Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27175 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27175 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FIRENZE nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 28/01/1980
avverso l’ordinanza del 28/02/2025 del TRIBUNALE di FIRENZE, Sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale distrettuale del riesame di Firenze per nuovo esame;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 28 febbraio 2025 la il Tribunale di Firenze, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelar’, in accoglimento della richiesta di riesame proposta da COGNOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa il 29 gennaio 2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Arezzo, con la quale era stata applicata nei suoi confronti la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di rapina pluriaggravata in concorso, annullava
detta ultima ordinanza ordinando l’immediata liberazione del COGNOME se non detenuto per altra causa.
Avverso l’ordinanza del Tribunale proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Assumeva che nel motivare la ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza il Tribunale aveva travisato le risultanze probatorie e aveva omesso di valutare prove acquisite.
Deduceva in particolare che il giudice della cautela aveva dato una lettura errata del contenuto della conversazione intercorsa in data 4 agosto 2024 fra il COGNOME e COGNOME, fatta oggetto di captazione, nel corso della quale il primo aveva rappresentato al secondo che il coimputato COGNOME COGNOME uno degli autori materiali della rapina, “con l’inganno” gli aveva chiesto in prestito il ciclomotore che aveva utilizzato per compiere la rapina.
Riteneva il ricorrente che il COGNOME fosse ben consapevole di aver messo a disposizione il proprio ciclomotore per compiere la rapina e avesse reso al COGNOME dichiarazioni compiacenti per giustificare il fatto che quest’ultimo soggetto di spicco fra quelli facenti parte del gruppo criminale con il quale il COGNOME aveva non occasionali contatti – non era stato informato dell’intrapresa criminosa, evitando in tal modo di subire le conseguenze di tale omissione.
Assumeva che il giudice della cautela, nell’affermare che “non vi sono altri riferimenti al COGNOME e alla sua partecipazione alla pregressa rapina del 28 giugno 2024″ (v. pag. 10 dell’ordinanza impugnata) non aveva considerato una serie di elementi acquisiti al processo e che costituivano la chiave per la corretta interpretazione del citato colloquio intercettato, quali i ripetuti contatti telefoni intercorsi, il giorno della rapina e il giorno prima, tra il Di COGNOME e il Roff anche su iniziativa di quest’ultimo (in particolare ben otto tentativi di chiamata collocati temporalmente subito dopo la rapina), nonché il fatto che lo stesso giorno della rapina il COGNOME si era recato a casa del Roffo, ove aveva pernottato e si era trattenuto fino alle ore 11,40 del giorni successivo, circostanza che il COGNOME, nel corso della conversazione sopra richiamata, aveva omesso di riferire al COGNOME.
Contestava, infine, la lettura che il Tribunale aveva dato alla conversazione fra presenti intervenuta il giorno successivo alla rapina fra due degli autori materiali della stessa, COGNOME NOME e NOME Domenico, assumendo che il
contenuto della stessa non conduceva a conclusioni decisive circa il numero dei concorrenti del reato in tutte le fasi dell’azione criminosa.
In data 8 maggio 2025 la difesa depositava memoria di replica alle conclusioni del Procuratore Generale, che aveva ribadito le argomentazioni rassegnate con il ricorso, affermando che il COGNOME aveva prestato il proprio scooter al Di Martino senza essere consapevole del fatto che il mezzo sarebbe stato utilizzato per effettuare la rapina.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
La lettura del provvedimento impugnato consente di apprezzare che il giudice della cautela, nell’esprimere il giudizio sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza, ha omesso di considerare e di valutare elementi ulteriori rispetto alla sopra citata conversazione telefonica risalente al 4 agosto 2024, emersi nei corso delle indagini preliminari e costituiti, come rilevato dal ricorrente, dalla presenza di ripetuti contatti telefonici intercorsi, il giorno del rapina e il giorno prima, tra il COGNOME e il COGNOME, anche su iniziativa di quest’ultimo (in particolare otto tentativi di chiamata collocati temporalmente immediatamente dopo la rapina), e ancora dal fatto che lo stesso giorno della rapina il COGNOME si era recato a casa del COGNOME, ove aveva pernottato e si era trattenuto fino alle ore 11,40 del giorno successivo, circostanza quest’ultima che il COGNOME aveva taciuto al COGNOME, nel corso della suddetta telefonata.
La motivazione dell’ordinanza impugnata appare dunque contraddittoria nella parte in cui si afferma l’inesistenza di elementi ulteriori rispetto alla citat telefonata, a carico del COGNOME.
Occorre precisare che nel caso specie il vizio di motivazione risulta dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorietà o manifesta illogicità o carenza), è desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, che nel rassegnare le risultanze delle indagini dà conto dell’esistenza dei citati ulteriori elementi che tuttavia omette di valutare, e inoltre, come osservato dal ricorrente, trattasi di vizio idoneo a minare la complessiva tenuta logico argomentativa della decisione impugnata.
Va, inoltre, evidenziato come la giurisprudenza di legittimità, in tema di annullamento per vizio di motivazione, abbia riconosciuto come il giudice di rinvio mantenga nell’ambito del capo colpito dall’annullamento, piena
autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione delle prove, nonché il potere di desumere – anche sulla base di elementi probatori prima trascurati – il proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate, con l’unico divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Suprema Corte e con l’obbligo di conformarsi all’interpretazione offerta dalla Corte di legittimità alla questione di diritto (Sez. 2, n. 27116 del 22/05/2014, Grande Aracri, Rv. 259811).
Si tratta di un principio fondamentale nel sistema delle impugnazioni, che scaturisce dalla natura del sindacato della Suprema Corte, che è sindacato di pura legittimità e non può riguardare il merito del giudizio di fatto. Il giudizio di fatto, invero, è riservato in via esclusiva ai giudici di merito, potendo su di esso la Corte di cassazione – quale mero giudice del diritto – svolgere solo un sindacato esterno e indiretto, tramite il controllo della motivazione nei limiti in cui tale controllo è consentito dalla legge (“mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità”: art. 606 cod. proc. pen., lett. e).
Perciò, quando il provvedimento è annullato per vizio della motivazione in fatto, la Corte di cassazione non può enunciare alcun principio o punto di vista o diversa lettura dei dati processuali o diversa valutazione dei fatti al quale il giudice di rinvio debba conformarsi. Eventuali valutazioni in fatto contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento per l’individuazione del vizio o dei vizi segnalati e non, quindi, come dati che si impongono per la nuova decisione sul fatto a lui demandata.
Ciò vuol dire che, per il giudice di rinvio, non deriva alcun vincolo positivo dalla sentenza di annullamento per vizio della motivazione in facto, ma deriva solo un “vincolo di contenuto negativo”, consistente nel divieto di adottare, nella sua pronuncia, la stessa motivazione che la Suprema Corte ha ritenuto viziata. Osservato tale divieto, ben può il giudice di rinvio replicare il dispositivo del provvedimento cassata, in quanto – quale esclusivo giudice del fatto – è depositario di potere discrezionale sia in ordine all’esito del giudizio di fatto sia in ordine alla scelta di una motivazione diversa da quella ritenuta viziata. In questo senso, è stato deciso che “non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello
già censurato in sede di legittimità” (Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, F., Rv.
251660).
Costituisce insegnamento consolidato nella giurisprudenza di questa corte, infatti, il principio in forza del quale i poteri del giudice di rinvio devono riteners
diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale, oppure per mancanza o manifesta
illogicità della motivazione, giacché, mentre, nella prima ipotesi, il giudice è
vincolato al principio di diritto espresso dalla Corte, restando ferma la valutazione dei fatti come accertati nel provvedimento impugnato, nella
seconda può procedersi a un nuovo esame del compendio probatorio con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (cfr.
Cass., Sez. 3, n. 7882/2012, Rv. 252333)
2. Alla stregua di tali rilievi l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Firenze, competente ai sensi
dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Firenze competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Così deciso il 15/05/2025