Vizio del consenso nel patteggiamento: quando la scarsa conoscenza dell’italiano non basta
L’accordo di patteggiamento è uno strumento fondamentale nel nostro sistema processuale, ma la sua validità si fonda su un consenso libero e consapevole. Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un caso interessante di presunto vizio del consenso sollevato da un cittadino straniero, il quale sosteneva di non aver compreso appieno i termini dell’accordo a causa delle barriere linguistiche. La decisione chiarisce che la semplice condizione di straniero non è sufficiente a invalidare un patteggiamento, se le circostanze concrete dimostrano una comprensione adeguata del procedimento.
Il caso: patteggiamento per rapina e il ricorso per cassazione
Un cittadino straniero, condannato per rapina impropria a seguito di un accordo di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p., ha presentato ricorso in Cassazione. La pena applicata era di un anno e otto mesi di reclusione, oltre a una multa. Il ricorrente lamentava un vizio del consenso, asserendo che, essendo alloglotta, non aveva capito che l’accordo non prevedeva il beneficio della sospensione condizionale della pena. A suo dire, questa mancata comprensione avrebbe inficiato la sua volontà di aderire al patteggiamento.
La conoscenza della lingua e il vizio del consenso
La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Secondo i giudici, non vi erano elementi per sostenere la tesi del ricorrente. Al contrario, dalla sequenza processuale emergeva chiaramente che l’imputato aveva una sufficiente comprensione della lingua italiana. In particolare, la sentenza impugnata dava atto che l’imputato aveva reso dichiarazioni confessorie e aveva provveduto a risarcire il danno alla vittima. Questi comportamenti, che gli erano valsi anche il riconoscimento delle attenuanti generiche, sono stati considerati incompatibili con una totale incapacità di comprendere il procedimento in corso e, di conseguenza, i termini dell’accordo di pena.
Il diritto all’interprete non è automatico
La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale: il diritto all’assistenza di un interprete, sebbene sia una garanzia essenziale per l’esercizio del diritto di difesa, non scatta automaticamente per ogni straniero. L’obbligo per l’autorità giudiziaria di nominare un interprete sorge solo quando dagli atti emerga, o sia comunque accertato, il presupposto della mancata conoscenza della lingua italiana. In assenza di tali elementi, e in presenza di indizi contrari come in questo caso, non si può presumere un vizio del consenso basato unicamente sulla nazionalità dell’imputato.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
Le motivazioni della Corte si basano su una valutazione concreta degli atti processuali. I giudici di legittimità hanno sottolineato che la richiesta di patteggiamento, avanzata tramite un procuratore speciale, non faceva alcuna menzione della sospensione condizionale della pena. Inoltre, le azioni positive compiute dall’imputato (confessione e risarcimento) sono state interpretate come una prova fattuale della sua capacità di comprendere la lingua e le conseguenze delle sue scelte processuali. Pertanto, la pretesa di non aver capito i termini dell’accordo è stata giudicata infondata, in quanto smentita dal suo stesso comportamento processuale.
Le conclusioni
La sentenza in esame offre importanti implicazioni pratiche. Stabilisce che la condizione di straniero non costituisce, di per sé, una presunzione di ignoranza della lingua tale da viziare il consenso a un patteggiamento. Il giudice può e deve desumere la capacità di comprensione dell’imputato da tutti gli elementi a sua disposizione, inclusi i suoi comportamenti attivi nel procedimento. Affinché un ricorso basato su un presunto vizio del consenso per motivi linguistici possa avere successo, è necessario che vi siano prove concrete e non mere asserzioni, che dimostrino un’effettiva e insuperabile difficoltà di comprensione, tale da aver realmente minato la consapevolezza della scelta processuale compiuta.
Quando è obbligatoria la nomina di un interprete per un imputato straniero?
La nomina di un interprete è obbligatoria solo quando risulta dagli atti, o viene altrimenti accertato, che l’imputato non ha una conoscenza della lingua italiana sufficiente a comprendere il procedimento. Non è un diritto che scatta automaticamente solo perché l’imputato è straniero.
Il fatto di non aver compreso che il patteggiamento non includeva la sospensione della pena può causare un vizio del consenso?
Nel caso specifico esaminato dalla Corte, la risposta è no. I giudici hanno ritenuto che non ci fosse un vizio del consenso perché le azioni dell’imputato, come la confessione e il risarcimento del danno, dimostravano che egli comprendeva la lingua italiana e, di conseguenza, i termini dell’accordo che stava accettando.
Quali elementi può valutare il giudice per stabilire se un imputato straniero comprende l’italiano?
Il giudice può valutare qualsiasi elemento processuale. Nella sentenza in esame, sono state considerate decisive le dichiarazioni confessorie rese dall’imputato e il fatto che avesse risarcito il danno, elementi che presuppongono una comprensione del procedimento e che gli sono valsi anche il riconoscimento delle attenuanti generiche.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10521 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10521 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in Algeria il 07/05/1996 avverso la sentenza del GIP del Tribunale di Milano in data 25/07/2024 preso atto che il procedimento è stato trattato con contraddittorio scritto udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Milano in data 25/07/2024 con la quale, su accordo delle parti, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. è stata applicata nei suoi confronti la pena di anni uno, mesi otto di reclusione ed euro 310,00 di multa per il delitto di rapina impropria, deducendo violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. per vizio del consenso in
quanto, essendo alloglotta, non avrebbe compreso che il patteggiamento non contemplava il beneficio della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché basato su motivi manifestamente infondati.
Dalla sequenza processuale – accessibile al giudice di legittimità in ragione del vizio dedotto ( error in procedendo) -emerge che l’imputato tramite procuratore speciale, fece richiesta di applicazione pena senza prevedere la concessione del beneficio della sospensione della pena; né si può ritenere che l’accordo sia inficiato da un vizio del consenso poiché dalla sentenza emerge chiaramente che NOME comprendeva la lingua italiana avendo reso dichiarazioni confessorie e risarcito il danno, circostanza che gli è valsa il riconoscimento delle attenuanti generiche.
Si deve ribadire infatti che anche se il diritto di farsi assistere da un interpre costituisce una garanzia essenziale per l’esercizio del diritto di difesa dello straniero alloglotta, il corrispondente obbligo per l’autorità giudiziaria provvedere alla nomina dell’interprete nasce allorché risulti dagli atti o, comunque, processualmente il presupposto della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede, tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto se sia altrimenti accertata dall’autorità procedente (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, Rv. 286356; Sez. 4, n. 6684 del 12/11/2004, Rv. 233360; Sez. 1, n. 5187 del 21/09/2000, Rv. 217350).
Nel caso esaminato non vi sono elementi dai quali desumere che l’imputato non conoscesse la lingua italiana e dunque non avesse compreso i termini del patteggiamento.
Per quanto sopra esposto deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso cui consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende
Così deciso, il 04/02/2025