł tesa a sovrapporre una nuova interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita nell’impugnato provvedimento, piø che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall’art. 606 cod. proc. pen. Tale operazione, con tutta evidenza, fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso al giudice di legittimità. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchØ illustrati come maggiormente plausibili, o perchØ assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si Ł in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
3.1.2. D’altronde, nessun vizio logico argomentativo Ł ravvisabile nella motivazione sviluppata, che ha ricordato come il COGNOME abbia falsamente denunciato – in data 10/02/2011 – il furto della propria autovettura, a bordo della quale stava salendo, proprio lo stesso giorno, il latitante NOME COGNOME. Tale fatto, di natura oggettiva, non viene attaccato dalle prospettazioni difensive, che presentano una connotazione meramente confutativa, rispetto alla decisione assunta dalla Corte territoriale.
Per completezza di analisi e di esposizione, deve sottolinearsi come sia corretta la decisione – assunta dai Giudici di secondo grado – di non dichiarare estinto il reato, stante la ricorrenza della contestata recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale. Si può infatti ricordare che ‹‹La recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, in quanto circostanza aggravante ad effetto speciale, incide sia sul computo del termine-base di prescrizione ai sensi dell’art. 157, comma secondo, cod. pen., sia sull’entità della proroga di suddetto termine in presenza di atti interruttivi, ai sensi dell’art. 161, comma secondo, cod. pen.›› (Sez. 2, n. 57755 del 12/10/2018, COGNOME, Rv. 274721 – 01; così anche Sez. 4, n. 44610 del 21/09/2023, BisiccŁ, Rv. 285267 – 01; Sez. 5, n. 32679 del 13/06/2018, COGNOME, Rv. 273490 – 01; Sez. 4, n. 6152 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272021 – 01; Sez. 2, n. 5985 del 10/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272015 – 01; Sez. 3, n. 50619 del 30/01/2017 COGNOME Rv. 271802 – 01; Sez. 6, n. 50089 del 28/10/2016, COGNOME Rv. 268214 – 01; Sez. 6, n. 48954 del 21/09/2016, COGNOME Rv. 268224 – 01, che ha escluso che la regola ermeneutica sopra enucleata comporti una violazione del principio del “ne bis in idem sostanziale”, o dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza
della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso Zolotoukhine RAGIONE_SOCIALEc Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione).
Precisa la Corte territoriale, sul punto, che nell’anno 2009 – id est, all’epoca in cui si rese protagonista dei reati sub 15 e 17 della rubrica – il COGNOME era gravato da una recidiva semplice; tale circostanza ha portato, una volta esclusa l’aggravante mafiosa, alla declaratoria di estinzione di tali reati, per intervenuta prescrizione. La condizione di recidivo Ł risultata successivamente aggravata, stante la commissione di ulteriori reati medio tempore e, quindi, ha assunto la forma della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, al momento della perpetrazione del reato sub 22; ciò ha impedito, in ossequio al principio di diritto sopra richiamato, di dichiarare l’estinzione per prescrizione.
3.2. Il secondo motivo inerisce alla già pronunciata declaratoria di estinzione per prescrizione, con riferimento alla contestazione ex art. 512-bis cod. pen. conseguente alla previa elisione dell’aggravante mafiosa ed alla riqualificazione – da qualificata a semplice – della contestata recidiva. La difesa invoca ora l’annullamento della sentenza, con l’emissione di pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen., sostenendo essere radicalmente carente la motivazione, oltre che sul presupposto che non sia stata fornita adeguata risposta, rispetto alle doglianze difensive.
Il principio di diritto al quale attenersi, quindi, Ł quello dettato da Sez. 1, n. 4671 del 03/10/2019, dep. 2020, Urbani, Rv. 278161 – 02; fermo l’ancoraggio normativo offerto dall’art. 607 cod. proc. pen., infatti, laddove questo prevede espressamente la possibilità di ricorrere in Cassazione, avverso sentenza di proscioglimento, la decisione assunta da questa Corte rileva in quanto, nella parte motiva, Ł stato chiarito come – in presenza di impugnazione in sede di legittimità, proposta avverso sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato – l’interesse atto a sorreggere l’ammissibilità del ricorso stesso Ł quello alla verifica dibattimentale e, correlativamente, alla possibilità di rinunciare alla prescrizione.
Nella concreta fattispecie, vi Ł stata la verifica dibattimentale; l’imputato ha poi interposto gravame, avverso la decisione assunta in primo grado, così impugnando – nell’anno 2020 – la condanna emessa in relazione a fatti risalenti al 2009 e lo ha fatto domandando l’esclusione della recidiva e dell’aggravante mafiosa (tanto si desume dai motivi di appello, come sussunti nella sentenza impugnata). Il gravame, pertanto, Ł stato proposto nella piena consapevolezza del fatto che l’accoglimento delle domande difensive avrebbe comportato, inevitabilmente, la declaratoria di estinzione del reato stesso.
A tanto deve aggiungersi che nel corso del giudizio di appello, viepiø, il ricorrente non ha corredato tali motivi con la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione; anzi, la difesa ha formulato le proprie conclusioni chiedendo espressamente, in via subordinata, proprio la declaratoria di estinzione per prescrizione. Il tutto rende evidente la inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, atteso che – anche all’esito della effettuata verifica dibattimentale – non si Ł mai mostrata la volontà di rinunciare alla prescrizione, essendo anzi emersa palese una volontà diametralmente opposta.
4. Il ricorso di NOME COGNOME (classe 1976), articolato in due motivi e in motivi nuovo che si occupano di ribadirli integralmente, Ł fondato quanto alla doglianza attinente alla contestazione cui al capo 18 della rubrica, ossia al reato di cui all’art. 378 cod. pen., con aggravante mafiosa; come sopra già chiarito, le due ipotesi ex art. 512-bis cod. pen., ascritte sub 15 e 17 della rubrica, sono state dichiarate prescritte in secondo grado, previa esclusione dell’aggravante mafiosa.
4.1. Il primo motivo aggredisce la condanna per il reato di favoreggiamento aggravato ed Ł incentrato sul difetto di un adeguato apparato motivazionale, nella sentenza impugnata, sotto
plurimi aspetti.
4.1.1. Sostiene la difesa, dunque, che vi sia un vuoto argomentativo, nella decisione di conferma della condanna in primo grado, non essendosi considerato come l’immobile de quo fosse stato concesso in comodato gratuito dal COGNOME, intestatario dello stesso – sin dal gennaio 2009 a NOME COGNOME, con atto datato 11/02/2011; la villa quindi – prosegue la difesa – si trovava nell’uso esclusivo del COGNOME, il quale vi dimorava da quasi due mesi, al momento della cattura del latitante.
Rappresenta il ricorrente, inoltre, che – secondo l’assunto sposato dal Tribunale – la fittizia intestazione della villa ubicata in INDIRIZZO (intestazione aggravata dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa, che conseguiva il vantaggio di poter contare sulla disponibilità dell’immobile, tanto che vi trascorreva la latitanza NOME COGNOME) fosse indicativa della responsabilità del COGNOME per il delitto di favoreggiamento. In altri termini, ospitare nell’immobile a lui fittiziamente intestato un latitante, avrebbe realizzato il fine di agevolare il sodalizio di appartenenza del latitante medesimo. La Corte territoriale, in ipotesi difensiva, ha però svuotato di contenuto l’accusa, laddove ha affermato che COGNOME – quale effettivo possessore della villa – l’abbia fittiziamente intestata al ricorrente, al fine di tenere per sØ l’immobile stesso e, così, sottrarlo a una possibile misura di prevenzione. In questa diversa costruzione, però, non si comprende, secondo la difesa, la ragione per la quale COGNOME avrebbe dovuto concorrere con COGNOME il quale aveva in comodato l’immobile e, quindi, agevolare il latitante capo clan COGNOME.
4.1.2. I Giudici di merito, dunque, hanno ricordato trattarsi di una villa originariamente di proprietà di NOME COGNOME, poi acquistata dal COGNOME, dopo che il primo si era fortemente indebitato per l’acquisto di autovetture, presso la concessionaria formalmente intestata a NOME COGNOMEclasse 1976); la villa – prosegue la Corte territoriale, nella sua ricostruzione di carattere storico e oggettivo – veniva intestata a NOME COGNOMEclasse 1976), il quale la cedeva in comodato proprio a COGNOME. Infine, presso tale villa – trascorsi pochi mesi – veniva ritrovato il latitante capoclan COGNOME
Stando alla ricostruzione operata dalla Corte, allora, la dazione in comodato sarebbe servita a schermare la reale ragione sottesa alla presenza di COGNOME presso la villa, essendo stato allo stesso attribuito il ruolo di custode e sorvegliante dell’immobile, durante la latitanza di COGNOME.
Osserva la Corte, però, che risulta del tutto carente, nella sentenza impugnata, la motivazione in punto di prova della conoscenza, da parte di NOME COGNOME (classe 1976), della destinazione del bene alla permanenza del latitante. Su tale aspetto specifico occorrerà soffermarsi piø diffusamente e, pertanto, viene disposto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente a tale profilo.
4.2. Il secondo motivo proposto nell’interesse di NOME COGNOMEclasse 1976) Ł esattamente sovrapponibile al secondo motivo formulato nel ricorso di NOME COGNOME (classe 1971); si può operare, quindi, un rinvio alle considerazioni già svolte in relazione alla posizione di quest’ultimo.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, sono fondati i ricorsi di NOME COGNOME e limitatamente all’imputazione sub 18 della rubrica – quello di COGNOME NOME (cl. 76); quanto a tali profili della sentenza impugnata, dunque, deve disporsi l’annullamento, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto. Le residue doglianze contenute nel ricorso di NOME COGNOME (cl. 1976) sono da disattendere. Il ricorso di NOME COGNOME (cl. 1971) deve essere rigettato; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e di COGNOME NOME (cl. 76), limitatamente per quest’ultimo al reato di cui al capo 18), con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME NOME (cl. 76). Rigetta il ricorso di COGNOME NOME (cl. 71) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 04/03/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME