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Violenza sulle cose: grata blocca accesso, reato c’è

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che, pur avendo visto il suo reato di violenza sulle cose (art. 392 c.p.) prescritto in appello, cercava un’assoluzione piena per evitare il risarcimento dei danni. L’imputato aveva apposto una grata su una recinzione, impedendo di fatto l’uso di un accesso carrabile alla parte civile. La Corte ha confermato che la violenza sulle cose non richiede necessariamente un danno materiale, ma può consistere in qualsiasi modifica che ostacoli l’esercizio di un diritto altrui, confermando così le statuizioni civili.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Violenza sulle Cose: Anche una Semplice Grata può Costituire Reato

Quando si pensa al reato di violenza sulle cose, previsto dall’art. 392 del Codice Penale, l’immaginario comune corre a gesti di danneggiamento o distruzione. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ci ricorda che la nozione di ‘violenza’ in questo contesto è molto più ampia. Anche una modifica apparentemente minore, come l’installazione di una grata su una recinzione, può integrare pienamente il reato se impedisce a un’altra persona di esercitare un proprio diritto. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I Fatti del Caso: Una Grata che Impedisce il Passaggio

La vicenda giudiziaria ha origine da un gesto apparentemente semplice: un soggetto decide di apporre una grata metallica a copertura di una recinzione già esistente, posizionata dalla parte civile. A causa della particolare configurazione dei luoghi, questa aggiunta ha un effetto concreto e pregiudizievole: impedisce al vicino di utilizzare un accesso carrabile adiacente, di fatto inibendo l’esercizio del suo possesso su quell’area.

Il Percorso Giudiziario e il Motivo del Ricorso

In primo grado, il Tribunale aveva riconosciuto la colpevolezza dell’imputato per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, ma aveva dichiarato la non punibilità per la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), condannandolo però al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

Successivamente, la Corte di Appello, pur confermando le statuizioni civili, dichiarava l’intervenuta prescrizione del reato. Nonostante l’estinzione del reato, l’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, chiedendo un’assoluzione piena nel merito. L’obiettivo era chiaro: ottenere un proscioglimento completo per annullare anche la condanna al risarcimento dei danni.

La nozione di violenza sulle cose secondo la Cassazione

Il ricorrente sosteneva che la sua condotta, consistita nella mera apposizione di una grata, non avesse arrecato alcun pregiudizio e, quindi, non potesse configurare il reato contestato. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha innanzitutto chiarito che il ricorso dell’imputato mirava a una rivalutazione dei fatti, attività non consentita in sede di legittimità. Nel merito, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: la violenza sulle cose non si limita al danneggiamento materiale. Può consistere anche in un semplice mutamento della destinazione d’uso del bene, purché tale intervento abbia un’incidenza concreta sull’interesse della persona offesa a mantenere inalterato lo stato dei luoghi.

Nel caso specifico, l’apposizione della grata, collocata in modo da ostacolare il transito, ha rappresentato un’azione violenta perché ha modificato la realtà esterna in modo da impedire l’esercizio di un diritto. La condotta ha comportato una concreta ‘inibizione rispetto all’esercizio del possesso dell’accesso carrabile della parte civile’. Di conseguenza, l’azione rientrava pienamente nello schema del delitto previsto dall’art. 392 c.p.

Essendo il reato correttamente configurato, la Corte d’Appello aveva agito legittimamente nel dichiarare la prescrizione anziché procedere a un’assoluzione nel merito, che avrebbe richiesto l’evidenza dell’innocenza dell’imputato.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione in esame offre un importante spunto di riflessione. Dimostra che, per la legge penale, anche azioni che non comportano una distruzione fisica di un bene possono essere qualificate come ‘violente’. Qualsiasi intervento che modifichi lo stato di un luogo per ostacolare il diritto di un’altra persona può integrare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Questa sentenza conferma che la tutela del possesso e dei diritti reali non passa solo attraverso la protezione dall’aggressione fisica, ma anche dalla garanzia che lo stato dei luoghi non venga alterato unilateralmente per impedire il pacifico godimento di un bene.

Per configurare il reato di violenza sulle cose è necessario danneggiare materialmente un bene?
No, non è necessario. La giurisprudenza ha costantemente ritenuto che la violenza sulle cose possa consistere anche in un mutamento di destinazione d’uso del bene che, pur non determinando danni materiali, ostacoli in misura apprezzabile l’esercizio del diritto della persona offesa.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile se il reato era già prescritto?
Il ricorrente aveva ancora interesse a impugnare la sentenza perché la declaratoria di prescrizione pronunciata in appello aveva confermato le statuizioni civili, ovvero la sua condanna al risarcimento dei danni. L’obiettivo era ottenere un’assoluzione piena per eliminare anche tale obbligo. Il ricorso è stato però dichiarato inammissibile perché basato su una richiesta di riesame dei fatti, non consentita in Cassazione.

Apporre una grata su una recinzione già esistente può costituire un reato?
Sì. Nel caso di specie, la Corte ha stabilito che l’apposizione di una grata, collocata in modo tale da ostacolare il transito e l’utilizzo di un accesso carrabile, integra pienamente la condotta violenta richiesta dal delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 c.p.), in quanto impedisce concretamente alla parte lesa l’esercizio del proprio diritto di possesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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