Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30622 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30622 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LA SPEZIA il 05/09/1971
avverso la sentenza del 12/02/2025 della CORTE APPELLO di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette/sen e le conclusioni del PG NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 12 febbraio 2025, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di La Spezia, ha concesso le attenuanti generiche e ridotto la pena inflitta in primo grado per il delitto di cui all’art. 624-bis, commi 1 e 3, cod. pen. L’imputata è stata condannata perché, al fine di realizzare un ingiusto profitto, si impossessava di una foto-trappola di proprietà della parte civile introducendosi nel giardino di pertinenza dell’abitazione di quest’ultima ed ivi prendendo e portando via il predetto oggetto, previa rottura, a mezzo forbici, delle fascette che lo legavano alla recinzione.
L’imputata affida il ricorso per cassazione a tre motivi qui riportati a norma dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla qualificazione del fatto e all’esistenza dell’aggravante della violenza sulle cose. A fondamento delle censure sollevate, assume che la predetta circostanza aggravante può essere applicata solo nell’ipotesi in cui la violenza sulle cose danneggi stabilmente il bene oggetto di furto e che ciò non si era verificato nel caso concreto essendo state solo recise le fascette che collegavano alla recinzione la foto-trappola la cui funzione, quindi, era rimasta inalterata. D’altra parte, rileva ancora la ricorrente, neanche le fascette avevano perso la propria funzione in quanto esse, per loro stessa natura, possono essere utilizzate una sola volta e hanno la sola funzione di fissare l’oggetto e non anche quella di proteggerlo.
2.2. Con il secondo motivo censura l’inosservanza di norme procedurali in relazione all’art. 603, comma 3, cod. proc. pen.
2.3. Con il terzo motivo lamenta, a norma della lett. d) dell’art. 606, cod. proc. pen., la mancata assunzione di una prova asseritamente decisiva ossia l’omessa acquisizione della sentenza n. 579 del 2023 resa dal Tribunale di La Spezia in cui è stato ritenuto che non vi era certezza sulla proprietà dei luoghi in cui è stato perpetrato il furto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Nessun errore di diritto è ravvisabile nella decisione della Cort d’appello di inquadrare la fattispecie in esame nell’ambito della disciplina di all’art. 624-bis cod. pen. in quanto il fatto è stato commesso all’interno giardino di pertinenza dell’appartamento della persona offesa scavalcando – ha
evidenziato la Corte distrettuale con motivazione non contraddetta in parte qua -il muro perimetrale che cinge il giardino il cui accesso è consentito in via diretta esclusivamente dall’abitazione della persona offesa. Tale valutazione è conforme ai principi espressi da questa Corte nella sua massima composizione che, nel delineare il concetto di abitazione, ha evidenziato che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076). A nulla rileva, dunque, la sussistenza o meno della controversia in ordine alla sussistenza del diritto di proprietà su parte dell’area in cui è stato perpetrato il furto posto che la norma in questione non è posta a tutela del diritto del proprietario, ma a tutela del diritto di chi abbia anche la mera detenzione del bene oppure eserciti su di esso il possesso (inteso quale potere di fatto) in modo non occasionale; occorre, in altri termini, che l’immobile abbia una concreta connotazione che la riconduca alla personalità del titolare che utilizza il luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne.
1.2. Parimenti nessuna violazione di legge è ravvisabile nel riconoscimento dell’aggravante della violenza sulle cose. La Corte d’appello, infatti, si è correttamente conformata al condivisibile principio affermato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, a cui questo Collegio intende dare seguito, secondo cui, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della violenza sulle cose, non è necessario che la violenza venga esercitata direttamente sulla res oggetto dell’impossessamento, ma è sufficiente che essa venga posta in essere nei confronti dello strumento materiale apposto sulla cosa per garantire una più efficace difesa della stessa (ex multis, Sez. 5, n. 33898 del 12/06/2017, Temelie, Rv. 270478; Sez. 2, n. 3372 del 18/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254782 entrambe concernenti la placca magnetica antitaccheggio inserita sulla merce offerta in vendita nei grandi magazzini, destinata ad attivare i segnalatori acustici ai varchi d’uscita). Nel caso di specie, attraverso il taglio delle fascette che collegavano la foto-trappola alla recinzione, quest’ultima ha perso una componente essenziale per la sua protezione e nessuna rilevanza può assumere la circostanza, dedotta dalla ricorrente, che la persona offesa, ove avesse voluto rimuovere la fototrappola, avrebbe dovuto anch’ella recidere le fascette e applicarne poi delle nuove essendo ciascuna di esse idonea ad un solo utilizzo. Deve infatti evidenziarsi che, nella vicenda che qui di interessa, l’azione
furtiva era diretta alla foto-trappola e che la rimozione delle fascette di collegamento alla recinzione rappresenta la patente espressione della volontà dell’agente di separare la protezione dal bene da apprendere, così da renderne più agevole la sottrazione. Le fascette recise sono da ritenersi, pertanto, strumento di completamento e di protezione della res principale a cui erano collegate stabilmente, con la conseguenza che, come è stato affermato con riferimento ai dispositivi antitaccheggio, «sotto il profilo strutturale la dal pericolo di furto». (Sez. 7, n. 2067 del 02/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283971).
Dalle superiori considerazioni discende l’infondatezza del motivo proposto. 3. Infondati, ai limiti dell’inammissibilità, sono il secondo e terzo motivo di ricorso.
La ricorrente aveva chiesto l’acquisizione della sentenza del Tribunale di La Spezia da cui sarebbe emersa l’incertezza in ordine al diritto di proprietà della fascia di terreno in cui è stato perpetrato il furto. Orbene, a prescindere, come sopra osservato, dall’irrilevanza della questione, deve in ogni caso osservarsi che la Corte ha richiamato in modo appropriato la disposizione di cui all’art. 603, comma 2, cod. proc. pen. in quanto i documenti di cui era stata chiesta l’acquisizione avrebbero potuto essere prodotti in primo grado. Tale decisione è infatti perfettamente coerente con la disposizione normativa richiamata e non si appalesa, contrariamente a quanto dedotto, violativa del diritto di difesa in quanto il giudice di appello ha l’obbligo di disporre la rinnovazione del dibattimento nei soli casi in cui la richiesta di parte sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova che non sia stato esercitato per forza maggiore o per la sopravvenienza della stessa dopo il giudizio o perché l’ ammissione della prova, ritualmente richiesta nel giudizio di primo grado, sia stata irragionevolmente negata da quel giudice.
Nessuna violazione di legge è poi riscontrabile nella denegata acquisizione d’ufficio della predetta sentenza posto che la Corte, in conformità del disposto di cui al primo comma dell’art. 603 cod. proc. pen., ha ritenuto, con motivazione adeguata, di poter decidere allo stato degli atti poiché da questi era emersa la natura pertinenziale dell’area in cui l’imputata si era introdotta.
Alla luce di siffatte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro
3.000, oltre accessori di legge.
Roma, 10 giugno 2025
Il Consigliere estensore
CORTE DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE