Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37174 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37174 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 21/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 21/10/2025
R.G.N. 19759/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso presentato da:
COGNOME NOME, nata a Petrella Tifernina il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 23/01/2025 della Corte di appello di Campobasso visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23/01/2025, la Corte di appello di Campobasso confermava la sentenza del Tribunale di Larino del 02/11/2023, che aveva condannato NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 7 d.l. 4/2019, 81 cpv. cod. pen. alla pena di ani uno e mesi quattro di reclusione.
Avverso tale sentenza ricorre, tramite il proprio difensore di fiducia, l’imputata.
2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancanza di prova della proprietà, in capo al figlio dell’imputata, del bene immobile indicato in rubrica.
Ed infatti, la polizia giudiziaria si Ł limitata a effettuare una visura catastale da cui risulterebbe intestatario del bene immobile NOME COGNOME, ma tale visura ha valore esclusivamente a fini fiscali e non probatori
2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’elemento psicologico del reato. Ammesso e non concesso che l’immobile fosse intestato al figlio della ricorrente, non vi Ł prova alcuna della conoscenza di detta proprietà da parte della stessa.
In data 7 ottobre 2025, l’AVV_NOTAIO, per l’imputata, depositava memoria di replica in cui contestava le conclusioni del P.G. e insisteva per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł complessivamente infondato.
2. Il primo motivo Ł infondato.
A pagina 3 della sentenza di primo grado emerge come l’accertamento svolto dagli operanti Ł consistito nella visura della banca dati dell’anagrafe tributaria e della banca dati ‘Sister’ dell’RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE. In sostanza, si tratta di una «visura catastale», la quale differisce dalla c.d. «visura ipocatastale», che Ł invece un documento rilasciato dalla Conservatoria dei registri immobiliari, il quale contiene l’elenco degli atti di provenienza e attesta la situazione giuridica di un immobile, specificandone la proprietà e gli eventuali gravami come ipoteche, pignoramenti o vincoli.
La giurisprudenza civile della Corte di cassazione ritiene che «poichØ il catasto Ł preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può – in assenza di altri e piø qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti – essere provato in base alla mera annotazione di dati nei registri catastali, che hanno in concrete circostanze soltanto il valore di semplici indizi» (Sez. 2 Civ., 24/08/1991, n. 9096, Rv. 473636 – 01).
In altra pronuncia si Ł tuttavia ritenuto (Sez. 2 Civ., n. 1650 del 21/02/1994, Rv. 485390 – 01) che «le risultanze dei registri catastali anche se non valgono a dimostrare con precisione la proprietà di un immobile sono tuttavia utilizzabili dal giudice del merito come indizi suscettibili di convincimento se presi in considerazione con rigore logico di ragionamento; se convalidati da altri elementi di causa (cfr. Cass.6.7.1972 n. 2245; 14.4.1976 n. 1314; 24.8.1991 n. 9096)».
La natura meramente indiziaria della visura catastale Ł stata poi ribadita da Sez. 2 Civ., 06/09/2019, n. 22339, Rv. 654922 – 01 e confermata da una risalente giurisprudenza penale della Corte (Sez. 4, n. 2322 del 10/11/1965, dep. 1966, Gagliardi, Rv. 100450 – 01).
Posta, quindi, la natura indiziaria della visura catastale, il Collegio rammenta come il giudice penale possa, ai sensi dell’articolo 192 cod. proc. pen., inferire la prova di un fatto anche da meri indizi, perchØ essi siano gravi, precisi e concordanti.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto, confermando la decisione del primo Giudice, che la risultanza catastale fosse idonea a spostare l’onere probatorio a carico dell’interessata, che avrebbe dovuto dimostrare che quel diritto di proprietà certificato nella visura catastale all’esito di verifica non fosse piø tale all’epoca della commissione dei reati.
Aggiunge altresì che la stessa imputata «non ha assolutamente negato (ed anzi, affermando che all’imputata era semplicemente ‘sfuggito di mente’, lo ha pianamente riconosciuto), che il figlio convivente della COGNOME, COGNOME NOME, fosse, all’epoca delle domande qui in rilievo, proprietario esclusivo di un immobile sito in INDIRIZZO acquistato con atto pubblico del 5.8.2010, così come risultante dal certificato catastale in atti (e del valore di euro 78.000 quale determinato ai fini IMU), che Ł esattamente quanto equivalente ad escludere che quel diritto di proprietà ‘certificato’ nella visura catastale all’esito di verifica presso la banca dati dell’RAGIONE_SOCIALE non fosse piø tale all’epoca della commissione dei reati per cui Ł l’odierno processo».
Pertanto, da un lato, l’indizio costituito dalla visura catastale risulta corroborato da una allegazione sostanzialmente confessoria da parte dell’imputata, in grado di conferirgli quella gravità, precisione e concordanza richieste dalla legge.
Per altro verso, a fronte della presunzione relativa di proprietà, scaturente dagli anzidetti elementi di prova, i giudici hanno correttamente ritenuto che gravasse sull’imputata un «onere di allegazione» in virtø del quale aveva il dovere di fornire elementi, argomentazioni e spiegazioni plausibili a sostegno della propria difesa.
Non si tratta, si sottolinea, di una inversione dell’onere della prova, che nel processo
grava sul pubblico ministero, quanto del dovere dell’imputato di fornire elementi a sostegno della propria difesa, senza doverne provare la veridicità. Elementi, aggiunge la giurisprudenza, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice e che comunque potrebbero essere valutati dal giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso Sez. U., n. 35535 del 12/07/2007, Rv. 236914, in motivazione), non potendosi l’imputato limitare alla mera contestazione (in negativo) degli elementi raccolti in giudizio e dotati di forza persuasiva.
Ed infatti, nell’ordinamento processuale penale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poichØ Ł l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. «vicinanza della prova», può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020, Pomilio, Rv. 278679 – 03; Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01).
Il collegio evidenzia altresì che la giurisprudenza secondo cui (Sez. 3, n. 3370 del 10/09/2024, dep. 2025, De Seta, n.m.) la voltura catastale Ł «dato neutro», derivante dalla dichiarazione di successione (che Ł, a sua volta, dato neutro rispetto all’acquisizione della proprietà), per cui il reato in parola (consistito, in quel caso, nell’indebito ottenimento di un beneficio in seguito all’omessa comunicazione dei beni familiari) «non può ritenersi dunque provato sulla base di un dato, la voltura catastale, che non Ł necessariamente nella disponibilità, anche conoscitiva, dell’interessata, e che, per giunta, non Ł indicativo dell’acquisizione della proprietà, unico elemento rilevante e decisivo ai fini della comunicazione», come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, non trova applicazione nel caso di specie.
Nel caso ivi giudicato da questa Sezione, infatti, si trattava di voltura catastale effettuata sulla base della presentazione della dichiarazione di successione, adempimento, questo, obbligatorio e di natura prevalentemente fiscale, attraverso il quale viene comunicato all’RAGIONE_SOCIALE delle entrate il subentro degli eredi nel patrimonio del defunto e vengono così determinate le imposte dovute, sulla base del quadro normativo in vigore; tale dichiarazione (di parte, anche di una sola) che serve a comunicare all’Erario i nominativi dei chiamati all’eredità ed i beni caduti in successione, prescinde dall’accettazione dell’eredità e quindi dalla proprietà stessa. Trattasi, in tutta evidenza, di ipotesi completamente differente da quella in esa.e, in cui la proprietà dell’immobile in capo al figlio dell’imputata era chiaramente indicata con gli estremi dell’atto di acquisto.
Pertanto, a fronte della concreta indicazione di un atto traslativo di proprietà (rogito del 5 agosto 2010), non illogicamente la Corte territoriale ha ritenuto che incombesse sull’imputata l’onere di allegare elementi da cui inferire che quel diritto di proprietà certificato nella visura catastale all’esito di verifica non fosse piø tale all’epoca della commissione dei reati.
Il motivo Ł quindi infondato e va rigettato.
Il secondo motivo Ł inammissibile.
A fronte di una piana motivazione della corte territoriale («Sussiste dunque, la consapevole condotta materiale, e sussiste l’elemento soggettivo del reato in parola, siccome pacificamente da assimilarsi al collegamento intenzionale funzionale della condotta alla indebita percezione del reddito in acclarati termini di pericolo concreto, posto che quelle omissioni, peraltro reiterate, hanno inciso sulla rappresentazione falsata delle condizioni necessarie per fruire del reddito di cittadinanza»), il ricorso si limita ad addurre una possibile
ignoranza, da parte dell’imputata, della circostanza (certamente non di secondaria importanza, in una situazione di tale indigenza da indurre l’imputata a richiedere il sostegno statale) che il figlio convivente con la stessa fosse proprietario di un immobile.
Trattasi di doglianza meramente contestativa e basata su inammissibili rilievi in fatto, preclusi in questa sede.
Il ricorso in conclusione deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 21/10/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME