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Violenza rapina tentata: la perquisizione è reato

Un uomo, condannato per tentata rapina e lesioni ai danni della ex compagna, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che la sola ricerca di denaro sulla persona della vittima non costituisse violenza. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, affermando che qualsiasi atto di energia fisica volto a limitare la capacità di autodeterminazione della vittima, inclusa la perquisizione forzata (frugare addosso), integra l’elemento della violenza nella rapina tentata, configurando così il reato.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Violenza nella rapina tentata: anche la sola perquisizione della vittima è reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37475/2024, ha fornito un’importante chiarificazione sul concetto di violenza nella rapina tentata. Spesso si pensa che la violenza debba consistere in percosse o minacce esplicite, ma la Suprema Corte ha ribadito un principio più ampio: qualsiasi atto fisico che limita la libertà di scelta della vittima, finalizzato all’impossessamento di un bene, è sufficiente per configurare il reato. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I fatti del processo

Il caso nasce dalla condanna di un uomo per tentata rapina, rapina e lesioni aggravate nei confronti della sua ex compagna. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’imputato, dopo una richiesta di denaro respinta, aveva reagito in modo violento. In particolare, per il capo d’imputazione relativo alla tentata rapina, l’uomo aveva urlato contro la donna e l’aveva perquisita fisicamente (‘frugandola’) mentre si trovava all’interno della sua auto, impossibilitata a reagire, alla ricerca del denaro.

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che tale condotta non integrasse la violenza nella rapina tentata. A suo dire, si sarebbe trattato di una semplice richiesta di denaro, seguita da uno sfogo fisico successivo e non direttamente collegato alla volontà di sottrarre il bene. Inoltre, venivano sollevate questioni procedurali e dubbi sulla credibilità della persona offesa.

L’analisi della Corte sulla violenza rapina tentata

La Cassazione ha rigettato completamente la tesi difensiva, confermando le sentenze dei gradi precedenti. Il punto centrale della decisione riguarda la definizione di ‘violenza’ ai sensi dell’art. 628 del codice penale.

I giudici hanno chiarito che la violenza necessaria per integrare il reato di rapina è costituita da qualsiasi impiego di energia fisica verso la persona offesa che ne annulli o limiti la capacità di autodeterminazione. Non è necessario un pestaggio o un’aggressione brutale. Anche un atto che potrebbe sembrare minore, come strattonare la vittima o, come in questo caso, perquisirla forzatamente, è idoneo a produrre una coazione fisica.

La Corte ha specificato che l’azione di ‘frugare’ la vittima contro la sua volontà, in un contesto di aggressività, è un atto univocamente diretto a superare la sua opposizione per realizzare l’impossessamento. Pertanto, la condotta dell’imputato è stata correttamente qualificata come tentativo di rapina, poiché la perquisizione stessa costituiva la violenza presupposto del reato. L’ulteriore pestaggio è stato correttamente inquadrato come un reato distinto di lesioni.

Le questioni procedurali e la credibilità della vittima

Oltre al merito, la difesa aveva sollevato due eccezioni procedurali:

1. Omessa notifica a uno dei due difensori: La Corte ha qualificato questo vizio come una ‘nullità a regime intermedio’, che avrebbe dovuto essere eccepita immediatamente dall’altro difensore presente e ritualmente avvisato. Non essendo stata sollevata tempestivamente, l’eccezione è stata respinta.
2. Mancata disamina delle conclusioni scritte: Anche questa doglianza è stata giudicata infondata e generica, poiché la difesa non ha specificato quali punti decisivi sarebbero stati trascurati dai giudici.

Infine, riguardo alla credibilità della vittima, la Cassazione ha ribadito che tale valutazione è di competenza esclusiva dei giudici di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, a meno di palesi contraddizioni nella motivazione, che in questo caso non sono state riscontrate. I giudici avevano già spiegato l’iniziale reticenza della donna, riconducendola alla pregressa relazione sentimentale e al timore di ulteriori reazioni da parte dell’imputato.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un orientamento giurisprudenziale consolidato. Il concetto di violenza nel reato di rapina è inteso in senso ampio, comprendendo non solo la violenza fisica diretta a causare dolore, ma qualsiasi atto che coarti la libertà fisica o psichica del soggetto passivo. L’azione di perquisire una persona contro la sua volontà è una chiara forma di coazione fisica, in quanto le impone di tollerare un’azione invasiva finalizzata alla sottrazione di beni. Di conseguenza, l’azione è diretta in modo non equivoco a commettere il reato e integra pienamente la fattispecie del tentativo di rapina, essendo irrilevante che l’agente non abbia poi trovato il denaro.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale: per la configurazione della violenza nella rapina tentata, non è richiesta un’aggressione di particolare entità. È sufficiente un’azione fisica, anche di ridotta intensità, purché sia idonea a vincere la resistenza, anche solo potenziale, della vittima. La decisione sottolinea come il bene giuridico tutelato dalla norma non sia solo il patrimonio, ma anche e soprattutto la libertà personale e di autodeterminazione dell’individuo. Un monito importante che amplia la tutela delle vittime e chiarisce i confini di un reato grave come la rapina.

Cosa si intende per violenza nel reato di tentata rapina?
Per violenza si intende qualsiasi uso di energia fisica contro la vittima, anche di lieve entità, che sia finalizzato a limitarne o annullarne la capacità di autodeterminazione per sottrarle un bene. La sentenza chiarisce che anche la sola ‘perquisizione’ forzata (frugare addosso) integra questo elemento.

Se uno dei due avvocati difensori non viene avvisato dell’udienza, il processo è nullo?
No, non necessariamente. Si tratta di una ‘nullità a regime intermedio’. Secondo la Corte, questa nullità deve essere eccepita immediatamente in udienza dall’altro difensore che è stato regolarmente avvisato. Se non viene fatto, il vizio si considera sanato e non può essere fatto valere in seguito.

È possibile contestare la credibilità di una vittima per la prima volta in Cassazione?
No, la valutazione dell’attendibilità di un testimone o della persona offesa è una questione di fatto riservata ai giudici di primo e secondo grado. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza impugnata presenta contraddizioni manifeste o illogicità palesi, ma non può riesaminare nel merito la credibilità della persona.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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