Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14426 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14426 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a Napoli DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 12 settembre 2023 dalla Corte d’appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; letta la memoria depositata il 12 febbraio 2024 dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Napoli, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto NOME COGNOME, nella sua qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE
(dichiarata fallita il 7 marzo 2012), responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta fraudolenta documentale specifica.
Propone ricorso per cassazione l’imputato articolando quattro motivi d’impugnazione, i primi tre formulati sotto i profili della violazione di legge dell’inosservanza di norma processuale e il quarto sotto quello del vizio di motivazione.
2.1. Il primo, in particolare, deduce la nullità del decreto di citazione in appello in quanto privo della sottoscrizione del presidente del collegio e dell’indicazione della data di udienza nella parte a tanto specificamente indicata.
2.2. Il secondo deduce l’omessa notifica all’imputato del predetto decreto, comunicato al solo difensore in unica copia senza l’espressa indicazione che la detta notifica veniva inviata (al difensore) anche in rappresentanza dell’imputato.
2.3. Il terzo deduce la violazione del contraddittorio in quanto, secondo la prospettazione offerta, la tardiva richiesta di trattazione orale avanzata dal Pubblico Ministero (e successiva comunicazione all’imputato) avrebbe impedito la corretta partecipazione della difesa alla discussione.
2.4. Il quarto, in ultimo, deduce il vizio di motivazione nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale quanto alle specifiche deduzioni difensive afferenti alle reali cause del dissesto; circostanze dalle quali si sarebbe potuto (e dovuto) dedurre la mancanza di una effettiva volontà distrattiva dello COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è infondato.
L’art. 429 cod. proc. pen. impone che il decreto che dispone il giudizio contenga anche la sottoscrizione del giudice che lo ha emesso.
Tale requisito, tuttavia, non è previsto (dal secondo comma dello stesso articolo) a pena di nullità, né tanto può ricavarsi dalla AVV_NOTAIO disciplina contenuta negli artt. 178 e ss. cod. proc. pen., essendo comunque evincibile chiaramente la provenienza dell’atto (in questi termini, Sez. 2, n. 8146 del 26/03/1984, COGNOME, Rv. 165968; Sez. 2, n. 1868 del 16/10/1972, dep. 1973, COGNOME, Rv. 123448).
In ogni caso, anche a voler ritenere sussistente un’ipotesi di nullità (al pari di quella derivante dall’omessa sottoscrizione di un provvedimento giudiziale: Sez. U, n. 14978 del 20/12/2012, dep. 2013, R.D., Rv. 254671; Sez. 4, n. 33398 del 05/07/2023, Siavash, Rv. 285104), essa sarebbe comunque soggetta alla disciplina di cui all’art. 181 cod. proc civ., per cui, non essendo stata eccepita nel termine previsto dall’art. 491 cod. proc. pen., deve comunque ritenersi sanata.
Quanto all’indicazione della data di udienza, comunque presente nel decreto, è sufficiente rilevare che il ricorrente ha ritualmente presenziato all’udienza. E tanto rende irrilevante qualsiasi eventuale irregolarità.
Manifestamente infondato è il secondo motivo di censura, in quanto dall’esame degli atti processuali (ai quali questa Corte può accedere alla luce della natura processuale del vizio denunciato) si evince la notifica a mani proprie del decreto di citazione in appello, avvenuta il 28 giugno 2023.
3. Manifestamente infondato è anche il terzo.
La partecipazione dell’imputato al “suo” processo è effettivamente condizione indefettibile per il regolare esercizio della giurisdizione; essa afferisce al diritto difesa e, perciò, non è “confiscabile”, potendo al più essere oggetto di rinuncia da parte del titolare dello stesso, in presenza di una non equivoca manifestazione di volontà (Sez. 6, n. 15139 del 11/11/2021, dep. 2022, Rv. 283143).
Essa, tuttavia, non presuppone, necessariamente, la presenza fisica all’udienza, ma solo la facoltà, incomprimibile, di “intervenire” esercitando tutti i diritti e le facoltà di cui egli è titolare (Sez. 1, n. 4242 del 20/06/1997, R 208597), a prescindere dalle modalità attraverso le quali è previsto tale intervento.
Ebbene, se la regolarità del contraddittorio è assicurata anche attraverso la trattazione cartolare del giudizio, a maggior ragione alcun vulnus può rinvenirsi nell’ipotesi in cui il giudizio sia stato trattato “in presenza”.
Il ricorrente deduce che la comunicazione della richiesta avanzata dal Pubblico Ministero (e la conseguente modalità di trattazione, differente rispetto a quella originariamente indicata) sia avvenuta in ritardo e tanto avrebbe compromesso il legittimo esercizio delle sue prerogative difensive.
A prescindere dalla non perentorietà del termine invocato, il ricorrente non indica quale sia stato il vulnus concretamente subito dalla dedotta intempestività della comunicazione (in realtà difficilmente prospettabile proprio in ragione di quanto osservato in precedenza).
La rilevabilità di un vizio processuale, invero, presuppone non solo che l’atto posto in essere sia difforme rispetto al tipo legale, ma anche (e soprattutto) che tale vizio abbia in concreto causato alla parte un effettivo pregiudizio, ossia che le garanzie che l’ipotesi di invalidità era destinata a presidiare siano state effettivamente compromesse (Sez. 5, n. 1387 del 18/11/2021, dep. 2022, Obasogie, con gli ampi riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti).
La sanzione ricollegata ad una pretesa violazione di norme processuali, infatti, non può ritenersi posta a fondamento di un generico interesse all’astratta
regolarità dell’attività giudiziaria, ma finalizzata alla tutela (sostanziale) del diri di difesa della parte, garantendo l’eliminazione del pregiudizio subito in conseguenza della denunciata violazione.
Cosicché, l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio processuale, senza prospettare alcun “pregiudizio effettivo” (ossia le ragioni per le quali il vizio dedotto abbia determiNOME una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito), in applicazione del principio di “offensività processuale”, deve ritenersi intrinsecamente inammissibile, in quanto diretta a “pretendere” la sola regolarità formale del processo.
Ebbene, per come si è detto, il ricorrente nulla ha dedotto sotto tale profilo, limitandosi ad evocare l’intempestività della comunicazione (peraltro diretta a ripristinare un contraddittorio più ampio di quello da lui stesso invocato). E tanto rende la censura indeducibile.
4. Manifestamente infondato è anche il quarto.
Va premesso che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è un reato di pericolo e non è, dunque, necessario, per la sua sussistenza, la prova che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori, il quale rileva esclusivamente ai fini della eventuale configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 219 I. fall. (Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012 Rv. 253933; Sez. 5, n. 11633 del 08/02/2012 Rv. 252307).
In questo contesto, il fallimento, non essendo l’evento del reato, non solo non deve essere necessariamente collegato, sotto il profilo eziologico, alla condotta dell’agente, ma non deve neanche partecipare del coefficiente soggettivo che anima quest’ultimo: l’agente deve solo prefigurarsi la probabile idoneità della sua condotta ad incidere negativamente sulla consistenza della garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori al momento dell’apertura dell’eventuale concorso, senza necessariamente dover prevedere (né tanto meno volere) né il dissesto, né il fallimento (Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, COGNOME, Rv 261683; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, COGNOME ed altri, Rv. 261942; Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 262741).
Alla luce di tali osservazioni, quindi, le deduzioni difensive afferenti alle real cause del dissesto (dalle quali dedurre, in ipotesi, la mancanza di una effettiva volontà distrattiva dello COGNOME) diventano inconferenti e l’eventuale omessa motivazione in relazione ad esse irrilevante. Da ciò l’inammissibilità della censura prospettata.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condanNOME al pagamento delle spese processuali.
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P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua
Così deciso il 27 febbraio 2024
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