Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7152 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7152 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a VITTORIA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a VITTORIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/01/2023 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, in difesa dei ricorrenti, che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento; conclusioni ribadite con memoria tempestivamente depositata;
udite le conclusioni della parte civile costituita, con l’AVV_NOTAIO, che si è associato alle conclusioni formulate dal Procuratore generale.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Caltanissetta, decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento della Corte di cassazione, in riforma della sentenza del Tribunale di Gela del 07/10/2019, appellata da COGNOME NOME e COGNOME NOME, li assolveva dal reato di cui all’art. 393 cod. pen. perché il fatto non sussiste e rideterminava la pena in euro 400,00 di multa, con conferma nel resto della sentenza anche quanto alle statuizioni civili.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto due distinti ricorsi per cassazione COGNOME NOME e COGNOME NOME, per mezzo dei propri difensori, deducendo motivi che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Ricorso AVV_NOTAIO.
2.1. Violazione di legge e di norme processuali e vizio della motivazione perché contraddittoria, omessa e manifestamente illogica, oltre che contraddittoria con travisamento della prova a seguito di rinnovazione ex art. 603 cod. proc. pen., con violazione degli art. 597 1 598, 627 cod. proc. pen. in considerazione del mancato rispetto da parte della Corte di appello del principio di diritto statuito dalla Corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio; la sentenza della Corte di cassazione aveva richiesto una compiuta verifica in ordine alla eventuale perdita o meno da parte della persona offesa anche del solo compossesso del lastrico solare, oggetto del contenzioso tra le parti. Era quindi stata rinnovata, senza alcuna indicazione in tal senso da parte della sentenza rescindente, l’istruttoria dibattimentale e quindi sentita la persona offesa. La Corte di appello decideva solo sulla base delle circostanze emerse dalla testimonianza della persona offesa, senza alcun collegamento con gli altri atti del procedimento. È stata quindi confermata la sentenza di condanna, affermando in modo apodittico, e dunque con motivazione apparente, che nel caso in esame non possa essere applicata l’esimente della violenza reintegrativa come causa speciale di giustificazione, attesa la reazione non immediata dei ricorrenti e considerato l’esito di un procedimento civile favorevole alla persona offesa, a fronte della rivendica del bene perché acquisito per usucapione.
La difesa ha in tal senso evidenziato la assoluta estraneità del procedimento civile per usucapione al delitto oggetto di contestazione, riferito solo ed esclusivamente alla materia possessoria, in assenza di qualsiasi prova di compossesso da parte delle sorelle NOME, atteso che erano proprio le
sorelle a scardinare la porta con il supporto dei loro incaricati nella tarda mattinata di sabato. Proprio per evitare che l’accesso risultasse possibile per chiunque, a causa della porta scardinata dalle NOME, e tenuto conto dell’impossibilità di ricorrere con immediatezza al giudice, i ricorrenti si trovavano nella necessità di intervenire per la manutenzione della porta di ingresso al lastrico solare, ricorrendo dunque l’esimente invocata
2.1.2. Violazione di legge, nonché vizio della motivazione in tutte le sue forme in reazione alla individuazione della condotta attribuita ai ricorrenti, con riferimento agli elementi costitutivi di cui all’art. 392, comma secondo, cod. pen., per mancata valutazione delle prove acquisite con particolare riferimento alla mancata applicazione della esimente della violenza manutentiva e della violazione integrativa.
2.2. Ricorso AVV_NOTAIO.
2.2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 392 cod. pen, vizio della motivazione perché manifestamente illogica e contraddittoria, nonché violazione di norme processuali per travisamento della prova a seguito di rinnovazione istruttoria, per essersi la Corte di appello discostata dal principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione e per avere omesso di considerare le specifiche doglianze sollevate con appello e note di udienza. La Corte di cassazione aveva esplicitato come non fosse stato adeguatamente motivato l’aspetto, indicato come pregiudiziale rispetto alla individuazione di una lecita e giustificata auto-reintegra nel possesso, dell’eventuale perdita da parte della persona offesa anche del solo compossesso del lastrico solare. Richiamata la sentenza di annullamento la difesa ha evidenziato che il giudice del rinvio avrebbe dovuto: – verificare con congrua motivazione se la persona offesa alla data del 13 febbraio 2013 si trovasse in una situazione quanto meno di compossesso del lastrico solare, ovvero se fossero invece gli imputati o per essi uno dei loro genitori con cui da sempre coabitavano nell’appartamento sottostante al lastrico solare, ad avere il possesso esclusivo della terrazza di cui mantenevano appunto in via esclusiva le chiavi della porta di accesso, custodendovi, come pacifico, da anni un cane di affezione; stabilire un logico collegamento con la verifica preliminare sull’eventuale compossesso e la eventuale pretestuosa dichiarazione della persona offesa secondo la quale si sarebbe rotta la chiave di cui era in possesso e con cui avrebbe potuto accedere alla terrazza, così decidendo di chiamare il fabbro per scardinare la porta; – accertare, sulla base delle risultanze probatorie, se la condotta successiva dei ricorrenti, che avevano riposizionato la porta a seguito del suo scardinamento da parte della persona offesa in mancanza di
un suo legittimo possesso della terrazza, fosse condotta rivolta ad impedire il consolidamento di una situazione possessoria in loro diretto pregiudizio in un frangente in cui, ove avessero investito la autorità giudiziaria, si sarebbe consolidata la situazione giuridica per loro pregiudizievole, con impossessamento della persona offesa della terrazza in loro danno. Il giudice di appello ha omesso di realizzare i passaggi indicati dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento, soprattutto non affrontando in modo effettivo e compiuto il tema relativo ad un precedente compossesso della terrazza da parte della persona offesa, pretermettendo tra l’altro il corposo compendio probatorio che portava ad escluderlo, basandosi , sulle sole e interessate dichiarazioni della persona offesa, così evidentemente travisando le risultanze probatorie, che appunto dimostravano come la persona offesa non avesse mai avuto alcun possesso del lastrico solare.
La difesa evidenziava come la Corte di appello avesse in tal senso completamente omesso di motivare sugli specifici motivi di appello proposti e sulle argomentazioni introdotte con la memoria difensiva, che evidenziavano anche per prove documentali e testimoniali (in particolare COGNOME NOME e COGNOME NOME e con particolare riferimento alla testimonianza dell’ispettore di Polizia COGNOME NOME) l’esclusivo possesso della terrazza in capo ai ricorrenti. Ricorre dunque non solo un travisamento della prova, ma anche una violazione di legge ai sensi degli art. 581, lett. c), 587 e 598 cod. proc. pen. La difesa, richiamando l’insieme degli elementi acquisiti in giudizio, ha sottolineato come i dati acquisiti e le testimonianze rese evidenziassero come fosse stata la COGNOME ad avere presentato una denuncia asserendo che le era stato vietato l’accesso alla terrazza, anche se poi era la stessa COGNOME ad avere dichiarato all’ispettore di Polizia che non aveva mai avuto le chiavi per accedere, mentre al momento dell’accesso dell’ispettore di Polizia COGNOME era stato proprio COGNOME ad aprire perché aveva da sempre le chiavi, con ciò dimostrando il suo pieno possesso del bene.
Anche tutti i testi della difesa avevano fornito elementi univoci quanto al possesso esclusivo dei fratelli COGNOME e tale mole di dati era stata non solo trascurata, ma del tutto omessa dalla Corte di appello nella sua motivazione, nonostante fosse stato ampiamente confermato l’uso esclusivo della terrazza, ricorrendo dunque sul punto una motivazione del tutto apparente e sostanzialmente omessa. La difesa ha dunque rilevato come la Corte di appello abbia acriticamente recepito il dictum della NOME che aveva affermato di esser ela legittima erede della terrazza in questione e di avere richiesto la restituzione ai COGNOME che ne godevano a titolo di comodato, così
superando con motivazione superficiale, apodittica e sostanzialmente apparente una serie di elementi rilevanti e relativi ad un complesso contenzioso tra i cugini in sede civile anche quanto ad atti di liberalità della comune zia NOME, originaria proprietaria della terrazza.
Il Giudice di appello in assenza di qualsiasi riscontro documentale ha, travisando totalmente le prove in atti, degradato la situazione dei ricorrenti in comodato piuttosto che possesso esclusivo della terrazza, in mancanza di qualsiasi riscontro documentale in tal senso.
In conclusione, l’insieme dei dati allegati evidenzia per la difesa non solo il deciso travisamento della prova, ma anche la violazione di legge, atteso che la NOME non stava esercitando alcun diritto rispetto al possesso della terrazza della quale non aveva mai goduto negli ultimi anni.
In modo del tutto illogico la Corte, con ragionamento moralistico piuttosto che giuridico, in modo manifestamente illogico e con motivazione apparente, ha fatto discendere un immediato obbligo di restituzione sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, in assenza di qualsiasi allegazione o elemento che provi che i COGNOME avessero intrapreso il possesso del bene in questione in modo violento, in assenza di una accertata situazione di compossesso da parte della NOME. In concreto i COGNOME, proprio in applicazione della esimente citata dalla Corte di cassazione, si erano limitati a riposizionale la porta scardinata dalla COGNOME con la scusa di avere rotto la chiave di accesso, circostanza evidentemente falsa, attese le testimonianze delle forze di polizia che avevano chiarito come la COGNOME non avesse mai avuto le chiavi per accedere alla terrazza. In tema di violazione di legge dunque è stata completamente omessa, di conseguenza, la considerazione che la azione di spoglio della persona offesa era in corso nel momento in cui i ricorrenti hanno rimontato la porta, con conseguente erronea valutazione della disposizione di cui all’art. 392 da parte della Corte di appello, ricorrendo il requisito dell’immediatezza della reazione alla azione di spoglio senza alcun dubbio, nell’impossibilità di rivolgersi nella immediatezza, attesa la giornata di sabato, al giudice civile per arginare la azione di spoglio.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati, ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta.
I motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, avendo le difese articolato argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili quanto alla ricorrenza di un vizio della motivazione perché in parte omessa e in parte apodittica, oltre che violazione di legge in relazione non solo all’inquadramento giuridico della condotta contestata, ma anche quanto al rispetto del perimetro del giudizio devoluto a seguito di annullamento da parte della Sesta sezione di questa Corte.
In tal senso occorre richiamare il disposto della sentenza di annullamento, che ha innanzi tutto precisato che: “il ricorso del Procuratore generale concerne solo il reato di cui all’art. 392 cod. pen. e che quello della parte civile si riferisce anche al reato di cui all’art. 393 cod. pen. Va peraltro rimarcato che in concreto tale secondo ricorso si sofferma sulla dinamica dei rapporti tra i contendenti e sulla successione delle condotte da essi tenute ma non formula specifici rilievi volti a dar conto del ricorso ad una vera minaccia, tale da integrare il delitto di cui all’art. 393 cod. pen. contestato al capo b). In parte qua il ricorso della parte civile risulta inammissibile”. L’oggetto della decisione in sede di annullamento doveva, dunque, ritenersi limitato alla valutazione della contestazione elevata ai sensi dell’art. 392 cod. pen.
Nella parte del “ritenuto in fatto” della sentenza di annullamento si è precisata la portata del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Caltanissetta che lamentava come “a fronte dell’inquadramento della condotta nella violenza reintegrativa, era mancata una specifica motivazione per dar conto degli elementi su cui la Corte aveva fondato il proprio giudizio. In particolare la Corte aveva prospettato il ricorso da parte della querelante ad un pretesto rappresentato dalla rottura della chiave, ciò che non era stato specificamente spiegato, e inoltre non aveva considerato che la violenza ripristinatoria deve avvenire nella immediatezza della presunta azione lesiva, mentre la Corte di ciò non aveva dato conto, limitandosi a mere enunciazioni”.
La parte civile aveva sostenuto la ricorrenza di un travisamento della prova quanto alla prova dichiarativa in relazione al possesso esclusivo delle
chiavi e alla rottura accidentale delle chiavi nel cilindretto, non ricorrendo una prima condotta arbitraria della stessa, con conseguente errore sul punto del giudice di appello.
La Sesta sezione nell’accogliere il ricorso così introdotto dal Procuratore generale e dalla parte civile ha, quindi, delimitato il perimetro del giudizio di rinvio chiarendo che: “nel caso di sentenza di appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna pronunciata in primo grado, pur non venendo in rilievo un obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva, in quanto non si tratta di assicurare il metodo epistemologicamente più adeguato, idoneo a superare il ragionevole dubbio, si impone comunque una motivazione puntuale ed adeguata, che si confronti con gli argomenti esposti nella sentenza riformata, fornendo del difforme giudizio una razionale giustificazione (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, Troise, Rv. 272420). Si è quindi esplicitamente osservato che: “La Corte non ha tenuto conto di un dato pregiudiziale, costituito dalla titolarità del lastrico, e non ha verificato come la persona offesa avesse perduto anche il solo compossesso dello stesso. Inoltre la Corte ha solo assertivamente prospettato che la persona offesa si fosse avvalsa di un mero pretesto, costituito dalla ricostruzione della chiave della porta di accesso al lastrico, finalizzato al cambio della serratura”. Quanto, infine, alla c.d. violenza reiterativa la Sesta sezione, in sede di annullamento, ha infine osservato che la Corte di appello: “ha omesso di valutare se una siffatta realizzazione potesse dirsi consentita, avuto riguardo ai tempi della stessa rispetto al momento della aggressione altrui”.
4. Ciò premesso, si deve rilevare come la Corte di appello, nell’espletamento del giudizio in sede di rinvio, non abbia adempiuto al dictum della Corte di cassazione, realizzando attività di fatto non previste, proponendo considerazioni eccentriche rispetto al tema devoluto ed omettendo infine di affrontare in modo compiuto il tema centrale della motivazione nuovamente richiesta dal giudice di legittimità in ordine al fondamentale presupposto della condotta sottoposta a giudizio, ovvero la ricorrenza di un legittimo compossesso da parte della persona offesa, da motivare e riscontrare eventualmente sulla base del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. Il giudice di legittimità aveva, difatti, osservato come rispetto alla decisione assunta la motivazione si presentasse non adeguata, scarna e non correlata rispetto ad alcuni snodi fondamentali ovvero: – la prova effettiva di un possesso o compossesso della persona offesa sulla base dell’istruttoria espletata; – la qualificazione specifica della
condotta posta in essere dalla persona offesa (in considerazione del richiamato pretesto della rottura della chiave) sulla base del materiale probatorio in atti per verificare se in concreto tale attività si potesse ritenere lecita o meno, in evidente collegamento logico e sequenziale con il tema principale della ricorrenza di un compossesso della stessa; – nel caso in cui evidentemente non si ritenesse provato il compossesso, valutare se la condotta tenuta dai ricorrenti, in relazione alle sue caratteristiche oggettive e storico-fattuali, potesse rientrare nei canoni della c.d. violenza reintegrativa.
La lettura della motivazione della decisione impugnata evidenzia come tali snodi argomentativi, ritenuti carenti dal giudice di legittimità in sede di primo annullamento, non siano stati effettivamente affrontati, ricorrendo sul punto, dunque, una omessa motivazione, per giungere ad una ricostruzione del tutto alternativa, a carattere apodittico, basata esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di rinnovazione istruttoria, senza alcun richiamo ai temi devoluti, senza considerare l’onere di motivazione, certamente non rafforzata, ma maggiormente puntuale in relazione alla decisione assunta, senza considerare il complesso di elementi istruttori acquisiti nel corso del procedimento e specificamente richiamati dalle difese negli atti di appello (come le testimonianze degli agenti di polizia giudiziaria che si recavano sui luoghi e descrivevano le condotte tenute dalla persona offesa, oltre alle dichiarazioni degli altri testi che descrivevano lo stato dei luoghi e l’esercizio del possesso o meno da parte dei ricorrenti, eventualmente in compossesso con la persona offesa). La motivazione sul punto si presenta di fatto apodittica e del tutto eccentrica rispetto al tema devoluto, con una valutazione del tutto parziale e marginale degli elementi a disposizione del giudice di secondo grado (richiamando ad esempio, in mancanza di qualsiasi riscontro documentale, tra l’altro, elementi non rilevanti quale la qualifica di legittima erede della NOME e la sua richiesta di restituzione). In tal senso, si deve osservare come del tutto estranea all’oggetto del giudizio devoluto si deve ritenere la affermazione resa dalla Corte di appello secondo la quale “sia incontestabile il fatto che nel caso in cui un legittimo erede ti richieda la restituzione di un bene goduto da una terza persona a titolo di comodato, quest’ultimo sia tenuto di certo alla restituzione”.
In conclusione, appare evidente come la Corte di appello non si sia conformata al dictum della Corte di legittimità, astraendosi nella propria
valutazione dallo specifico perimetro valutativo devoluto, introducendo elementi del tutto estranei, non rilevanti ed aspecifici, rispetto al tema centrale della ricorrenza o meno di un compossesso del lastrico solare, elemento del tutto omesso nella considerazione argomentativa assai generica della Corte di appello. Con la conseguenza che anche le argomentazioni in tema di violenza reintegrativa appaiono del tutto slegate dal presupposto logico argomentativo, rappresentato dalla accertata presenza o meno di un compossesso della COGNOME e dall’onere motivazionale che era stato in tal senso richiesto, che non è stato posto in essere nella sentenza impugnata.
La Corte di appello, attesa la presenza di motivazione apparente e in parte apodittica, dovrà conseguentemente colmare le lacune motivazionali già segnalate dalla sentenza della Sesta sezione penale, sicché si impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, per il solo reato di cui all’art. 392 cod. pen. per nuovo giudizio dinnanzi ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta, che provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta.
Così deciso il 19 gennaio 2024.