Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1787 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1787 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAMPOBASSO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/12/2022 della CORTE APPELLO di L’AQUILA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 13 dicembre 2022, la Corte d’appello de L’Aquila ha confermato la condanna del Tribunale di Vasto nei confronti di NOME COGNOME alla pena di mesi sei di reclusione e al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile NOME COGNOME. Il capo d’imputazione indica due distinti procedimenti, poi riuniti dal Giudice di primo grado, aventi a oggetto, il primo (n. 377/2017), la violazione dell’art. 610 cod. pen., per aver impedito a NOME COGNOME di esercitare il diritto di servitù di passaggio per il raggiungimento della particella 292, foglio 26 del Comune di Scemi, con violenza consistita nell’apposizione di catene e picchetti in ferro posti a impedire l’apertura del cancello di accesso e nell’ac:cumulo di rifiuti da demolizione, mattoni e una scala in ferro (il 16 novembre 2014, permanente fino al 3 novembre 2016). Il secondo procedimento (n. 379/2017) ha ad oggetto la violazione dell’art. 610 cod. pen., per aver impedito a NOME COGNOME di esercitare il diritto di servitù di passaggio per il raggiungimento della particella 292, foglio 26 del Comune di Scemi, apponendo catena e lucchetto al cancello della stradella che attraversa le particelle catastali 451, 290 e 291, foglio 26 del Comune di Scemi (il 30 aprile 2015).
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si deduce vizio di motivazione per avere la Corte territoriale contraddittoriamente affermato, da un lato, che i cancelli potevano essere aperti sollevando il chiavistello e rimuovendo il fil di ferro che reggeva la catena, dall’altro, che la servitù di passaggio doveva tuttavia poter esser esercitata dalla persona offesa senza che la stessa ponesse in essere manovre tese a rimuovere i presidi posti dall’imputato.
2.2 Col secondo motivo, si duole di vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di valutare adeguatamente le dichiarazioni: del maresciallo COGNOME e dei testi COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, tutte rilevanti per quel che ha riguardo alla questione dell’apertura o chiusura del cancello; del teste COGNOME, per quel che concerne la presenza di detriti nell’area della servitù di passaggio che, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero ostruito il passaggio. A tal proposito, la difesa evidenzia anche il contrasto tra quanto deciso dai Giudici del merito e la sentenza del Tribunale di Vasto del 19 settembre 2021, prodotta ex art. 238 bis cod. proc. pen., con cui si accoglieva l’opposizione, formulata dell’odierno ricorrente, all’ordinanza-ingiunzione della Provincia di Chieti e si
affermava non provata la circostanza dell’abbandono di rifiuti da parte del COGNOME.
2.3 Col terzo motivo, si duole di violazione di legge in relazione alla mancata declaratoria di estinzione di entrambi i reati ascritti per prescrizione maturata prima della sentenza di appello (resa in data 13 dicembre 2022). Nell’affermare che la violenza privata ha natura di reato istantaneo, consumandosi quindi nel momento stesso in cui si realizza la limitazione coattiva dell’altrui libertà, la difesa sostiene che il delitto di cui al capo a), commesso in data 16 novembre 2014 (come avvalorato -precisa la difesa- altresì dalle dichiarazioni della persona offesa), si sarebbe prescritto il 16 maggio 2021; il secondo delitto, di cui al capo b), commesso in data 30 aprile 2015, si sarebbe prescritto il 30 ottobre 2022.
2.3.1 Con riferimento alla medesima eccezione esposta sub 2.3, la difesa precisa che, con riguardo a entrambi i capi dell’imputazione, la data delle condotte ascritte risalirebbe a epoca ben più antecedente (2006 e 2008), dal momento che le diverse querele presentate dalla persona offesa avrebbero indicato la presenza di presidi (catena, lucchetto) poste dall’imputato al cancello d’ingresso sin dal 2006.
2.4 Col quarto motivo, si deduce violazione di legge per sopravvenuta improcedibilità per difetto di querela Coli riguardo a entrambi i capi d’imputazione.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso. La difesa di parte civile ha depositato conclusioni; la difesa dell’imputato ha depositato memoria di replica alle conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale.
Considerato in diritto
Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, ponendosi la tesi difensiva palesemente in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini dell’integrazione del delitto di violenza privata, è sufficiente che la condotta preordinata renda anche soltanto disagevole una lecita modalità di esplicazione del diritto della persona offesa (Sez. 5, n. 1053 del 06/10/2021, dep. 2022, Cinefra, Rv. 282467 – 01: fattispecie relativa alla sostituzione, da parte degli imputati, contro la volontà del proprietario e dell’affittuario, della serratura di una delle due porte di accesso alle scuderie di un’azienda agricola).
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E, invero, ben più che disagevole sarebbe stato, per la persona offesa, esplicare il proprio diritto manovrando del filo spinato e sollevando chiavistelli, laddove la mera consegna di una chiave d’accesso -come chiarito lucidamente dalla Corte territoriale- avrebbe risolto pacificamente ogni problema d’accesso al fondo in questione ed eliminato, ab origine, la significativa compressione dell’altrui libertà di azione (Sez. 5, n. 40485 del 01/07/2019, P., Rv. 277748 – 01).
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente, nel lamentare un’omessa valutazione di dichiarazioni testimoniali -di cui la Corte territoriale ha dato conto, sottolineandone bensì l’attendibilità, anche sulla base dell’estraneità delle persone escusse rispetto ai fatti di causa- mira a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio non consentita in questa sede (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540; conf. ex plurimis, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168), ignorando la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215).
Per quanto riguarda, infine, le censure relative all’ascritta condotta di ostruzione del passaggio attraverso l’accumulo di detriti nell’area della servitù di passaggio, e il riferimento, da parte della Corte territoriale, a un accertamento del 2018 (contestato dal ricorrente, in vista del fatto che il capo d’imputazione indica un impedimento tra il 2014 e il 2016), si osserva che tale passaggio motivazionale non è affatto decisivo rispetto all’economia generale delle argomentazioni della Corte, dal momento che la sentenza impugnata trae dall’accertamento del 2018 una mera conferma di una situazione risalente nel tempo e documentata dalla relazione di sopralluogo del 28 ottobre 2015. D’altra parte, le conclusioni della sentenza del Tribunale di Vasto del 17 novembre 2021, oltre a non fare stato nel presente procedimento, in ogni caso, dovrebbero essere apprezzate, proprio ai sensi dell’invocato art. 238-bis del codice di rito, unitamente agli altri elementi di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. E si rileva che, secondo l’incontestata ricostruzione del contenuto del motivo di appello operata dalla Corte territoriale, il COGNOME non ha dedotto di non essere l’autore del deposito, ma soltanto che esso deposito non aveva natura impeditiva del passaggio.
In ogni caso, il rilievo decisivo ha riguardo alla condotta ostruzionistica realizzata dall’imputato attraverso presidi quali catene, lucchetto e fil di ferro (v. p. 6 della parte motiva), ciò che trova rispondenza, del resto, nei due capi d’imputazione, relativi ai due procedimenti poi riuniti, nel secondo dei quali, peraltro, alcun cenno è fatto alla posizione di detriti da demolizione.
Poiché la censura in parola è stata formulata senza por mente alla motivazione nel suo complesso, va precisato che l’inammissibilità del motivo deriva dal mancato rispetto del «necessario onere di confronto con la motivazione della sentenza impugnata, che impone al ricorrente, a pena di inammissibilità, di non limitare il proprio esame alla sola parte del provvedimento specificamente riferita alla questione posta, ma di considerare anche le argomentazioni contenute in altre parti comunque rilevanti rispetto al giudizio devoluto sul tema» (Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, COGNOME Telleria, Rv. 282949 – 01).
Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, dacché i rilevi difensivi in tema di prescrizione non hanno tenuto in conto l’effetto di permanente lesività della condotta dell’imputato. A tal proposito, occorre premettere che, in primo grado, sono stati riuniti due procedimenti aventi ad oggetto nella sostanza condotte sostanzialmente identiche e comunque non distinte nella sentenza: l’una, contestata in relazione al pericdo 16 novembre 2014 e permanente sino al 3 novembre 2016 (proc. n. 377/2017 RGNR), l’altra, accertata il 30 aprile 2015 (proc. n. 379/2017 RGNR), ossia in data inclusa nell’arco temporale di cui al procedimento 377/2017.
Ora, il giudice di primo grado, pur attraverso un atecnico riferimento in dispositivo alla continuazione (non considerata nella concreta determinazione della pena: mesi sei di reclusione tout court) e pur parlando di «reati», nella sostanza considera la pluralità di condotte, dal punto di vista giuridico, alla stregua di un unico reato, come dimostrato dal fatto che non vi è una distinzione analitica delle varie azioni e, ciò, sin dall’apparato motivazionale reso dal giudice di primo grado, dove si sottolinea la peculiarità di una condotta caratterizzata dal “continuare a impedire”, con ogni mezzo possibile, il passaggio nell’area, come dimostrato dall’indicazione, nel capo b) dell’imputazione, di un ulteriore episodioreato (risalente al 30 aprile 2015).
La doglianza del ricorrente, secondo il quale la prescrizione sarebbe intervenuta nel corso del giudizio di appello, definito con sentenza del 13/12/2022, è manifestamente infondata.
Non è in discussione la giurisprudenza di legittimità che qualifica la violenza privata come reato istantaneo, al fine di escludere la necessità che gli effetti della imposizione si protraggano nel tempo e che l’offeso possa successivamente eliminarli (v., ad es., Sez. 5, n. 10834 del 1988, Rv. 179650; Sez. 5, n. 1174 del 20/11/2020, dep. 2021, Rv. 280130 – 01).
Peraltro, il reato istantaneo viene individuato dalla dottrina quando la realizzazione del fatto tipico integra ed esaurisce l’offesa, perché è impossibile che la lesione persista nel tempo. Diverso è il caso che si verifica quando i beni protetti possono solo essere compressi, con la conseguenza che l’agente ha il
potere non solo di instaurare la situazione antigiuridica, ma anche di rimuoverla, determinando la riespansione del bene compresso (in termini non dissimili, v. già il par. 7.1. di Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, Montanari, Rv. 211387 – 01).
Ebbene, tutte le volte in cui la violenza dell’agente non si concreti in un atto che esaurisce l’offesa del bene protetto, ma si traduce in una condotta che si sviluppa nel tempo, continuando a comprimere la libertà del titolare del bene stesso (ossia non esaurendo l’offesa nel momento iniziale), viene a operarsi una dissociazione, già sottolineata dalla citata sentenza Montanari, secondo la quale è possibile distinguere tra commissione -intesa come realizzazione del fatto tipico, id est, dell’azione prevista per la integrazione della soglia minima della fattispecie astratta- e il protrarsi nel tempo della situazione antigiuridica realizzata, che perdura fino all’azione consumativa ultima: questa esaurisce l’illecito e segna il momento nel quale si realizza la consumazione, facendo giungere al termine il processo esecutivo che ha prodotto lo stato. In dottrina, la stessa questione è posta a volte distinguendo tra perfezionamento e consumazione del reato. In giurisprudenza, la medesima distinzione è stata di recente proposta, in tema di evasione, da Sez. 6, n. 38864 del 13/10/2021, COGNOME, Rv. 281995 – 01.
Ne discende che il reato deve ritenersi consumato il 3 novembre 2016, con la conseguenza che il termine di prescrizione di sette anni e mezzo, calcolato ai sensi dell’art. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., tenuto anche conto dei ventuno giorni di sospensione registrati nel corso del processo (rinvio dell’udienza dal 21 settembre 2018 al 12 ottobre 2018), è destinato a spirare il 24 maggio 2024.
Le superiori considerazioni traggono fondamento dal fatto che del tutto erroneamente (e si tratta della seconda articolazione del terzo motivo) il ricorrente pretende di retrodatare la data di consumazione del reato, facendo riferimento ad una pregressa situazione di impedimento dell’esercizio della servitù, che si colloca al di fuori del perimetro temporale della contestazione: unico dato rilevante in questa sede.
Il quarto motivo è manifestamente infondato, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale ha anche di recente ribadito (v., in particolare, Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551 – 01, in motivazione) che la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione; ne consegue che tale volontà può essere individuata anche nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio.
Del tutto infondatamente, poi, il ricorrente pretende di calcolare il tempo per la proposizione della querela a partire dalle prime manifestazioni della violenza privata, che egli colloca nell’agosto del 2006.
E, infatti, ai sensi dell’art. 85 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni dello stesso d.lgs. n. 150, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso (30 dicembre 2022), il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Per quanto concerne il regolamento delle spese nel rapporto con la parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, di pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R. (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello dell’Aquila con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso in Roma, il 05/10/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente