Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 37475 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 37475 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
NOME COGNOME nato in MAROCCO il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 20/04/2023 della CORTE DI APPELLO di VENEZIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; sentite le richieste del PG COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile; sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO il ricorrente, che si è riportato ai motivi di
NOME COGNOME, per ricorso, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Venezia ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 16 gennaio 2020 dal Tribunale di Verona nei confronti di NOME COGNOME, per i reati di rapina tentata (capo A), lesioni aggravate (capi B e D) e rapina (capo C).
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, formulando tre motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si eccepisce l’erronea applicazione della legge processuale, per omessa notifica del decreto di citazione al difensore di fiducia, avvocato AVV_NOTAIO, dal momento che la nuova nomina fiduciaria in favore dell’AVV_NOTAIO non conteneva alcuna dichiarazione di revoca. Peraltro, il primo difensore aveva già formalmente richiesto di avere comunicazione della data di rinvio, avendo aderito all’astensione proclamata dalle RAGIONE_SOCIALE penali.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa censura la mancata disamina RAGIONE_SOCIALE conclusioni scritte e dell’istanza di rinvio per adesione all’astensione depositate dall’altro difensore, avvocato COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo, la difesa si duole dell’affermazione di responsabilità in relazione al tentativo di rapina di cui al capo A, non configurabile in presenza di una richiesta di denaro asseritamente priva di qualunque connotazione minacciosa o violenta e di un (solo successivo) sfogo di violenza fisica, in conseguenza dell’esito negativo della ricerca sulla persona della vittima, effettuata direttamente dall’imputato. Non si ravviserebbe neppure il dolo specifico di legge. Infine, sarebbe carente la motivazione in ordine alla credibilità della persona offesa, sentimentalmente legata al ricorrente e contraddittoria nel proprio racconto.
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.
In primo luogo, l’omesso avviso della fissazione dell’udienza ad uno dei due difensori dell’imputato determina non già l’assenza della difesa, ma solo l’inosservanza RAGIONE_SOCIALE disposizioni concernenti l’assistenza dell’imputato, a norma dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., e quindi dà causa ad una nullità a regime intermedio, che, stante la disciplina dell’art. 182 cod. proc. pen., deve essere eccepita immediatamente dall’altro difensore di fiducia ritualmente avvisato (Sez. 1, n. 11232 del 18/02/2020, COGNOME, Rv. 278815-01; Sez. 5, n. 55800 del 03/10/2018, Intoppa, Rv. 274620-01; Sez. 3, n. 38021 del 12/06/2013, COGNOME, Rv. 256980-01, in tema di omessa notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello ad uno dei due difensori di fiducia dell’imputato; Sez. 2, n. 3635 del 10/01/2006, COGNOME, Rv. 233339-01).
Nel caso di specie, relativo a un processo trattato, in difetto di richiesta di trattazione orale, con il rito cartolare di cui all’art. 23-bis, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, non può che farsi applicazione del medesimo principio di diritto, adeguandolo alla peculiarità del procedimento emergenziale e, pertanto, individuando il termine entro cui dedurre la nullità generale a regime intermedio nella presentazione RAGIONE_SOCIALE conclusioni scritte, primo – e unico – atto successivo di partecipazione (cfr. Sez. 6, n. 1107 del 06/12/2022, dep. 2023, S., Rv. 284164-01).
Il motivo è, dunque, manifestamente infondato.
Non superano, parimenti, la soglia dell’ammissibilità le censure inerenti la asserita obliterazione da parte della Corte lagunare RAGIONE_SOCIALE conclusioni e della dichiarazione di astensione presentate dalla difesa.
3.1. La sentenza impugnata attesta espressamente, in effetti, che «non sono state depositate conclusioni scritte da parte della difesa e non è stata manifestata adesione all’astensione dalle udienze, indetta dall’RAGIONE_SOCIALE». Questa affermazione non è corretta, poiché sono state acquisite agli atti le conclusioni scritte viceversa a suo tempo presentate – pur senza specificazione dell’udienza fissata per la trattazione – dal codifensore dell’imputato, avvocato NOME COGNOME (del seguente letterale tenore: «chiede che l’Eccellentissima Corte voglia riforma la sentenza impugnata, assolvendo l’imputato per le ragioni meglio esposte nell’atto di impugnazione proposto e a cui in questa sede ci si richiama integralmente, in via subordinata, che, con disapplicazione della recidiva, previo riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n 4, c.p. e RAGIONE_SOCIALE circostanz attenuanti generiche, la pena base e gli aumenti per la continuazione vengano rideterminati in misura congruamente inferiore, con conseguente riduzione della pena finale, per i motivi già estrinsecati nell’atto di impugnazione proposto e al quale, per timore di ripetersi, sia consentito rinviare»).
Nonostante le premesse della sentenza, inesatte per mero e ininfluente refuso tipografico, il verbale di udienza, sottoscritto dal cancelliere e controfirmato da presidente del collegio (atto fidefaciente sul punto), dà, invece, ritualmente conto dell’avvenuto deposito RAGIONE_SOCIALE conclusioni scritte del co-difensore dell’imputato, nonché della sua dichiarazione di adesione all’astensione dalle udienze proclamata dalle RAGIONE_SOCIALE penali.
3.2. Poiché il giudizio risultava ritualmente incardinato nelle forme del rito camerale non partecipato, non risulta, innanzitutto, rilevante la suddetta astensione (anche a prescindere dalla pretesa mancata percezione del suo deposito). L’art. 60 del nuovo codice deontologico forense attribuisce al difensore «il diritto di astenersi dal partecipare alle udienze e alle altre attività giudizia
nel periodo individuato dalla delibera di proclamazione. Tuttavia, nel giorno fissato per l’udienza camerale non partecipata, non era prevista, date le peculiarità procedimentali, né la partecipazione RAGIONE_SOCIALE parti, né alcuna altra attività defensionale.
La doglianza deve, pertanto, ritenersi manifestamente infondata.
3.3. L’ulteriore, stringato profilo di censura relativo alla mancata disamina RAGIONE_SOCIALE conclusioni scritte, inoltre, è connotato da insuperabile genericità.
A fronte della linearità del percorso giustificativo dei giudici di appello e dell estrema stringatezza dell’atto difensivo (come sopra testualmente riportato), il ricorrente non precisa di quale vulnus il mancato esame dell’atto difensivo sia stato cagione, in assenza del minimo riferimento a questioni rilevanti non esaminate o a carenze motivazionali di altro tipo (cfr. Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Perna, Rv. 267723-01, secondo cui il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa della sentenza rispetto ad un tema contenuto nell’atto di impugnazione può essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisività, restando in caso contrario incisi da insuperabile genericità i rilievi oggetto RAGIONE_SOCIALE allegazio difensive. In termini, anche Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 25344501).
4. La ricostruzione della vicenda – intangibile in questa sede di legittimità, alla luce della congrua doppia conforme motivazione (sentenza di appello, pp. 3-4; amplius, sentenza di primo grado, p. 2) – individua la condotta minacciosa e violenta, astrattamente idonea e univocamente diretta a sottrare a NOME COGNOME il denaro inutilmente richiestole, nella attività di “perquisizione”, preceduta da una «reazione inconsulta e violenta» (allorquando, l’imputato urlò a gran voce di non credere alle giustificazioni dell’amica), ed espletata direttamente, «frugando dove riteneva», sulla persona della vittima, impossibilitata a reagire in alcun modo, costretta all’interno dell’abitacolo della propria autovettura.
La condotta dell’imputato, in effetti, è connotata, in un contesto di esplosiva aggressività a cui non poteva sottrarsi la persona offesa, dall’impiego di un’insuperabile pressione intimidatoria, dirett& a superare l’opposizione della vittima e a produrre direttamente, senza la sua cooperazione, l’effetto offensivo di ricerca – e auspicata apprensione, poi non concretizzatasi – del denaro. Invero, la violenza necessaria ad integrare il reato di cui all’art. 628 cod. pen. è costituita d ogni energia fisica adoperata dall’agente verso la persona offesa al fine di annullarne o limitarne la capacità di autodeterminazione (Sez. 2, n. 14901 del 19/03/2015, COGNOME, Rv. 263307-01; Sez. 2, n. 3366 del 18/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255199-01). Il Collegio, in particolare, condivide e intende
dare seguito a quell’orientamento di legittimità per cui è sufficiente l’utilizzo d parte dell’agente di un pur ridotto coefficiente di forza impeditiva contro il soggetto passivo, idonea a produrre coazione fisica, assoluta o relativa (cfr. Sez. 6, n. 46931 del 25/10/2022, Seferovic, Rv. 284021-01, relativa a fattispecie in cui, strattonando la vittima, l’agente costringeva la stessa a fermarsi e approfittava della sorpresa e della momentanea incapacità di reazione di lei per sottrarle del danaro dalle tasche. Conforme Sez. 2, n. 9029 del 18/04/1984, Rv. 166284). Il compimento di un’azione violenta, infatti, persino se diretto solo verso un bene materiale e non verso la persona, ben può esprimere anche un messaggio minatorio nei confronti della vittima tale da annullarne o limitarne la capacità di autodeterminazione (Sez. 2, n. 36178 del 14/09/2021, COGNOME, Rv. 281966-01; Sez. 2, n. 8961 del 16/02/2016, COGNOME, Rv. 266101-01). Costituisce, pertanto, violenza, da ritenersi elemento materiale del reato di rapina, non soltanto l’esercizio di un vero e proprio costringimento fisico, ma anche qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente che si risolva comunque in una coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo, conseguentemente indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare od omettere qualche cosa (Sez. 2, n. 28389 del 27/04/2017, De Muzio, Rv. 270180-01).
Appare così pienamente integrata la fattispecie di cui agli artt. 56 e 628, comma 1, cod. proc. pen.; correttamente, hanno già sinteticamente rilevato i giudici di appello come «anche la sola perquisizione alla ricerca di denaro integrerebbe la violenza presupposto del tentativo di rapina». L’ulteriore brutale pestaggio, seguito a questo specifico episodio e non direttamente correlato alla finalità di impossessamento (come chiarito dai giudici di merito, che, all’esito dell’istruttoria, hanno acclarato nel dettaglio i fatti succintamente descritti nel rubrica imputativa), risulta poi, più compiutamente, oggetto del distinto capo B, riguardante il delitto di lesioni.
Le doglianze del ricorrente in parte qua non sono, pertanto, fondate.
Risultano, infine, totalmente generiche le ulteriori censure attinenti alla denegata credibilità della vittima, non sviluppando alcuna specifica critica alle lineari riflessioni sul punto dei giudici di merito (cfr. sentenza di appello, pp. 3 sentenza di primo grado, pp. 2-3, ove si illustrano adeguatamente le ragioni dell’iniziale reticenza della dichiarante, ben collocandole nello scenario della pregressa relazione sentimentale e del timore di possibili nuove reazioni di NOME, che l’attendeva nella sala d’aspetto del RAGIONE_SOCIALE).
D’altronde, la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di
legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis, Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, COGNOME, Rv. 240524-01; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342-01).
Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Così deciso il 25 settembre 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
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