Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 857 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 857 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/11/2023
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
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sul ricorso proposto da:
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avverso la sentenza del 06/12/2022 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME chiede l’annullamento della sentenza impugnata
RITENUTO IN IFATTO
Con la sentenza del 6 dicembre 2022 la Corte di appello di Roma ha confermato la condanna inflitta il 12 aprile 2022 dal Tribunale di Roma a H.J.
COGNOME alla pena di quattro anni di reclusione,, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alla contestata aggravante e con la riduzione per il giudizio abbreviato per il reato di cui agli artt. 61 n. 5 cod. pen., 609-bis, comma 1, cod. pen. commesso ai danni di RAGIONE_SOCIALE in Rcma il 29 settembre 2021.
Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza di motivazione sull’elemento soggettivo, la contraddittorietà della motivazione sulle manifestazioni di dissenso della persona offesa ed il travisamento della prova sulla sussistenza dell’assenza del consenso incontestabilmente esclusa dalla prova video.
Secondo il ricorrente nel reato di violenza sessuale il dissenso deve persistere per tutta l’azione o può subentrare in un momento successivo; dai video, come indicato nell’appello, risulterebbero anche comportamenti dubbi sul dissenso della persona offesa o sulla persistenza del dissenso durante tutto l’arco temporale in cui avvenne l’azione. Dalla prova video emergerebbe che era incomprensibile per il ricorrente percepire l’assenza del consenso.
La Corte di appello si sarebbe persuasa dell’assenza del consenso della persona offesa e non avrebbe motivato perché in alcuni momenti la donna avrebbe assunto un atteggiamento tranquillo ed a tratti inerte, tale da poter essere percepito dal soggetto agente come un comportamento inequivocabile di dissenso.
Dai video si vedrebbe la donna sollevare la gamba in segno di apertura, avere ed utilizzare il telefono cellulare; l’indicazione della presenza delle telecamere nell’androne avrebbe dovuto essere interpretato come un atteggiamento di imbarazzo della vittima nel consumare un rapporto sessuale.
La mancata motivazione sugli elementi di fatto indicati nell’appello ed il travisamento della prova video renderebbero la motivazione contraddittoria.
Il comportamento inattivo della donna avrebbe reso difficile se non impossibile individuare un contrasto di volontà consistenl:e nella mancanza di consenso della vittima.
I giudici avrebbero fondato la dichiarazione di responsabilità dell’imputato quasi esclusivamente sul racconto della vittima.
Si invoca l’applicazione del principio del ragionevole dubbio.
La Corte di appello avrebbe interpretato la fattispecie quale responsabilità oggettiva. Il travisamento della prova sarebbe avvenuto su aspetti essenziali.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione della legge penale per il rigetto della richiesta di applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 609-bis, comma 3, cod. pen. o la motivazione contraddittoria.
Dopo aver riportato la motivazione della sentenza impugnata e la giurisprudenza sulla circostanza attenuante, si rileva che se nella sentenza n.5733 del 2015 la Corte di cassazione ha ritenuto applicabile la circostanza attenuante nel caso di una penetrazione e tale atto è stato ritenuto non ostativo, a maggior ragione il fatto dovrebbe essere qualificato di minore gravità, tenuto conto che si è trattato di toccamenti nelle parti intime, privi di brutalità, in presenza atteggiamenti equivoci della vittima.
La motivazione sarebbe contraddittoria quanto alla violenza e la prova video dimostrerebbe che l’imputato non ha esercitato prepotenza, aggressività o veemenza. La Corte di appello non avrebbe tenuto conto delle complessive circostanze nelle quali il fatto si è svolto travisando il contenuto della prova video
2.3 Con il terzo motivo si deduce l’erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 5, cod. pen. «o la mancanza di motivazione e al giudizio di prevalenza». La Corte di appello si sarebbe limitata a richiamare la sentenza del Tribunale ed avrebbe ritenuto sufficiente che il fatto si sia svolto nelle ore notturne ma non avrebbe valutato che sarebbe sempre necessario che la pubblica o privata difesa sia ostacolata in concreto.
La Corte di appello non avrebbe motivato correttamente la sussistenza della circostanza aggravante non avendo considerai:o che il fatto si è svolto in una piazza di Roma frequentata da turisti e giovani, dalle forze dell’ordine, che la persona offesa ha utilizzato il telefono cellulare.
Quanto alla seconda parte dell’azione, avvenuta nell’androne, la Corte territoriale non avrebbe valutato che il palazzo è dotato del sistema di video sorveglianza, vi è la presenza di più appartamenti ed altri soggetti avrebbero potuto farvi ingresso o uscire. La Corte di appello avrebbe, poi, ritenuto immotivata la critica del giudizio di equivalenza richiamando la concessione delle circostanze attenuanti generiche quale prova dell’equilibrio della sanzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Contrariamente a quanto sostenuto nel primo motivo, le sentenze di merito non si fondano affatto sulle sole dichiarazioni della persona offesa ma anche su quelle di NOME. , che ha assistito alla fase conclusiva dell’episodio, e di NOME COGNOME (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), oltre che sulla
avvenuta – ne danno atto i giudici di merito – visione delle immagini dei sistemi di video sorveglianza di una farmacia e dell’androne, sugli atti di polizia giudiziaria, essendo i Carabinieri intervenuti poco dopo il fatto.
1.1. Con il ricorso non si contestano in alcun modo le dichiarazioni della persona offesa e le altre fonti di prova: la tesi difensiva è che la ragazza avrebbe avuto dei comportamenti tali da non concretizzare il dissenso o quanto meno consentire all’uomo di verificare il suo dissenso e ciò sarebbe confermato da alcune parti dei video.
1.2. La tesi difensiva è in aperto contrasto con le dichiarazioni dell’imputato, riportate nelle sentenze di merito, che in sede di interrogatorio di garanzia ha affermato di aver avuto un contatto di indole sessuale del tutto spontaneo e consensuale, tanto che la giovane l’aveva invitato presso la sua abitazione dove non era entrato; l’imputato ha fatto esplicito riferimento alla presenza del consenso della persona offesa ai suoi atti sessuali, ad un comportamento della donna spontaneo, quindi manifestato e direttamente percepito come tale.
La tesi difensiva si fonda su una valutazione alternativa di alcune parti del video, analizzate, a differenza di quanto operato dai giudici di merito, senza alcun collegamento con le dichiarazioni della persona offesa e della persona informata sui fatti: ne consegue che il richiamo al principio del ragionevole dubbio è manifestamente infondato.
In sede di legittimità, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità dell motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato che intenda far valere l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di una ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278237 – 01).
1.3. La tesi difensiva, secondo cui «il dissenso deve persistere durante tutta l’azione o può subentrare in un momento successivo» è contraria al costante orientamento della giurisprudenza per cui i rapporti sessuali sono leciti quan è il consenso, espresso o manifestato per fatti concludenti, della persona off
Ed invero, in tema di reati contro la libertà sessuale, la giurisprude affermato che nei rapporti tra maggiorenni è il consenso – non il dissenso atti sessuali che deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzio continuità; di conseguenza, integra il reato di cui all’art. 609-bis cod.
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prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga in itinere una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà (Sez. 3, n. 15010 del 11/12/2018, dep. 2019, F., Rv. 275393 – 01).
1.4. Dalla ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito in base alle dichiarazioni della persona offesa, non contestate, il fatto risulta commesso nella prima fase mediante il compimento di atti repentini e, poi, con veri e propri atti di violenza fisica, per altro reiterati.
Secondo tale ricostruzione, la donna verso le 2.00 di notte, uscì di casa per Oh fumare una sigaretta quando fu avvicinata dal ricorrente il quale inizienarlarle; improvvisamente, le accarezzò la testa ed il collo e la baciò sulle labbra. La donna restò spaventata ed immobilizzata mentre l’uomo le infilò una mano sotto la gonna toccandole la vagina. Quindi, la donna cercò di allontanarlo ma l’uomo la bloccò con forza, tenendola per un braccio e continuò a toccarle la vagina, anche con le dita. La donna riuscì a liberarsi e dirigersi verso il proprio appartamento ma fu seguita dall’uomo che le chiese di appartarsi con lui.
L’uomo riuscì ad entrare nell’androne del palazzo ove dimorava la persona offesa e continuò a porre in essere gli stessi atti sessuali ai danni della donna. La condotta fu reiterata anche successivamente: la persona offesa uscì dal condominio con l’intento di rientrarvi successivamente lasciando all’esterno l’aggressore ma l’uomo riuscì a infilarsi nuovamente nell’androne ed a continuare la condotta delittuosa con palpeggiamenti e baci sul seno nonché cercando di mettere la sua testa tra le gambe di lei sotto il vestito. La giovane restò immobilizzata ed inerte per via della forza dell’uomo, il quale si abbassò i pantaloni e afferrò la mano di lei di, portandola sui genitali; l’imputato cercò anche di fa abbassare la persona offesa per costringerla a praticare del sesso orale.
A tal punto la donna riuscì ad allontanarsi; il ricorrente, però, continuò con insistenza a baciarla ed a toccarla, mentre lei suonava la porta. Solo quando una delle coinquiline aprì la porta, la persona offesa riuscì a sottrarsi all’aggressione.
Come indicato, la fase finale dell’aggressione fu osservata dallo spioncino da NOMECOGNOME
1.5. La tesi difensiva, sulla necessità della manifestazione del dissenso o sulla ambiguità del comportamento della donna è smentita in fatto dalla prova che la prima parte dell’azione fu compiuta medianl:e atti repentini e nella seconda vi furono espliciti atti di manifestazione del dissenso, per altro non rilevanti ai f della consumazione del reato.
L’imputato è stato condannato per quella particolare forma di violenza sessuale caratterizzata da atti sessuali repentini, cioè compiuti improvvisamente
all’insaputa della persona destinataria; all’inizio della condotta, prima della resistenza della vittima, l’atto sessuale è stato commesso con azione repentina.
La giurisprudenza qualifica violenti gli atti sessuali repentini perché compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria o, comunque, prevenendone la manifestazione di dissenso (Sez. 3, n. 6945 del 27/01/2004, M., Rv. 228493 – 01). Si è affermato che l’elemento della violenza può estrinsecarsi, nel reato di violenza sessuale, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell’impossibilità di difendersi (Sez. 3, n. 27273 del 15/06/2010, M., Rv. 247932 — 01).
1.6. Il motivo è manifestamente infondato perché non tiene conto che la condanna è intervenuta per il reato di cui al comma 1 dell’art. 609-bis cod. pen., perché la condotta è stata commessa con violenza.
Nel delitto ex art. 609-bis, comma 1, cod. pen. l’agente «costringe» la persona offesa a compiere o subire l’atto sessuale per effetto della violenza, della minaccia o dell’abuso di autorità.
Nella lingua italiana costringere significa «obbligare qualc:uno, con la forza o con altro mezzo, a fare cosa che sia contraria alla volontà o comunque non spontanea» (Vocabolario Treccani).
La condotta, cioè, pone la vittima in una situazione di ccartazione della sua volontà e della sua libertà sessuale che può essere assoluta, cioè determinare un totale annullamento della capacità del soggetto passivo di determinarsi diversamente dalla volontà dell’agente, sicché è del tutto irrilevante la manifestazione del dissenso, trattandosi di condotta totalmente subita; o relativa, nel senso che per effetto della minaccia residui la possibilità di scelta fra l’accettare le richieste dell’agente, subendo o compiendo l’atto sessuale, o subire il male minacciato; in tal caso, la possibilità di autodeterminazione è condizionata in maniera più o meno grave dal timore di subire il pregiudizio prospettato, sicché la volontà della persona offesa è comunque coartata e non è in grado di esprimere alcun libero consenso.
Ad esempio, con riferimento alle persone dormienti, la giurisprudenza (cfr. Sez. 3, n. 22127 del 23/06/2016, dep. 2017, S., Rv. 270500 – 01) ha affermato il principio per cui integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed intecirità sessuale altru realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona (fattispecie in tema di atti sessuali realizzati nei confronti di una persona dormiente).
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1.7. Manifestamente infondato è il motivo laddove deduce il travisamento della prova con riferimento alle immagini video.
1.7.1. Il motivo è in primo luogo del tutto generico, perché solo a pag. 2 ricorso fa un chiaro riferimento alla parte del video, indicandone l’orari attesterebbe una prova non valutata dalla Corte territoriale.
Per il resto, le affermazioni del ricorrente, in assenza di indicazioni pr non avendo la Corte funzioni di merito, non sono neanche verificabili in concret
1.7.2. Va inoltre rilevato che le immagini video sono state esplicitame valutate dalla Corte di appello, sicché non è minimamente prospettabile travisamento della prova per omissione, nel loro complesso E! non isolatamente, come effettuato dal ricorrente (cfr. pag. 7).
Dunque, la tesi difensiva si fonda su una lettura parziale delle fonti di smentita dalle altre prove, non contestate, con il ricorso.
1.7.3. Per altro, la lettura difensiva del comportamento della donna è del compatibile con quanto riportato nelle sentenze di merito, sui momenti di paur di inerzia, del tutto compatibili con l’azione violenta subita.
1.8. Il ricorso è, poi, manifestamente infondato nella parte in cui si so che gli atteggiamenti assunti dalla persona offesa, emergenti dal video, erano «da fa si che era incomprensibile per il Sig. NOME percepire un’assenza di consenso, o quanto meno di difficile intuizione».
Tale motivo non solo è smentito in fatto dalle prove acquisite ma è anc errato in diritto perché, anche a voler dedurre l’errore sul fatto, la giuris ha sempre affermato, in tema di violenza sessuale, che ai fini dell’applicaz dell’art. 47 cod. pen., ricade sull’imputato l’onere di provare che egli sull’erroneo presupposto dell’esistenza del consenso dell’a vittima dell’assenza di consenso – o, quanto meno, di allegare elementi utili consentano una verifica di tale assunto difensivo (Sez. 3, n. 52835 19/06/2018, P., Rv. 274417 – 03).
Del tutto corretta è, dunque, la motivazione della sentenza impugnata sul azione cosciente e volontaria relativa agli atti sessuali violenti.
Manifestamente infondato è il seconde motivo sul rigetto della richiesta applicazione della circostanza ex art. 609-bis, comma 3, cod. pen.
2.1. Va premesso che quella prevista dall’art. 609-bis, comma 3, cod. pe la jzinar-e-gra è una circostanza attenuante e, come per tutte le circos attenuanti, l’attitudine ad attenuare la pena si deve fondare su fatti concre
Quelli indicati dalla giurisprudenza nell’interpretazione della norma non s gli elementi costitutivi dell’art. 609-bis, comma 1, cod. pen.: al contrario del riconoscimento della minore gravità di cui all’art. 609-bis, ultimo comma,
pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, prendendo in esame i soli elementi indicati dall’art. 133, comma 1, cod. pen., e non anche quelli di cui al comma 2 relativi alla capacità a clelinquere ed utilizzabili solo per l commisurazione complessiva della pena (Sez. 3, n. 14560 del 17/10/2017 – 2018, B, Rv. 27258401; Sez. 3, n. 31841 del 02/)4/2014 – dep. :18/07/2014, C, Rv. 26028901).
Gli elementi indicati nell’art. 133, comma 1, cod. pen. sono la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo ed ogni altra modalità dell’azione; l gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; l’intensità del dolo o il grado della colpa.
Prendendo in esame gli elementi indicati ed in particolare i mezzi, le modalità esecutive, l’invasività nella sfera sessuale della vittima, il grado di coartazion esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, l’entità della compressione della libertà sessuale e del danno arrecato, anche in termini psichici, al soggetto passivo, deve risultare un fatto di minore gravità.
Non è che il reato di cui al comma 1 sussiste se vi è una grave invasione nella sfera sessuale della vittima o una grave coartazione della vittima: al contrario, dalla valutazione complessiva del fatto deve risultare la minore gravità.
Infatti, la giurisprudenza (cfr. Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 2016, D., Rv. 266272) è costante nell’affermare che, ai fini del diniego della stessa attenuante, è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità per escludere l’applicazione della circostanza attenuante.
2.2. Il motivo è manifestamente infondato laddove effettua un sillogismo (pag. 4-5) tra il riconoscimento della circostanza attenuante in un caso di penetrazione ed i fatti per cui si procede perché va ribadito che ai fini della sussistenza della circostanza attenuante è irrilevante la sola tipologia dell’atto sessuale (così Sez. 3, n. 39445 del 01/07/20:1.4, S., Rv. 2605(11).
2.3. La Corte di appello ha ritenuto che non fosse applicabile l’art. 609-bis, comma 3, cod. pen., per le circostanze del fatto, avendo l’imputato reiterato le condotte in più fasi, inseguito la persona offesa, mostrato una particolare intensità del dolo. Dunque, la Corte di appello ha fondato il rigetto della richiesta di applicazione su una valutazione globale del fatto con una motivazione immune da vizi logici e corretta in diritto.
2.4. Il ricorrente ha, invece, posto a fondamento della richiesta elementi di fatto smentiti dalla ricostruzione della sentenza in base alle prove acquisite.
3. È manifestamente infondato il terzo motivo.
3.1. La Corte di appello ha correttamente applicato il principio espresso da Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, COGNOME, Rv. 282095 – 01; sulla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61, comma 5, cod. pen., le Sezioni Unite hanno affermato che «La commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta “minorata difesa’, essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto».
3.2. La Corte di appello ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante non solo per l’orario notturno, ma anche per le condizioni dei luoghi, deserti in quel momento, e quindi tali da ostacolare la privata difesa, come per altro dimostrato in concreto dalla durata dell’azione criminosa,
3.3. Le argomentazioni difensive sono sfornite di prova sulle concrete circostanze di fatto che avrebbero neutralizzato l’effetto, essendo indimostrata la presenza in quel momento di turisti, ed essendo certa l’assenza delle forze dell’ordine, che altrimenti sarebbero intervenute; il telefono, poi, secondo quanto prospettato nell’appello, sarebbe stato adoperato per chiedere aiuto, dopo la commissione del reato.
3.4. Va, infine, rilevato che secondo la giurisprudenza la presenza di un sistema di videosorveglianza nel /odus commissi delicti, può essere utilizzata quale elemento per valorizzare l’insussistenza dell’aggravante de qua solo quando l’impianto di videoripresa sia collegato alla centrale operativa di polizia o di u istituto di vigilanza privata, sì da consentire il tempestivo accorrere di soccorsi. altri casi in cui l’impianto sia spento o altrimenti disattivato dal soggetto agent o sia privo del collegamento con centrali operative delle forze dell’ordine o di istitut di vigilanza privati, la sua installazione non rileva ai fini dell’esclusione d circostanza aggravante in esame (così Sez. 5, n. 12051 del 14/01/2021, Grim, Rv. 280812).
3.5. Il motivo di appello sulla richiesta di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla circostanza aggravante era inammissibile per genericità, perché contenuto solo nelle conclusioni e senza indicazione, prevista a pena di inammissibilità dall’art. 581 cod. proc. peri, dell’indicazione delle ragion di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte
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costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 digs.196/03 in quanto impost legge.
Così deciso il 29/11/2023.