Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36344 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36344 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 30/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro nei confronti di:
COGNOME NOME, nato a Rossano il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a Rossano il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato in Argentina il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato in Argentina il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Cariati il DATA_NASCITA (deceduto);
COGNOME NOME, nato a Rossano il DATA_NASCITA nonché sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Rossano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Rossano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 24/09/2024 dalla Corte d’Appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME
COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore dei ricorrenti COGNOME e COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
uditi i difensori degli altri imputati, AVV_NOTAIO COGNOME (per COGNOME NOME) e AVV_NOTAIO (per COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME), che hanno concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso del P.G.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13/12/2017, il G.u.p. del Tribunale di Catanzaro – per quanto qui specificamente rileva – condannava alla pena di giustizia COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME in relazione (come meglio rispettivamente specificato in rubrica) alla loro partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE finalizzata al narcotraffico di cui al capo A). Il G.u.p. condannava altresì alcuni dei predetti imputati in relazione ai reati di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, ascritti al COGNOME (capi F, G, H, I, J, K, L, M, N,0), al COGNOME (capi C, D) e all’COGNOME (capo C).
In parziale accoglimento dei gravami proposti, la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 10/06/2019, dichiarava non doversi procedere nei confronti del COGNOME in ordine ai reati satellite a lui ascritti, essendo gli stessi estinti per prescrizione, e rideterminava la pena anche nei confronti del COGNOME, dell’COGNOME e del COGNOME, previa concessione di attenuanti generiche, confermando la sentenza impugnata quanto agli altri odierni ricorrenti.
Tale decisione veniva parzialmente riformata da questa Sezione della Suprema Corte, con sentenza n. 15304 del 25/01/2021. In particolare, veniva annullata senza rinvio la condanna dell’COGNOME e del COGNOME in ordine ai reati satellite loro ascritti, ormai estinti per prescrizione; inoltre, la condanna di tutti g odierni ricorrenti veniva annullata limitatamente al reato associativo di cui al capo A), con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Catanzaro.
In sede di rinvio quest’ultima, con sentenza del 26/01/2022, assolveva tutti i predetti imputati dal reato associativo per non aver commesso il fatto.
Tale decisione veniva integralmente annullata dalla Quarta Sezione di questa Suprema Corte, con sentenza n. 5406 del 02/12/2022, dep. 2013, con rinvio ad altra Sezione della Corte calabrese.
All’esito dell’ulteriore giudizio di rinvio, la Corte d’Appello ha nuovamente assolto dal reato sub A) i quattro fratelli COGNOME, il COGNOME ed il COGNOME (quest’ultimo, decèduto prima della sentenza, ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod.
proc. pen.); quanto all’COGNOME ed al COGNOME, ha ridotto il trattamento sanzionatorio, confermando nel resto la sentenza di primo grado (ovvero limitatamente alla residua imputazione di cui al capo A).
Avverso tale sentenza, nella parte in cui ha nuovamente assolto gli imputati (diversi dall’COGNOME e al COGNOME) dal reato associativo, propone ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, deducendo:
2.1. Violazione di legge con riferimento alla mancata valutazione, ai sensi dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, degli episodi di cessione di sostanza stupefacente emersi a carico dei COGNOME e del COGNOME: episodi che, pur ritenuti inidonei a fondare la responsabilità dei predetti per il reato associativo, non potevano ritenersi penalmente irrilevanti. Al riguardo, il ricorrente deduce che la mancata contestazione di tali reati, con autonomi capi di imputazione, non poteva ritenersi ostativa alla diversa e meno grave qualificazione giuridica prospettata.
‘ 2.2. Violazione di legge con riferimento alla mancata valutazione, quanto alla responsabilità del COGNOME per la partecipazione al sodalizio di cui al capo A), di tutti i fatti di reato ormai estinti per prescrizione: in particolare, del condotte di cui ai capi M) e L), avendo la Corte territoriale ritenuto utili solo i fatt di reato di cui ai capi N), K), e O).
Al riguardo, il ricorrente ripercorre le risultanze emerse in ordine alle predette due imputazioni asseritamente trascurate, valorizzando il ruolo di custode dello stupefacente svolto dal COGNOME, uomo di fiducia del COGNOME (soggetto posto in posizione apicale nell’RAGIONE_SOCIALE, ed ormai irrevocabilmente condannato).
Ricorrono per cassazione con unico atto il COGNOME e l’COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
3.1. Violazione di legge con riferimento alla illegittima reiterazione di percorsi argomentativi già tracciati nella sentenza oggetto del primo annullamento, e al travisamento di alcune prove. Si evidenzia che, nella seconda sentenza rescindente (che aveva annullato l’assoluzione di tutti gli imputati), era stata sottolineata la mancanza degli approfondimenti richiesti dalla prima sentenza di annullamento, quanto all’incidenza delle condotte di cui ai reati prescritti sub C) e D), e delle ulteriori acquisizioni intervenute: mancanza che, ad avviso dei ricorrenti, ha connotato anche la sentenza oggi impugnata, limitatasi ad un ampio richiamo delle risultanze già scrutinate dalla sentenza del G.u.p. (anch’essa ampiamente riportata, per lo più letteralmente, nella quasi totalità del percorso argomentativo tracciato dalla Corte d’Appello). Si sottolinea quindi che, oltre ad essere connotata da un palese vizio motivazionale, la sentenza impugnata risulta aver violato l’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., avendo riaffermato la
responsabilità dei ricorrenti senza addurre elementi diversi da quelli già cassati nei giudizi di legittimità (che avevano ovviamente avuto ad oggetto il compendio argomentativo unitario costituente la “doppia conforme” di condanna).
In particolare, quanto ai rapporti complessivi con gli altri imputati, si censura tra l’altro: la immotivata valorizzazione, per le posizioni dei due ricorrenti, delle condotte di cui al capo B), alle quali essi erano pacificamente del tutto estranei (essendo emerso, a tutto concedere, la presenza del COGNOME in Rossano durante le trattative finalizzate al narcotraffico); la mancata dimostrazione del contestato ruolo di intermediari da parte del COGNOME e dell’COGNOME, essendo la Corte incorsa in un evidente vizio logico, nell’affermare circolarmente che il COGNOME aveva esigenza di schermare i propri rapporti con terzi a fini di occultamento dei traffici illeciti, riguardanti il narcotraffico perché intercorsi con COGNOME e COGNOME, e che di tale illecita realtà i ricorrenti erano consapevoli dato il loro ruolo d intermediari; l’ulteriore vizio logico insito nel valorizzare l’utilizzo del concessionaria di moto da parte del COGNOME e dei correi del capo B, per le loro condotte dell’aprile 2011 mai contestate ai ricorrenti, asserendo che anche gli incontri del COGNOME con questi ultimi, tenutisi nel maggio 2012 (e che comunque erano culminati nell’effettivo, comprovato acquisto di un motociclo), rientravano nel modus operandi del sodalizio; la mancata spiegazione del rilievo associativo attribuito, in termini apodittici, alle altre occasioni di contatto dei ricorrenti con COGNOME, monitorate nell’arco temporale di oltre un anno, intercorso tra i predetti episodi, senza che fossero mai emersi elementi di illiceità, anche considerando che – diversamente da quanto affermato in sentenza – i ricorrenti avevano avuto contatti con esponenti di vertice della RAGIONE_SOCIALE in due sole occasioni (luglio e dicembre 2011). A proposito di tali due episodi, la difesa evidenzia quanto al primo – l’estraneità del COGNOME al colloquio tra COGNOME, COGNOME e COGNOME, ed il fatto che il predetto ricorrente non aveva svolto alcuna funzione di intermediario (risultando irrilevante il fatto che l’COGNOME, trovandosi altrove, aveva invitato il COGNOME a rivolgersi al SANTOR0); quanto al secondo, cui l’COGNOME era comunque estraneo, risultava inesplicata la rilevanza del fatto che il COGNOME aveva incontrato il COGNOME presso il frantoio del COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In relazione al rilievo da attribuire in chiave associativa alle condotte sub C) e D), la difesa richiama le conclusioni liberatorie raggiunte dalla Corte territoriale quanto a tale ultimo reato. Quanto al capo C), si lamenta il mancato confronto con le censure difensive in ordine all’assenza di implicazioni associative a carico dei ricorrenti (mai nominati dai collaboratori di giustizia), lo scollamento della ricostruzione fattuale rispetto a quanto accertato anche dal G.u.p., nonché l’aver ignorato le indicazioni della sentenza rescindente.
La difesa lamenta poi – soprattutto nella prospettiva del necessario rafforzamento di una motivazione di condanna dopo una precedente assoluzione la mancata considerazione di quanto riferito dal collaboratore COGNOME (escusso in sede di rinnovazione istruttoria) in ordine al fatto di non conoscere l’COGNOME, pur essendo egli al vertice dell’RAGIONE_SOCIALE. Quanto alla posizione del COGNOME, la difesa censura la decisione della Corte di non consentire l’escussione sul punto dell’COGNOME, che comunque, nelle proprie precedenti dichiarazioni, aveva riferito di conoscere il ricorrente, ma di non essere a conoscenza di un suo coinvolgimento in vicende delittuose. Si evidenzia comunque che le immagini dei ricorrenti non figuravano tra quelle riconosciute dall’RAGIONE_SOCIALE in sede di sommarie informazioni.
3.2. Vizio di motivazione con riferimento alla violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Al riguardo, la difesa richiama il rigetto della richiesta di misura cautelare a suo tempo formulata nei confronti di entrambi i ricorrenti, l’esito incompatibile delle varie decisioni succedutesi nel corso del processo, l’esclusione delle condotte sub D) dal panorama probatorio, l’assenza di certe indicazioni accusatorie dall’analisi dei rapporti dei ricorrenti con gli altri sodali, n emergendo in particolare – a tale ultimo proposito – alcuna funzione di intermediazione dei contatti del COGNOME. Si evidenzia anche la violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., e si censura il ricorso all’argomento secondo cui i ricorrenti “non potevano non sapere” le ragioni dei viaggi del COGNOME e le esigenze di occultamento dei suoi rapporti. La difesa deduce che la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio era stata violata anche quanto all’accertamento del fatto, non essendo stata spiegata la ragione per cui il coinvolgimento nel capo C) dovrebbe rilevare in chiave associativa. Si richiamano infine i principi affermati dalle Sezioni Unite in tema di riforma di una sentenza assolutoria, e l’alternanza di valutazioni ed esiti decisori registrata sulla base dell’identico materiale probatorio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con memorie ritualmente trasmesse, i difensori di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, nonché del COGNOME, sollecitano una declaratoria di inammissibilità ovvero il rigetto del ricorso del P.G., proposto per motivi non consentiti e comunque manifestamente infondati, aventi inoltre (quanto al COGNOME) carattere reiterativo.
Con memorie tempestivamente trasmesse, il difensore degli imputati COGNOME, COGNOME e COGNOME insistono per la reiezione del ricorso del Procuratore Generale.
Con memoria trasmessa il 25/09/2025, il Procuratore Generale sollecita il rigetto di tutti i ricorsi, ritenendo l’infondatezza delle censure proposte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’odierno procedimento, ormai pendente per il solo reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (essendo tutti i reati satelliti già stati dichiarati estinti prescrizione) torna per la terza volta all’attenzione di questo Collegio, dal momento che anche la sentenza emessa dopo il secondo annullamento con rinvio – con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la condanna emessa in primo grado quanto ai soli COGNOME NOME e COGNOME NOME, assolvendo invece i fratelli COGNOME, il COGNOME ed il COGNOME dal reato associativo di cui al capo A – è stata oggetto di distinti ricorsi per cassazione, proposti rispettivamente dal difensore dell’COGNOME e del COGNOME (avverso la conferma della condanna), e dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro (avverso l’assoluzione dei predetti altri imputati).
La sentenza oggetto delle odierne impugnazioni ha preso le mosse da un punto fermo, essendo stato “accertato in via definitiva in ragione dell’irrevocabilità della sentenza di questa Corte di appello del 10/06/2019, che aveva operato in Rossano – sin dal 2003 – un’RAGIONE_SOCIALE dedita al narcotraffico, capeggiata da COGNOME NOME e COGNOME NOME e composta, tra gli altri, dal gioiese COGNOME NOME, che aveva ricoperto il ruolo di intermediario tra il gruppo dei rossanesi e gli acquirenti di stupefacenti residenti in altre regioni, tra cui COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, agendo al fine di assicurare forniture di stupefacente alla medesima RAGIONE_SOCIALE attraverso canali di approvvigionamento extra regionali” (pag. 24 della sentenza).
Come già accennato, la Corte territoriale è giunta a conclusioni divergenti quanto alla responsabilità degli altri imputati per il reato associativo, come rispettivamente contestata all’interno del capo A).
In particolare, da un lato, è stata ritenuta adeguatamente comprovata la responsabilità dell’COGNOME e del COGNOME (in relazione al loro ruolo di intermediari tra il COGNOME e il COGNOME, il COGNOME e il COGNOME, che gli odierni ricorrenti – secondo il capo di accusa – provvedevano ad allertare quando il COGNOME si recava a Rossano per ragioni di narcotraffico).
D’altro lato, la Corte d’Appello è pervenuta a conclusioni assolutorie analogamente alla precedente sentenza emessa in sede di rinvio – quanto alla partecipazione al sodalizio sia del COGNOME (tratto a giudizio quale custode dello stupefacente e uomo di fiducia del COGNOME, per conto del quale provvedeva alle cessioni), sia dei fratelli COGNOME e del COGNOME (cui era stato contestato il ruolo di spacciatori al dettaglio nella piazza RAGIONE_SOCIALE).
All’esame dei ricorsi, proposti avverso tali differenti epiloghi decisori, saranno dedicati i paragrafi seguenti.
Il ricorso del Procuratore Generale è inammissibile.
2.1. Per ciò che riguarda la posizione del COGNOME, deve osservarsi che il ricorso è affetto da originaria inammissibilità, risultando applicabile l’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal Pubblico Ministero avverso una sentenza di assoluzione, qualora l’imputato nelle more sia deceduto, non potendosi instaurare il contraddittorio tra le parti, con conseguente sopravvenuta carenza di legittimazione al gravame» (Sez. 6, n. 6427 de,I 04/01/2017, COGNOME, Rv. 269108 – 01).
2.2. Con riferimento alla posizione dei fratelli COGNOME, il ricorso è manifestamente infondato.
Nella prospettiva del P.G. ricorrente, si dovrebbe valorizzare, in questa fase e per la prima volta, quanto emerso nel corso dell’attività investigativa circa l’attività di spaccio a carico dei predetti imputati, nei cui confronti non era stata peraltro formulata – come esplicitamente riconosciuto dalla stessa Corte territoriale alcuna contestazione ai sensi dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (cfr. pag. 25 della sentenza impugnata).
Al riguardo, viene in rilievo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, secondo cui «non v’è correlazione tra accusa e sentenza ove il giudice, a fronte di un’imputazione di partecipazione ad un’RAGIONE_SOCIALE per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di ogni genere, pronunci condanna per il reato continuato di spaccio di sostanze stupefacenti, senza che nell’imputazione siano indicati nelle loro componenti fattuali e soggettive, sia pure sommariamente, i singoli episodi di spaccio, o di detenzione a fini di spaccio, specie se l’imputazione non contenga alcun riferimento alla commissione, ad opera dell’RAGIONE_SOCIALE, di alcuno dei reati fine» (Sez. 6, n. 7893 del 06/12/2017, dep. 2018, Mira, Rv. 272269 – 01).
Si tratta di un principio pianamente applicabile alla fattispecie in esame, nella quale gli episodi di spaccio evocati in ricorso non risultano minimamente contestati ai COGNOME nella stringata imputazione di cui al capo A), nel quale si fa riferimento ai predetti imputati (oltre che al COGNOME) quali soggetti “dediti tutti alla vendita a dettaglio, ossia allo spaccio sulla piazza RAGIONE_SOCIALE, alle dipendenze di COGNOME NOME e, dopo la cattura, di COGNOME NOME“.
Solo per completezza, si evidenzia che il ricorrente non ha fornito indicazioni di sorta idonee a far ritenere che gli episodi di spaccio, evocati in ricorso, configurassero reati non ancora prescritti: pur trattandosi di vicende coeve a quelle, già definite con declaratoria di intervenuta estinzione del reato, contestate nel presente giudizio agli altri imputati.
2.3. L’impugnazione del Procuratore Generale risulta inammissibile anche quanto alla posizione del COGNOME, perché,(mancanza di specificità: difettando un adeguato confronto, da parte del ricorrente, con il percorso argomentativo tracciato dalla sentenza impugnata.
Deve invero osservarsi, al riguardo, che la Corte d’Appello ha doverosamente preso in specifica e diffusa considerazione (pag. 31 segg.) le varie condotte
contestate al ricorrente ai sensi dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, nella prospettiva di una eventuale valorizzazione, in chiave associativa, delle condotte medesime (non essendo ovviamente ostativa, a tale indagine, la già dichiarata estinzione dei reati per intervenuta prescrizione).
All’esito di tale disamina, la Corte territoriale ha per un verso ritenuto fondate le censure difensive in ordine alla univocità e concludenza degli elementi acquisiti in ordine ai capi M), L), 3), F), G), H), I) della rubrica. Per altro verso, ha ritenu insufficienti, per la conferma della responsabilità del COGNOME quanto alla partecipazione al sodalizio, le sole condotte descritte ai residui capi K), N), O), consistenti in consegne di stupefacente su mandato del COGNOME concentrate nel solo mese di ottobre 2011; in assenza di risultanze captative o di altri elementi a carico, la Corte territoriale ha escluso che tali “rapporti esclusivi e limitati tempo (malgrado la ben più prolungata esistenza della RAGIONE_SOCIALE)” potessero fondare una conferma della condanna irrogata al COGNOME, in primo grado, per il reato di cui al capo A (cfr. pag. 35 della sentenza impugnata).
Al riguardo, il P.G. ricorrente ha sostenuto (pag. 5) che, nella valutazione che qui interessa, dovessero considerarsi anche i fatti di cui ai capi M) e L): tale prospettazione, peraltro, non è stata corredata da un adeguato confronto con il percorso argomentativo della sentenza impugnata, che ha ritenuto, quanto al capo M), non dimostrata la condotta di spaccio per conto del duo COGNOME – COGNOME (pag. 32), mentre – in ordine al capo L) – la ricostruzione fattuale contenuta in sentenza, a proposito delle conversazioni valorizzate, è stata considerata priva di tenuta logica (pag. 33).
Il ricorrente si è invero limitato, su tali aspetti, a riproporre il costr accusatorio in termini sostanzialmente reiterativi, senza tra l’altro affrontare i profilo della concentrazione temporale degli episodi (essendo anche quelli di cui ai capi M e L avvenuti nel mese di ottobre 2011). Tutto ciò impone di fare applicazione dell’indirizzo interpretativo, del tutto pacifico, secondo cui «è inammissibile il ricorso per cassazione nel caso in cui manchi la correlazione tra le ragioni poste a fondamento dalla decisione impugnata e quelle argomentate nell’atto di impugnazione, atteso che questo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato» (Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, Delle Fazio, Rv. 286468 – 01).
I ricorsi proposti dall’COGNOME e dal COGNOME sono fondati.
3.1. Nel confermare la condanna per il reato associativo, pronunciata nei confronti dei predetti dal G.u.p. del Tribunale di Catanzaro, la Corte d’Appello ha ritenuto (pag. 35 segg.) di poter superare i rilievi della prima sentenza rescindente (in sintesi, insufficienza degli elementi desumibili dai reati-satellite di cui ai capi e D; genericità del richiamo ai rapporti con gli altri sodali) con un percorso argomentativo volto, da un lato, a porre in una stretta correlazione il sequestro di hashish di cui al capo C), ascritto anche agli odierni ricorrenti e verificatosi in dat 16/05/2012, con il sequestro di marijuana di cui al capo B), risalente al
g
12/04/2011: correlazione ritenuta sussistente in ragione del modus operandi che accomunava le due vicende, nonostante l’COGNOME ed il COGNOME fossero estranei all’episodio sub B (a loro mai contestato).
D’altro lato, la Corte territoriale ha ritenuto ulteriormente indicativi, sostegno dell’ipotesi accusatoria, i contatti tenuti dai ricorrenti con il COGNOME, il COGNOME ed il COGNOME nel periodo (oltre un anno) intercorso tra il sequestro di droga di cui al capo B) e quello di cui al capo C) (cfr. pag. 36 segg. della sentenza impugnata).
3.2. Come già accennato nelle pagine dedicate alla sintesi dei motivi di ricorso, tale prospettazione è stata censurata dalla difesa dell’COGNOME e del COGNOME sotto una pluralità di profili.
In particolare, la difesa ha tra l’altro posto in rilievo: che la sentenza non aveva rispettato i “paletti” fissati dalla prima sentenza rescindente; che risultava manifestamente illogico valorizzare a carico dei ricorrenti, in chiave associativa, un episodio (il capo B) cui essi erano pacificamente del . tutto estranei; che altrettanto censurabile risultava la valorizzazione delle conversazioni intercorse tra i ricorrenti ed altri imputati nell’ampio arco temporale intercorso dall’aprile 2011 (capo B) al maggio 2012 (capo C), perché dai dialoghi in questione non era emerso alcun elemento di rilievo penale, o comunque idoneo a convalidare l’ipotesi accusatoria; che la piattaforma indiziaria presa in considerazione dalla sentenza impugnata risultava addirittura meno consistente di quella valorizzata dal giudice di primo grado, posto che gli elementi posti a sostegno del capo D (peraltro ascritto al solo COGNOME) si erano rivelati inconsistenti ad avviso della stessa Corte territoriale.
Ritiene peraltro il Collegio che una compiuta analisi volta a saggiare la capacità demolitoria di tali doglianze, rispetto al percorso argomentativo tracciato dalla sentenza impugnata, sia a ben vedere ultronea.
Appare invero preliminare ed assorbente l’assoluto silenzio della Corte territoriale rispetto ad un ulteriore elemento (anch’esso posto in rilievo dalla difesa ricorrente) di sicura valenza liberatoria.
Si allude all’assenza di qualsiasi confronto con quanto riferito dal collaboratore COGNOME NOME, il quale, escusso in sede di rinnovazione dibattimentale (disposta in accoglimento di una richiesta formulata dal P.G. con riferimento alle posizioni dei COGNOME e del COGNOME: cfr sul punto pag. 28 della sentenza), aveva testualmente affermato di non conoscere l’COGNOME (cfr. pag. 30 della sentenza e pag. 29 del ricorso, in cui si riporta la risposta testuale “non so chi è”).
Per ciò che riguarda il COGNOME, la difesa ha in questa sede fondatamente impugnato l’ordinanza della Corte territoriale che non aveva ammesso le domande rivolte all’RAGIONE_SOCIALE con riguardo al predetto ricorrente: è invero indubbio che il collaboratore, pur se convocato in sede di rinnovazione con specifico riferimento ad alcune posizioni, ben poteva essere destinatario di domande – se ammissibili e
rilevanti – relative ad altri imputati, soprattutto se la posizione di questi ultimi e già stata oggetto di sue pregresse dichiarazioni.
La questione appare peraltro priva di concreta rilevanza, appunto perché la difesa ha dedotto e documentalmente provato che, nel corso delle precedenti escussioni del collaboratore (allegate agli atti perché prodotte nel corso dei precedenti giudizi: cfr. all. 11 al ricorso), era stato chiesto se conoscesse il COGNOME: l’COGNOME aveva testualmente risposto “io conosco un COGNOME NOME che è il figlio di un titolare di un oleificio e che è amico di COGNOME NOME ma non mi risulta che fosse coinvolto in vicende di reato” (cfr. il brano riportato a pag. 30 del ricorso. Il riferimento all’oleificio consente di affermare con certezza che l’RAGIONE_SOCIALE si era riferito all’odierno ricorrente, pacificamente titolare di un frantoio come emerso a proposito del capo C).
3.3. La consistenza dell’omissione valutativa che connota la sentenza della Corte territoriale si coglie con immediatezza laddove si consideri, da un lato, la posizione pacificamente apicale rivestita dall’RAGIONE_SOCIALE nell’ambito del sodalizio investigato.
Di tale ruolo verticistico del ruolo rivestito dal dichiarante, prima dell’inizi della collaborazione, si ha un preciso riscontro sia nella struttura dell’RAGIONE_SOCIALE delineata nel capo A (nel definire i ruoli direttivi del COGNOME, del COGNOME, del COGNOME e del COGNOME, si precisa infatti che costoro erano “tutti deputati al management del narcotraffico per conto della cosca riconducibile ad COGNOME NOME“), sia nella motivazione della sentenza di primo grado (cfr. il brano riportato a pag. 41 della sentenza di appello, in cui si fa riferimento ad una “cosca RAGIONE_SOCIALE soggiogata all’autorità del capocosca COGNOME NOME), sia anche nelle argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 29 seg.).
D’altro lato, deve essere adeguatamente sottolineato il fatto che la Corte territoriale (pag. 29 seg.) non ha palesato alcun dubbio in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni rese dall’COGNOME in ordine alle posizioni cui si era riferita l richiesta di rinnovazione, evidenziando che il collaboratore aveva chiamato in correità il solo COGNOME NOME (dichiarazione peraltro non riscontrata da altri elementi), mentre aveva dichiarato di non conoscere gli altri fratelli sia fratelli COGNOME sia il COGNOME (circostanza ritenuta dirimente ai fini dell’assoluzione di questi ultimi: cfr. pag. 30 seg.).
Risulta allora di immediata evidenza il fatto che la Corte d’Appello, nello scrutinio della posizione dell’COGNOME e del COGNOME, avrebbe dovuto anzitutto confrontarsi con le dichiarazioni del collaboratore relative a questi ultimi: eventualmente esponendo le ragioni per le quali l’COGNOME dovrebbe in questo caso (e a differenza degli altri) essere ritenuto inattendibile, ovvero motivando adeguatamente la compatibilità di tali dichiarazioni con la conferma della condanna.
È poi appena il caso di porre in rilievo, a tale ultimo proposito, che la conferma della condanna dell’COGNOME e del COGNOME avrebbe dovuto affrontare e superare
la massima di esperienza secondo cui un soggetto in posizione apicale, nell’ambito di un sodalizio dedito al narcotraffico operante in una città come Rossano, potrebbe forse non avere piena contezza dei componenti della batteria di spacciatori al suo servizio, ma ben difficilmente potrebbe non conoscere affatto (COGNOME), ovvero non conoscere le attività delittuose (COGNOME) di soggetti rossanesì, ai quali – secondo l’ipotesi dì accusa – sarebbe stato affidato il delicatissimo compito di fungere da intermediari, o comunque di “schermare” i soggetti che si recavano a Rossano per concludere le compravendite di stupefacenti di interesse della cosca.
Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alle posizioni dell’COGNOME e del COGNOME quanto al capo A) della rubrica, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Catanzaro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale. Annulla la sentenza impugnata relativamente a COGNOME NOME NOME COGNOME NOME quanto al reato dì cui al capo A) dell’imputazione con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte dì Appello di Catanzaro.
Così deciso il 30 settembre 2025
Il Consiglie COGNOMECOGNOMENOME> ensore COGNOMECOGNOMENOME>
Il Presicrente