Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 52122 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 5 Num. 52122 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/12/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SANTERAMO IN COLLE il 29/03/1952
avverso la sentenza del 12/10/2018 della CORTE APPELLO di POTENZA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Uditi in pubblica udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso e, per il ricorrente, l’avv. NOME COGNOME in sostituzio dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata il 12/10/2018, la Corte di appello di Potenza, per quanto è qui di interesse, ha confermato la sentenza del 16/07/2014 con la quale il Tribunale di Matera, sempre per quanto è qui di interesse, aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile, in concorso con NOME COGNOME e quali cogestori di fatto della ditta individuale NOME COGNOME, dichiarata fallita in da 08/03/2006, dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (per aver
totalmente distratto í beni acquistati negli anni 2004 e 2006 da vari soggetti per un valore complessivo di circa 343 mila euro e pagati a mezzo di assegni bancari privi di copertura ovvero a mezzo di assegni “clonati”) e di bancarotta fraudolenta documentale, condannandolo alla pena di giustizia e alle pene accessorie di cui all’ultimo comma dell’art. 216 I. fall.
2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Potenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME attraverso il difensore avv. NOME COGNOME articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine all’imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale. La Corte di appello non ha dato adeguata risposta alle censure proposte con il gravame tese ad escludere il ruolo gestorio attribuito all’imputato sulla base di plurimi rilievi: la teste COGNOME ha riferito di aver ricevuto indicazioni e dir sull’attività da svolgere solo da Cotugno; anche il curatore non era mai venuto a conoscenza dell’imputato, così come NOME COGNOME che pur avendo riconosciuto in foto COGNOME, ha riferito che le contrattazioni per la vendita della merce eran intervenute solo con COGNOME; la stessa deposizione di COGNOME, in ragione della sua intrinseca inattendibilità, non era stata immune da censure, tanto che aveva perfino negato di conoscere la sua segretaria, aveva affermato di aver assunto COGNOME (in ciò smentito dagli accertamenti presso l’INPS) e aveva cambiato la sua versione in ordine ai ruolo di COGNOME e di COGNOME; la qualità e la significatività dichiarazioni del M.NOME COGNOME che aveva fatto riferimento ad alt procedimento riguardante COGNOME e COGNOME le cui posizioni non potevano comunque essere equiparate, essendo il secondo il “ragioniere” che collaborò alla stipula del contratto di locazione e al conseguente pagamento dei canoni quale formale dipendente della ditta. La Corte di appello ha motivato in modo apodittico a fronte delle specifiche doglianze, ritenendo che gli elementi valorizzati dalla sentenza di primo grado non fossero stati sconfessati, laddove, pur apparentemente numerosi, gli elementi evidenziati dai giudici di merito non risultano espressivi in modo inequivoco del dato da accertare (la presenza dei due imputati in azienda non giustificata da un rapporto di lavoro subordinato, che, con riguardo al ricorrente, non può dirsi espressiva dell’esercizio di fatto d poteri gestori), non direttamente riferibili alla posizione di Dimita (la stipulazi del contratto di affitto da parte dì COGNOME), oggetto di un vero e prop travisamento delle prove (l’individuazione di COGNOME e COGNOME quali acquirenti delle merci fornite alla ditta COGNOME, tanto che lo stesso pubblico ministero all’udienza del 06/11/2013 aveva sollecitato l’esame . 507 cod. proc. pen. ex art di cinque testi, per due dei quali – Putignano e Sormani – furono acquisiti i Corte di Cassazione – copia non ufficiale
verbali di sommarie informazioni dai quali non risultano riconoscimenti fotografici o individuazioni di COGNOME, mentre il teste COGNOME non ha fatto riferimento al ricorrente, il teste NOME COGNOME non ha riconosciuto l’imputato e il teste NOME COGNOME è stato del tutto generico, non individuando COGNOME quale contraente per conto di Cotugno), inconferenti rispetto alla prospettata condotta concorsuale del ricorrente (l’estraneità dei beni acquistati all’oggetto sociale dell fallita) e del tutto generici (la pendenza di un procedimento penale nel quale era stato acclarato che entrambi gli imputati avevano rilevato aziende decotte poi condotte al fallimento). Nessuno dei testi ha individuato COGNOME quale contraente in nome e per conto della ditta COGNOME, laddove il giudice di primo grado è incorso in un equivoco circa la dichiarazioni del COGNOME, che aveva distinto tr riconoscimento fotografico di individui da parte dei fornitori e indicazione dell persone presenti alle contrattazioni, sicché neppure da tale testimonianza si è potuto apprendere che l’imputato aveva contrattato l’acquisto della merce. Quanto alle dichiarazioni del coimputato COGNOME, la Corte di appello non ha risposto alle censure dedotte con il gravame con riferimento all’attendibilità intrinseca, alle rilevanti discrasie del narrato e alla penuria di elementi riscontro, tale non potendosi considerare la presenza nei locali della ditta alla luce delle dichiarazioni di NOME COGNOME e di COGNOME.
2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine all’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale. Anche su tale capo, la motivazione della Corte di appello è apodittica, non considerando la sua autonomia rispetto alla bancarotta patrimoniale, non essendo stato acquisito alcun elemento sul ruolo concorsuale dì Dimita. La Corte di appello ha travisato la prova disattendendo le dichiarazioni di COGNOME, secondo cui la denuncia di furto della documentazione è stata da lui solo decisa senza alcun coinvolgimento di altri soggetti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere accolto, nei termini di seguito indicati.
2. In premessa, mette conto sottolineare che già la Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di rito rilevava come la mancanza di motivazione debba essere intesa non solo in senso materiale o grafico, ossia come «totale mancanza della parte espositiva delle ragioni della decisione», ma anche quale «mancanza di singoli momenti esplicativi, sempre però che questi siano ineliminabili nel rapporto tra i temi sui quali si doveva esercitare il giudizio contenuto di questo». In questa prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha delimitato il campo in cui assume rilievo il vizio di mancanza di motivazione
rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. chiamando in causa, principalmente, il rapporto tra la motivazione del giudice di appello e le censure ritualmente proposte con l’impugnazione, atteggiandosi, così, a presidio del devolutum: del tutto consolidato, nella prospettiva indicata, è il principio d diritto in forza del quale sussiste il vizio di mancanza di motivazione, ex art. 606 comma 1, lett. e), cod. proc. pen., quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività (Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 – dep. 2014, Dall’Agnola, Rv. 257967; conf. Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129), requisito, questo della decisività, inteso dalla giurisprudenza di legittimità come «potenziale capacità dimostrativa della insussistenza delle contestazioni» rivestita dalla deduzione difensiva rispetto alla quale viene denunciata la mancanza di motivazione (Sez. 6, n. 35918 del 17/06/2009, COGNOME, Rv. 244763, in motivazione).
3. La Corte distrettuale non ha fatto buon governo dei princìpi di diritto richiamati.
L’atto di appello proposto nell’interesse di Dímíta, invero, aveva innanzitutto articolato una serie di doglianze sull’attendibilità delle dichiarazioni re dall’amministratore di diritto COGNOME, richiamando una serie di elementi dedotti come dimostrativi dell’inaffidabilità di quanto dallo stesso riferito. La Corte appello richiama la tesi secondo cui COGNOME, dopo essere caduto in depressione, avrebbe affidato la gestione della ditta a Dimita, sottraendosi, tuttavia, al disamina delle censure proposte dall’appellante.
La Corte distrettuale si sofferma poi su una serie di elementi ritenuti dimostrativi del ruolo gestorio svolto di fatto dal ricorrente e, tra l’a sull’individuazione di COGNOME – nonché di un coimputato – quale acquirente delle merci fornite alla ditta di Cotugno e che risultavano non pagate, non erano state rinvenute in sede di inventario ed erano estranee all’oggetto dell’impresa. Sul punto, l’atto di appello aveva dedotto che dei dieci fornitori sentiti dalla Guard di Finanza solo quattro avevano riconosciuto COGNOME e che uno di essi, ossia NOME COGNOME aveva riferito che la trattativa era intercorsa con il solo COGNOME: anche sul punto le censure dell’appellante, all’evidenza significative al fine di da conto di un apprezzabile ruolo gestori° svolto dall’imputato, sono state del tutto obliterate dal giudice di appello.
La Corte di appello ha poì richiamato – oltre alla stipula dell’affitto effettu dal coimputato la presenza all’interno dell’azienda di cui era titolare COGNOME, senza che fosse giustificata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. L’atto di appello aveva richiamato quanto riferito dalla teste COGNOME segretari
dell’azienda di Cotugno, che, secondo l’appellante, aveva sì riferit presenza in azienda dell’imputato, ma aveva precisato di aver ricevuto diret indicazioni solo da Cotugno: il dato, rilevante al fine di attribuire significativa alla presenza di COGNOME in azienda nel senso prospettato dall’a non è stato preso in considerazione dal giudice di appello.
La sentenza impugnata richiama poi la pendenza di un procedimento nel quale i due imputati avevano assunto la gestione di fatto di imprese decott il riferimento è del tutto generico, oltre che non correlato all’indicazione d del procedimento. D’altra parte, diversamente da quanto sostenuto da sentenza impugnata, l’appello nell’interesse di COGNOME aveva proposto cens anche in merito all’imputazione di bancarotta documentale, segnalando come sentenza di primo grado avesse collegato l’affermazione di responsabilità per capo a quella relativa alla bancarotta patrimoniale.
4. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata deve annullata confronti di COGNOME NOME con rinvio per nuovo esame alla competente Corte di appello di Salerno.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d appello di Salerno.
Così deciso il 13/12/2019.