LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Violenza sulle cose: basta rimuovere l’antitaccheggio

La Corte di Cassazione ha stabilito che la rimozione di una placca antitaccheggio da un prodotto costituisce l’aggravante della violenza sulle cose, anche se la placca non viene danneggiata e può essere riutilizzata. La Corte ha inoltre chiarito che un danno economico di diverse centinaia di euro non può essere considerato di ‘speciale tenuità’ ai fini della concessione di circostanze attenuanti. L’imputato, condannato per furto aggravato, aveva sottratto profumi per un valore di oltre 500 euro, e il suo ricorso è stato integralmente rigettato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto e Antitaccheggio: Quando la Rimozione è Violenza sulle Cose

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21926/2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale per i reati contro il patrimonio: la configurabilità dell’aggravante della violenza sulle cose in caso di manomissione dei sistemi antitaccheggio. La decisione offre un’interpretazione rigorosa, stabilendo che la semplice rimozione della placca protettiva, anche senza un suo danneggiamento permanente, è sufficiente a far scattare un aumento di pena.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado per il reato di furto pluriaggravato. L’imputato aveva sottratto diversi prodotti, tra cui profumi, da un esercizio commerciale dopo aver rimosso i dispositivi antitaccheggio. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomentazioni principali:

1. L’erronea applicazione dell’aggravante della violenza sulle cose, sostenendo che le placche antitaccheggio, essendo state immediatamente restituite e riutilizzabili, non erano state danneggiate in modo stabile.
2. La mancata concessione dell’attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.), poiché una parte dei beni rubati erano semplici tester privi di valore commerciale, riducendo così l’effettivo valore della refurtiva a una cifra modesta.

L’Aggravante della Violenza sulle Cose: Un’Interpretazione Funzionale

Il punto centrale della sentenza è la definizione di violenza sulle cose. La difesa ha tentato di far leva su un precedente isolato secondo cui l’aggravante non sussisterebbe se il dispositivo antitaccheggio rimosso non risulta danneggiato e può essere riapplicato. Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto questa tesi, allineandosi alla giurisprudenza prevalente e consolidata.

Secondo i giudici, non è necessario che la violenza sia esercitata direttamente sull’oggetto del furto (la res). L’aggravante si configura anche quando la violenza è rivolta a uno strumento materiale posto a protezione della merce, come appunto una placca magnetica. La manomissione o la rimozione di tale dispositivo integra di per sé la violenza, poiché trasforma oggettivamente il bene, privandolo di una sua componente essenziale di protezione.

L’Irrilevanza del Danno Permanente al Dispositivo

La Corte chiarisce in modo inequivocabile che la possibilità di riutilizzare la placca antitaccheggio è irrilevante. Ciò che conta è l’azione di rimozione, che viola le difese predisposte dal proprietario e altera la condizione funzionale del bene, rendendolo vulnerabile all’impossessamento. In sostanza, la violenza consiste nel superare la barriera protettiva, non necessariamente nel distruggerla.

La Questione del Danno di Speciale Tenuità

Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato infondato. La Corte ha sottolineato che l’attenuante del danno di speciale tenuità richiede un pregiudizio economico pressoché irrisorio. Nel caso di specie, anche ipotizzando che metà dei beni fossero tester (circostanza peraltro non provata in modo specifico dalla difesa), il valore della merce sottratta ammontava comunque a diverse centinaia di euro.

Un valore di tale entità non può essere considerato ‘irrisorio’. La giurisprudenza costante richiede, per l’applicazione di questa attenuante, che il danno sia talmente esiguo da risultare quasi insignificante sia per il valore intrinseco del bene sia per gli ulteriori effetti pregiudizievoli subiti dalla vittima. Un furto per un valore di 250 euro, come ipotizzato, non rientra in questa categoria.

Le Motivazioni della Corte

La decisione della Cassazione si fonda su un principio di diritto chiaro: l’aggravante della violenza sulle cose ha una finalità protettiva che va oltre la mera integrità materiale del bene rubato. Essa sanziona la maggiore capacità criminale di chi, per portare a termine il furto, non si limita ad approfittare di una situazione favorevole ma si adopera attivamente per superare gli ostacoli e le difese predisposte. La rimozione dell’antitaccheggio è una condotta che determina una trasformazione oggettiva della ‘res’, la quale perde una componente funzionale essenziale, ovvero lo strumento di protezione. Tale condotta, a prescindere dal danneggiamento fisico e permanente del dispositivo, integra pienamente la nozione di violenza richiesta dall’art. 625, n. 2, del codice penale.
Per quanto riguarda la seconda doglianza, la motivazione è altrettanto netta. La Corte ha ritenuto il motivo generico, in quanto la difesa non aveva chiarito come avesse determinato che metà dei beni fossero tester. Ma, soprattutto, ha ribadito che un valore economico di diverse centinaia di euro esclude in radice la configurabilità di un danno ‘irrisorio’, rendendo corretta la decisione dei giudici di merito di non applicare l’attenuante.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande rilevanza pratica. Per gli operatori commerciali, rafforza la tutela offerta dai sistemi di sicurezza, riconoscendo che la loro manomissione è una condotta penalmente più grave. Per chi è accusato di furto, il messaggio è chiaro: forzare o rimuovere un dispositivo antitaccheggio comporta quasi automaticamente l’applicazione di un’aggravante che preclude l’accesso a benefici come la procedibilità a querela e comporta un inevitabile inasprimento della pena. La decisione, infine, ribadisce la severità con cui i tribunali valutano il danno economico, riservando l’attenuante della speciale tenuità solo a casi di pregiudizio veramente minimo.

Rimuovere una placca antitaccheggio senza romperla è considerato violenza sulle cose?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la semplice rimozione del dispositivo antitaccheggio è sufficiente per configurare l’aggravante della violenza sulle cose, poiché tale azione trasforma il bene privandolo del suo strumento di protezione, indipendentemente dal fatto che la placca venga danneggiata o sia riutilizzabile.

Un danno di poche centinaia di euro può essere considerato di ‘speciale tenuità’ per ottenere uno sconto di pena?
No. La Corte ha stabilito che un valore di diverse centinaia di euro (nel caso ipotizzato, anche solo 250 euro) non può essere considerato un danno ‘pressoché irrisorio’. Di conseguenza, non è possibile applicare la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità prevista dall’art. 62 n. 4 del codice penale.

Perché la Cassazione ha respinto la tesi della difesa sulla riutilizzabilità della placca antitaccheggio?
La Corte ha ritenuto irrilevante la riutilizzabilità della placca perché il fulcro dell’aggravante non è il danneggiamento permanente del dispositivo di sicurezza, ma l’atto di violenza con cui si supera la difesa apposta sul bene. La rimozione stessa è la condotta che altera funzionalmente la cosa e manifesta la maggiore pericolosità dell’autore del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati