Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12663 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12663 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: 1) NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE), nato in Albania il 07/07/1983; 2) COGNOME (CUI CODICE_FISCALE), nato in Albania il 01/02/1984 avverso la sentenza emessa in data 02/07/2024 dalla Corte di Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; uditi i difensori dei ricorrenti, avv. NOME COGNOMEper RAGIONE_SOCIALE) e avv. NOME COGNOMEper
SULA), che hanno concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATI -0
Con sentenza del 02/07/2024, la Corte d’Appello di Milano ha parzialmente riformato (riducendo la pena applicata in primo grado al MAMO, e confermando nel resto) la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa con rito abbreviato dal G.i.p. del Tribunale di Milano, in data 13/12/2022, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione – come meglio specificato ai capi 1 e 2 della rubrica – al concorso nel delitto di trasporto e comunque di detenzione di una
ingente quantitativo di cocaina, nonché (il solo MAMO) di porto abusivo di arma clandestina e relative munizioni.
Ricorre per cassazione il SULA, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penal responsabilità. Si evidenzia il carattere meramente indiziario degli eleme acquisiti (presenza del ricorrente nel bagagliaio della Ford Fiesta, conduzione d vettura fino al garage sotterraneo, denuncia e dichiarazioni di NOME COGNOME intercettazioni tra quest’ultima e terze persone), ed il loro carattere equ compatibile con la versione difensiva secondo cui il borsone contenente la dro non era mai stato presente nella vettura condotta dal ricorrente.
2.2. Violazione di legge con riferimento all’applicazione della ingente quanti Si censura la contraddittorietà della motivazione, in quanto il SULA, se fosse s a conoscenza del quantitativo di droga trasportato, mai avrebbe corso il rischi coinvolgere la nipote, portata con sé da Reggio Emilia.
2.3. Violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione dell attenuanti generiche, avuto riguardo al buon comportamento processuale, al radicamento in Italia, al ruolo di vittima dell’aggressione subita con il calci pistola.
Ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del proprio difensore, deducendo:
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazio di responsabilità per il delitto sub 1). Si censura la contraddittoriet motivazione, alla luce della mancanza di riferimenti al ricorrente in tut investigazioni (ad eccezione delle fasi dell’arresto), alla sua estraneità al tr dello stupefacente, alla sua consapevolezza del fatto che il borsone contene droga anziché danaro (come da lui ritenuto), ed alla credibilità della sua ver secondo la stessa Corte territoriale. Si rileva la mancanza di motivazione s ritenuta maggiore verosimiglianza dell’ipotesi accusatoria, risultando illo anche la costruzione di un dolo di concorso con il SULA, e del tutto congettura quella di un accordo tra il ricorrente e l’ignoto COGNOME (o COGNOME): si evidenzia alt che la prospettazione accusatoria finiva per equiparare il trattamento previsto il terzo a quello applicato al MAMO, ma tali conclusioni potevano al più ipotizzar per l’organizzazione della rapina, non anche per la detenzione dello stupefacen
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla riten applicabilità dell’aggravante ex art. 80. Si censura la sentenza per non considerato che tale aggravante era stata ascritta al coimputato a titolo di mentre al SULA (che credeva di dover rapinare soldi, e non droga) l’applicazion era a titolo di dolo concorsuale.
3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo 2). censura l’assenza di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica da attri al fatto che il ricorrente avesse con sé la pistola consegnatagli dal COGNOME.
3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla manca concessione delle attenuanti generiche e alla misura del trrattame sanzionatorio. Si lamenta la mancata considerazione del ruolo marginale tenut dal ricorrente, oltre che della incensuratezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Come già ricordato nell’esposizione che precede, gli odierni ricorrenti so stati condannati, anche in appello, per il concorso nel trasporto e nella deten di un ingente quantitativo di cocaina (alcuni panetti per complessivi 9 chili c 77% di principio attivo, pari a 46.248 dosi) contestato al capo 1) della rubri COGNOME è stato inoltre condannato anche in relazione al porto abusivo dell’arma clandestina e delle munizioni meglio indicate al capo 2).
La ricostruzione fattuale – dettagliatamente esposta nella sentenza di pri grado sulla scorta degli elementi acquisiti al fascicolo del Pubblico Ministero proceduto con rito abbreviato), e ripresa senza sostanziali rilievi nella deci oggetto degli odierni ricorsi – verrà in sintesi richiamata nel paragrafo segue tuttavia opportuno evidenziare, sin d’ora, che le risultanze probatorie concern il capo 1) sono state oggetto di letture radicalmente differenti, da parte d giudici di merito, per ciò che riguarda la posizione del COGNOME ed il ruolo da ques effettivamente svolto nella vicenda.
La Corte milanese, infatti, ha ritenuto di poter confermare la decisione condanna del COGNOME, per il reato di cui agli artt. 73 e 80 d.P.R. n. 309 del 19 in forza di un percorso argomentativo che ha preso esplicitamente le distanze quello del G.i.p., essendo imperniato – a differenza di quanto ritenut quest’ultimo – sull’attendibilità della versione offerta dal predetto imputato di interrogatorio (sulla quale cfr. infra, § 3): un percorso che peraltro – ad avviso di questo Collegio – non resiste alle censure di manifesta illogicità formulate difesa ricorrente con riferimento al capo 1).
Dalla sentenza di primo grado (pag. 3 segg.), emerge in sintesi: che in da 12/04/2022 gli operanti, già allertati circa l’imminente consegna di stupefac in una piazza di Ossona da parte di un soggetto che ivi si sarebbe recato da Reg Emilia, viaggiando a bordo di una Ford Fiesta bordeaux, organizzarono un servizio mirato di o.c.p.; che venne in tal modo accertato l’arrivo in Ossona di un’aut quel modello e colore, guidata da un soggetto successivamente identificato per COGNOME, il quale, sceso dall’auto, incontrò altra persona con la quale risalì dopo
minuti a bordo della vettura; che i due raggiunsero INDIRIZZO, dove il secondo uomo scese dall’auto ed aprì con le chiavi un cancello, risalendo poi a bordo della vettura, che percorse la rampa verso il box; che all’interno del cancello si introdusse subito dopo anche un altro individuo, successivamente identificato per il COGNOME, il quale ridiscese anch’egli lungo la rampa; che gli operanti, poco dopo, percorsero la medesima rampa trovando, accanto alla Ford Fiesta, il COGNOME e l’uomo salito a bordo in piazza, vicini ad un borsone nero contenente i nove chili di cocaina posto a terra, accanto alla portiera dell’auto leggermente aperta; che i due, alla vista degli operanti, si diedero alla fuga, ma mentre il soggetto salito in auto con il SULA riuscì a far perdere le proprie tracce scavalcando un muretto, il MAMO venne bloccato dopo un breve inseguimento, durante il quale provò a disfarsi di una pistola carica e priva di matricola, gettata in terra ma subito dopo recuperata dagli operanti; che la perquisizione dell’auto consentì di rinvenire il SULA, chiuso nel bagagliaio e ferito alla testa, il quale riferì di essere stato colpito al capo, con un oggetto metallico, da un individuo comparso alle sue spalle.
Sempre dalla sentenza di primo grado, emerge che i due odierni ricorrenti, in sede di interrogatorio di convalida, avevano proclamato la loro totale estraneità all’ingente quantitativo di cocaina contenuto nel borsone rinvenuto nei pressi della Ford Fiesta.
In particolare, il SULA (pag. 10 della sentenza) aveva affermato di aver accolto la richiesta di un parente della propria fidanzata NOME (tale NOMECOGNOME, il quale – dall’Albania – gli aveva chiesto di “andare a incontrare un tipo, senza essere più preciso; sono andato, questo tipo mi ha portato in un garage; subito mi ha chiesto dove erano i soldi, sento dei passi da dietro, e mi arriva un colpo in testa e da lì non ricordo niente; non so niente di questa storia”. Il SULA ha ulteriormente precisato di non aver avuto con sé alcun borsone, ma di essersi recato sul posto indicatogli dal COGNOME con la Ford Fiesta intestata al padre della propria nipote, la quale aveva viaggiato con lui ma era scesa dall’auto all’arrivo nella piazza di Ossona (egli l’avrebbe ripresa subito dopo l’incontro), ribadendo altresì che il COGNOME non gli aveva detto “cosa avrei dovuto fare, ma io sono andato lo stesso”.
Dal canto proprio, il COGNOME (pag. 9 seg. della sentenza di primo grado) ha affermato di essere arrivato in Italia dall’Albania dodici giorni prima dell’arresto, trovandosi in una difficile sistuazione economica. Tramite un contatto albanese, gli era stato proposto “un lavoro consistente nel rubare i soldi a un ragazzo che sarebbe venuto con una macchina rossa”, per il quale tale COGNOME incontrato il giorno prima, gli aveva consegnato una pistola: l’indomani egli si era recato nel garage come da intese, ed aveva visto “COGNOME che parlava con questo ragazzo, che apprendo chiamarsi COGNOME, il quale mi è saltato subito addosso, io avevo la pistola
in mano e con questa l’ho colpito sulla testa. Non so niente della droga, pensavo che si trattasse solo di soldi. Io avrei dovuto guadagnare 10.000 euro”. Il COGNOME ha ulteriormente precisato di non aver mai visto prima il COGNOME (autista della Ford), e di aver conosciuto tramite la propria fidanzata il COGNOME il quale aveva quantificato in 150/200.000 euro la somma che egli avrebbe dovuto rubare (cfr. pag. 10).
4. Il G.i.p. del Tribunale di Torino ha seccamente valutato le dichiarazioni dei due imputati, tendenti ad allontanare da sé ogni sospetto per il trasporto e la detenzione della cocaina, come “inverosimili”, dal momento che, dalle stesse, non era ricavabile “alcuna plausibile spiegazione lecita in merito alla loro presenza nei box” (cfr. pag. 12).
Ad avviso del primo giudice, le circostanze direttamente accertate dagli operanti consentivano di concludere nel senso che “il borsone, con lo stupefacente in esso contenuto, era stato appena scaricato dal veicolo a bordo del quale COGNOME è giunto nel paese di Ossona e che dunque COGNOME ha trasportato fino ad Ossona la suddetta sostanza stupefacente destinata a MAMO Flodian ed al soggetto trasportato dal SULA, che è riuscito a dileguarsi” (pag. 11 della sentenza di primo grado).
Tale ricostruzione risultava secondo il G.i.p. ulteriormente avvalorata, per un verso, dal fatto che il SULA aveva viaggiato in auto fino ad Ossona insieme alla nipote, che peraltro egli aveva “lasciato in un bar ad attenderlo, senza alcuna ragionevole motivazione diversa da quella di non far assistere la ragazza allo scambio, non risultando giustificata la presenza della ragazza in auto se non con l’intento dell’imputato di sviare eventuali sospetti e controlli da parte delle forz dell’ordine” (cfr. pag. 11, cit.).
Per altro verso, sono state adeguatamente valorizzate, da un lato, la denuncia e le successive dichiarazioni della COGNOME (peraltro qualificatasi come “ex fidanzata” del COGNOME) in ordine alle pressioni subite da un gruppo di trafficanti albanesi, i quali l’avevano contattata ritenendo il SULA responsabile della sparizione di un quantitativo di cocaina (parte del quale era stato oggetto del viaggio ad Ossona). D’altro lato, il G.i.p. ha anche evidenziato la valenza accusatoria delle conversazioni intercettate tra la NOME ed alcuni altri soggetti (diffusamente esaminate a pag. 8 seg. della sentenza), di tenore del tutto omogeneo alle dichiarazioni della donna.
Quanto al MAMO, il G.i.p. ha ritenuto che la sua responsabilità per il capo 1) fosse adeguatamente comprovata dal fatto di essere stato sorpreso dagli operanti – unitamente all’individuo che era salito in auto con il SULA, ed era poi riuscito a darsi alla fuga – accanto al borsone posto a terra, vicino all’auto utilizzata per i trasporto (cfr. pag. 12).
Per ciò che riguarda la sentenza d’appello, occorre tenere ben distint valutazioni espresse sulle posizioni dei due odierni ricorrenti.
5.1. Con riferimento alla posizione del SULA, la Corte territoriale pienamente condiviso le considerazioni svolte dal primo giudice, disattendendo i particolare – con diffuse argomentazioni svolte in base alla dinamica dei fatti r dagli operanti, e alla “scena finale” osservata al loro arrivo alla base della del garage – la prospettazione difensiva volta a sostenere che il borsone era a non già perchè appena scaricato dall’auto condotta dal SULA, ma perchè – a contrario – erano gli altri due soggetti ad essere in procinto di collocarlo a dopo aver chiuso il predetto ricorrente nel bagagliaio (cfr. pag. 12 seg.).
Sotto altro profilo, la Corte territoriale – ponendosi del tutto in linea sotto questo aspetto, con le valutazioni del primo giudice – ha individuato ( 16 seg.) un ulteriore, grave elemento di riscontro dell’ipotesi accusatoria min riferite nella denuncia sporta da NOME COGNOME (presentatasi come ex compagna del SULA), e nelle successive s.i.t. rese agli operanti, in ordine alle intimida minacce subite da parte di alcuni connazionali albanesi interessati a conosc l’ubicazione dell’ulteriore quantitativo di stupefacente che, a loro dire, er disponibilità dal SULA prima del suo arresto.
In particolare, la decisione della donna di sporgere una siffatta denuncia, ovvi rischi di gravi ritorsioni a proprio danno (oltre che con la prospettiva di e il SULA ad ulteriori conseguenze penali), è stata ritenuta anche dalla Co territoriale spiegabile solo con la serietà delle minacce subite, tali appu spingerla a rivolgersi alla Polizia per ottenere protezione per sé ed i propr una prospettazione che, del resto, aveva trovato piena conferma nel conversazioni intercettate tra la NDREKA ed altri soggetti, e risult perfettamente in linea con l’attribuzione al SULA del ruolo di trasportatore d cocaina fino ad Ossona.
5.2. Di segno marcatamente diverso sono state, come già in precedenza ricordato, le valutazioni espresse a proposito delle risultanze relative a ricorrente COGNOME
La Corte d’Appello ha infatti ritenuto di doversi parzialmente discostare da ricostruzione del primo giudice, ed ha valutato come “attendibili” le dichiaraz rese in sede di interrogatorio “circa la sussistenza di un tentativo di rapina ai di SULA da parte sia di COGNOME, sia del terzo soggetto non identificato perché fuggito” (cfr. pag. 18 seg. della sentenza impugnata).
Ad avviso della Corte milanese, peraltro, l’attendibilità delle dichiarazion COGNOME – riscontrata anche dalla mancanza di accenni al ricorrente nelle intercettazioni, circostanza ritenuta dimostrativa della sua estraneità al co
illecito di riferimento per il SULA (cfr. pag. 19) – non consentiva di pervenire a conclusioni diverse, e più favorevoli, rispetto a quelle raggiunte dal primo giudice.
La responsabilità anche del MAMO, per il reato di cui all’art. 73, è stata desunta dalla Corte d’Appello facendo leva sull’accordo stretto dal ricorrente con il terzo individuo per la commissione della rapina ai danni del SULA, dal momento che “tale piano ha necessariamente previsto e comportato l’effettivo trasporto del borsone, oggettivamente contenente la sostanza stupefacente, a bordo dell’autovettura di SULA, poiché la rapina era programmata, sin dall’inizio, all’interno della rimessa seminterrata. Dunque, attraverso tale accordo RAGIONE_SOCIALE ha scientemente aderito a tutti gli aspetti realizzativi del piano architettato al fine concludere l’aggressione ai danni di SULA, e si è reso così concorrente ai sensi dell’articolo 110 cod. pen. nel trasporto della cocaina oggettivamente contenuta nel borsone presente a bordo dell’automobile del predetto; trasporto materialmente eseguito dal coimputato SULA con il supporto agevolativo e rafforzativo dell’ignoto, che lo accompagnava quale passeggero” (cfr. pag. 19 della sentenza impugnata).
Con specifico riguardo all’elemento soggettivo del reato di cui al capo 1), la Corte d’Appello ha ritenuto di poter desumere la consapevolezza, in capo al MAMO, del fatto che il borsone contenesse droga e non danaro, da massime di esperienza che rendevano “a dir poco illogico” l’utilizzo di un mezzo altamente pericoloso per gli stessi rapinatori, come una pistola clandestina, “per sottrarre del semplice denaro ad un uomo come COGNOME“, che al momento dei fatti era da solo contro due malviventi, e senza via di uscita. In altri termini, quella scelta operativa er “spiegabile solo con la logica premessa che MAMO sapesse che la propria vittima era capace di reazioni forti, se non violente, potenzialmente anch’egli armato”, e con l'”altissimo valore del bene da sottrarre”. Ulteriore conseguenza sul piano logico, derivante da tale consapevolezza, è stata individuata dalla Corte territoriale nel fatto “che MAMO non poteva non essere stato messo al corrente che il soggetto da rapinare, SULA appunto, agiva per conto di un gruppo criminale strutturato, come si è appunto visto essere quello che ha chiesto conto della droga da lui detenuta alla sua famiglia e alla sua ex compagna, tramite intimidazione” (cfr. pag. 20 della sentenza impugnata).
Tali considerazioni, tra l’altro, consentivano per la Corte d’Appello di spiegare anche il luogo scelto per la rapina, dal momento che – se si fosse solo inteso sottrarre del danaro – sarebbe stata privilegiata la possibilità di una via di fuga agevole in spazi aperti, senza rischi di “confinarsi in un luogo chiuso e angusto come un’autorimessa seminterrata con la propria vittima” (cfr. pag. 21). La scelta di un luogo così insidioso, per la Corte territoriale, trovava invece agevole spiegazione nella consapevolezza, in capo ai malviventi, “che l’oggetto del proprio
furto era un bene illecito, che essi per primi avevano interesse a non sottrarre in presenza di possibili osservatori” (pag. 22).
La marcata diversità dei percorsi argomentativi tracciati dalla Corte territoriale, per giungere alla conferma della condanna di entrambi i ricorrenti per il reato di cui al capo 1), implica conseguenze di non minore rilievo, nella valutazione delle censure difensive.
6.1. Il ricorso del SULA è inammissibile.
6.1.1. Per ciò che riguarda le doglianze in punto di responsabilità, il motivo presenta connotazioni reiterative ed attinenti al merito, oltre a risultare privo di un adeguato confronto con le concordi valutazioni contenute nelle sentenze di primo e di secondo grado (che in questa sede devono essere oggetto di una valutazione congiunta, secondo i noti principi in tema di “doppia conforme”).
La difesa prospetta una diversa lettura delle risultanze acquisite, stando alla quale il SULA si sarebbe recato ad Ossona in auto con la nipote senza portare alcun borsone, ma solo al fine di incontrare una persona “in un paesino” come richiestogli da un connazionale, senza peraltro conoscere neppure le ragioni di tale richiesta.
Si tratta di una ricostruzione che, per un verso, i giudici di merito hanno tutt’altro che illogicamente ritenuto inverosimile,. anche perché del tutto inidonea a spiegare la ragione per la quale il SULA avrebbe dovuto accettare – beninteso dopo aver lasciato a terra la nipote, una volta giunti ad Ossona – di proseguire in auto, con lo sconosciuto salito a bordo, nella zona box privata dove venne aggredito e poi chiuso all’interno del bagagliaio, prima di essere ritrovato dagli operanti.
Per altro verso, la difesa evita qualsiasi adeguato confronto con la contraria ricostruzione validata dai giudici di merito, stando alla quale il SULA si recò ad Ossona in auto per la consegna dell’ingente quantitativo di cocaina contenuto nel borsone. Una ricostruzione che non solo appare perfettamente in linea con la piattaforma investigativa su cui gli operanti si erano basati per monitorare l’intera vicenda (cfr. supra, § 2), ma che risulta anche poderosamente riscontrata dalle risultanze captative, più volte ricordate, e soprattutto dalla eloquente decisione della compagna o ex compagna del SULA di rivolgersi alla Polizia, per sfuggire alle pressioni dei connazionali albanesi intenzionati a recuperare lo stupefacente di cui il SULA disponeva prima dell’arresto (cfr. supra, 4).
A fronte di tale univoco compendio, la difesa si è limitata a lamentare il carattere meramente indiziario degli elementi acquisiti, e a sostenere apoditticamente la loro compatibilità con la ricostruzione difensiva.
6.1.2. Ad analoghe conclusioni di inammissibilità deve pervenirsi in relazione al motivo volto a contestare la configurabilità dell’aggravante dell’ingente quantità,
sostenendo che il SULA, se ne fosse stato a conoscenza, non avrebbe corso il rischio di portare con sé la nipote fino ad Ossona.
Al di là di ogni considerazione sulla intrinseca inconsistenza della prospettazione difensiva (che non spiega le ragioni per cui si dovrebbe immaginare, ai sensi e per gli effetti di cui al secondo comma dell’art. 59 cod. pen., una incolpevole ignoranza del SULA circa il contenuto del borsone da lui stesso trasportato fino ad Ossona), deve osservarsi che le valutazioni dei giudici di merito sulle reali ragioni della presenza in auto anche della nipote del ricorrente (al fine cioè di rendere meno sospetta la trasferta ed evitare controlli lungo il tragitto: cfr. pag. 11 della sentenza di primo grado, pag. 25 della sentenza impugnata) appaiono del tutto immuni da censure deducibili in questa sede, e soprattutto ricevono – anch’esse – un formidabile riscontro dalle dichiarazioni della COGNOME, secondo la quale la sorella del SULA era molto adirata con quest’ultimo, il quale aveva chiesto a sua figlia (nipote del ricorrente) di accompagnarlo da Reggio Emilia fino ad Ossona ma, all’arrivo, l’aveva fatta scendere invitandola ad aspettarlo in un bar, dove la ragazza era rimasta fino alla tarda serata, quando chiamò a casa per farsi venire a prendere (cfr. pag. 8 della sentenza di primo grado).
.6.1.3. Manifestamente infondata, oltre che reiterativa, risulta la residua censura.
A differenza di quanto dedotto in ricorso, la Corte territoriale ha adeguatamente motivato il diniego delle attenuanti generiche, prendendo posizione anche sugli aspetti valorizzati dalla difesa: evidenziando in particolare, da un lato, che il legittimo esercizio del diritto di difesa, non connotato da atteggiamenti collaborativi, non poteva in sé considerarsi meritevole di valutazioni premiali; d’altro lato, ponendo in rilievo il fatto che il radicamento in Italia SULA non risultava connotato dall’inserimento in contesti lavorativi leciti, essendo al contrario emersa la vicinanza ad ambienti significativamente dediti al narcotraffico (cfr. pag. 28 della sentenza impugnata).
6.2. Come già accennato, la posizione del MAMO impone una serie di differenti considerazioni.
6.2.1. Privo di consistenza appare il motivo di ricorso volto a contestare la qualificazione giuridica del reato ascritto al capo 2) della rubrica.
La fondatezza dell’imputazione di porto di arma clandestina è invero pacificamente emersa dalla concorde ricostruzione offerta dai giudici di merito sulla scorta, anzitutto, di quanto riferito dagli operanti in ordine al fatto che COGNOME, durante il tentativo di fuga, si era disfatto della pistola priva di matricola in suo possesso, successivamente recuperata; inoltre, è stato lo stesso ricorrente,
in sede di interrogatorio, ad ammettere di aver colpito il SULA con il calcio della pistola (cfr. supra, § 3).
6.2.2. A diverse conclusioni deve pervenirsi per ciò che riguarda le censure formulate quanto alla residua imputazione, in relazione alla quale il MAMO si è difeso proclamandosi estraneo allo stupefacente, avendo egli avuto solo l’intenzione di impossessarsi dell’ingente somma di danaro alla persona che, secondo quanto riferitogli da “NOME“, conosciuto grazie a “NOME“, sarebbe arrivata “con una macchina rossa” (cfr. le dichiarazioni del MAMO riportate a pag. 9 della sentenza impugnata).
Come già più volte accennato, le dichiarazioni del COGNOME circa la sussistenza di un tentativo di rapina sono state ritenute attendibili dalla Corte territoriale esplicitamente discostatasi, sul punto, dalla ricostruzione del giudice di primo grado (cfr. pag. 18 seg. della sentenza impugnata).
Non spetta ovviamente a questa Suprema Corte entrare nel merito di tale differente valutazione, né tanto meno sovrapporre un proprio apprezzamento a quello espresso nella sentenza impugnata.
Quel che invece deve rilevarsi è la fondatezza dei rilievi di illogicità e contraddittorietà formulati dalla difesa rispetto al percorso argomentativo che la Corte d’Appello ha sviluppato prendendo le mosse da tale valutazione di attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, il quale – si ripete – aveva esclu qualsiasi proprio coinvolgimento nella detenzione della cocaina, essendo egli intenzionato a rubare il danaro detenuto dalla persona giunta in auto.
Anziché convalidare la ben più semplice e lineare ricostruzione operata dal G.i.p. – che aveva individuato nel MAMO e nel terzo ignoto i destinatari della cocaina, e che aveva sottolineato l’intrinseca inverosimiglianza delle dichiarazioni dei ricorrenti, del tutto inidonee a spiegare la loro contemporanea presenza nei pressi del box privato (cfr. supra, § 4) – la Corte d’Appello ha ritenuto di credere alla versione del tentativo di furto o di rapina. Peraltro, le ovvie difficoltà derivan da tale impostazione, quanto alla possibilità di tener ferma la concorrente responsabilità del MAMO nel trasporto e nella detenzione della cocaina, sono state superate sostituendo, sic et simpliciter, l’oggetto del dolo prospettato dal ricorrente (il danaro) con la sostanza stupefacente, e concludendo senz’altro per la piena consapevolezza, in capo al MAMO, del contenuto del borsone trovato accanto a quello del SULA.
Si tratta di un’operazione interpretativa che presenta connotazioni congetturali quanto contorte.
Come emerge chiaramente dai passaggi motivazionali in precedenza riportati (cfr. supra, § 5.2), viene infatti ipotizzata, nella più totale totale assenza di supporti dimostrativi, sia l’esistenza di un previo accordo, tra il MAMO e il terzo
ignoto, per compiere la rapina all’interno della rimessa seminterrata del borsone “contenente oggettivamente sostanza stupefacente”, sia l’esistenza di un’opera persuasiva-istigatoria (ma non priva di connotazioni truffaldine), da parte del terzo nei confronti del SULA, al fine di convincerlo a portare un carico inestimabile di droga fino al garage di Ossona, sia la piena adesione del MAMO ad ogni aspetto di tale piano criminoso, con conseguente sua corresponsabilità per il trasporto della cocaina ai sensi dell’art. 110 cod. pen.
Appaiono del tutto evidenti, ad avviso di questo Collegio, sia lo stravolgimento delle dichiarazioni del MAMO (pur esplicitamente ritenute attendibili), sia la forzatura insita nelle modalità ricostruttive dell’elemento soggettivo del reato in contestazione: criticità che la Corte territoriale ha ritenuto di poter superare con riferimenti all’uso della pistola e alla scelta del luogo che, per un verso, appaiono del tutto generici e privi della valenza dimostrativa auspicata.
Per altro verso, tali riferimenti risultano del tutto inidonei a giustificare condotta del SULA, che nella prospettiva fatta propria del G.i.p. risulta pienamente lineare (essendosi egli impegnato nel viaggio per la consegna ai destinatari di un rilevantissimo quantitativo di cocaina, evidentemente già concordata, avendo cura di portare con sé la nipote per non dare sospetti), mentre – nell’ottica della Corte territoriale volta ad escludere una consegna concordata tra il SULA e gli altri due – si sarebbe fatto convincere (non si sa con quali argomenti) dal terzo ignoto, e “indirettamente” anche dal MAMO, a recarsi a Ossona portando con sé il preziosissimo carico, e ad accettare anche di recarsi nel garage senza cautele di sorta, subendo la rapina e dando così luogo alle temibili rimostranze dei connazionali albanesi, entrati in contatto con la COGNOME dopo il suo arresto.
È appena il caso di porre in evidenza, conclusivamente, che a tali discrasie motivazionali non può rimediarsi facendo leva sulle linee argomentative sviluppate dal G.i.p., avendo questa Suprema Corte chiarito che «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza d appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando í giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione» (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01). Ed è superfluo evidenziare, alla luce di quanto precede, che tali presupposti di omogeneità valutativa ed argomentativa nelle due decisioni appaiono, quanto alla responsabilità del MAMO per il capo 1), del tutto insussistenti.
7. Le considerazioni fin qui svolte consentono di ritenere assorbite le ulteriori censure proposte nell’interesse del MAMO ed impongono, nei suoi confronti,
l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al capo 1), con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano per nuovo giudizio (oltre che per rideterminazione del trattamento sanzionatorio per il reato di cui al cap valutato come reato satellite), e la declaratoria di inammissibilità del ricor resto.
Analoga declaratoria deve essere adottata con riferimento alla posizione de SULA, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitamente al capo 1) dell’imputazione, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello Milano. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di NOME COGNOME. Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 5 marzo 2025