Violenza Privata: Quando una Minaccia con un Martello Va Oltre il Semplice Spavento
La distinzione tra il reato di minaccia e quello, più grave, di violenza privata è un tema centrale nel diritto penale, che la Corte di Cassazione ha recentemente affrontato in una interessante ordinanza. Il caso analizzato riguarda una condanna per tentata violenza privata, in cui l’imputato aveva utilizzato un martello per intimidire la persona offesa. La difesa sosteneva che il fatto dovesse essere riqualificato come semplice minaccia, ma i giudici supremi hanno respinto tale tesi, fornendo chiarimenti cruciali sui confini tra le due fattispecie di reato e sui requisiti di ammissibilità di un ricorso.
I Fatti del Caso: La Condotta Minatoria
Il procedimento giudiziario trae origine da un episodio avvenuto a Torre Annunziata il 1° dicembre 2018. Un uomo era stato condannato sia in primo grado che in appello per il reato di tentata violenza privata, previsto dagli articoli 56 e 610 del Codice Penale. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’imputato aveva minacciato un’altra persona con un martello.
Insoddisfatto della sentenza della Corte di Appello di Napoli, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: la richiesta di riqualificare il reato da tentata violenza privata a minaccia (art. 612 c.p.), un’ipotesi delittuosa punita in modo meno severo.
La Decisione della Corte: La Differenza tra Violenza Privata e Minaccia
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato sotto un duplice profilo: sia nel merito della qualificazione giuridica, sia per la mancanza di un concreto interesse ad impugnare da parte del ricorrente.
La Coartazione della Volontà Altrui
Il primo punto, e il più rilevante dal punto di vista sostanziale, riguarda la natura della condotta. I giudici hanno sottolineato che la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato come l’azione minatoria dell’imputato non fosse fine a se stessa, ma mirasse a “coartarne la libertà di autodeterminazione” della vittima. Questo è l’elemento distintivo della violenza privata: la minaccia o la violenza sono il mezzo per raggiungere uno scopo, ossia costringere qualcuno a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà. La semplice minaccia, invece, si esaurisce nel prospettare un male ingiusto, senza essere direttamente finalizzata a piegare la volontà della persona offesa a un preciso volere dell’agente.
La Mancanza di Interesse nel Ricorso
Oltre all’infondatezza nel merito, la Cassazione ha rilevato una ragione procedurale che rendeva il ricorso inammissibile: la mancanza di “interesse ad impugnare” (art. 568, comma 4, c.p.p.). Questo principio stabilisce che un’impugnazione è ammissibile solo se, in caso di accoglimento, può portare a un risultato pratico favorevole per chi la propone.
Nel caso specifico, anche se il reato fosse stato riqualificato come minaccia, sarebbe stata applicata l’aggravante prevista dall’articolo 612, comma 2, del Codice Penale, in combinato disposto con l’articolo 339. Questo perché la minaccia era stata commessa con l’uso di un martello, considerato a tutti gli effetti un'”arma impropria”. Di conseguenza, la pena inflitta per la tentata violenza privata rientrava comunque nei limiti edittali previsti per la minaccia aggravata. In altre parole, l’eventuale riqualificazione non avrebbe comportato alcuna riduzione della pena per l’imputato, rendendo il suo ricorso privo di utilità pratica.
Le Motivazioni della Cassazione sul Reato di Violenza Privata
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. Il primo è la corretta interpretazione della fattispecie di violenza privata: l’elemento cruciale è la finalità coercitiva della condotta. Se la minaccia è strumentale a forzare la volontà della vittima, si esce dall’ambito dell’art. 612 c.p. per entrare in quello, più grave, dell’art. 610 c.p. Il secondo pilastro è di natura processuale e riguarda l’interesse concreto all’impugnazione. La Cassazione ribadisce che i ricorsi non possono essere puramente teorici o di principio; devono mirare a un vantaggio tangibile per il ricorrente. Se la pena inflitta è compatibile con diverse qualificazioni giuridiche del fatto, e il ricorrente non potrebbe ottenere una sanzione più mite, il suo gravame diventa inammissibile per carenza di interesse.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza offre due importanti lezioni. La prima è un chiaro monito sulla qualificazione dei reati contro la libertà morale: l’intento di costringere una persona a un determinato comportamento trasforma una semplice minaccia in violenza privata. La seconda è un’applicazione rigorosa del principio di economia processuale: le impugnazioni sono ammesse solo quando possono effettivamente modificare la situazione giuridica del ricorrente. La decisione conferma che l’uso di oggetti comuni come armi improprie (un martello, in questo caso) determina un’aggravante significativa che può rendere irrilevante, ai fini della pena, la distinzione tra diverse fattispecie di reato. Infine, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende, a conferma della totale infondatezza del suo ricorso.
Qual è la differenza principale tra il reato di minaccia e quello di violenza privata?
La violenza privata si configura quando la minaccia è usata come mezzo per costringere la vittima a fare, tollerare o omettere qualcosa, coartando così la sua libertà di autodeterminazione. La minaccia semplice, invece, si esaurisce nel prospettare un male ingiusto senza questa specifica finalità coercitiva.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile anche per mancanza di interesse?
Perché, anche se il reato fosse stato riqualificato in minaccia aggravata (dall’uso di un martello), la pena già inflitta sarebbe comunque rientrata nei limiti previsti per tale reato. Di conseguenza, l’imputato non avrebbe ottenuto alcun beneficio pratico dall’accoglimento del suo ricorso.
L’uso di un oggetto comune come un martello può aggravare un reato?
Sì. Secondo la Corte, un martello usato per minacciare è considerato un'”arma impropria”. Il suo utilizzo comporta l’applicazione di un’aggravante specifica che rende il reato di minaccia più grave, come previsto dall’articolo 612, secondo comma, del Codice Penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 672 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 672 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il 10/12/1972
avverso la sentenza del 03/07/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
che NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, pronunciata in data 3 luglio 2024, che ha confermato la condanna inflittagl per il reato di cui agli artt. 56 e 610 cod. pen. (fatto commessi in Torre Annunziata il 1 dic:em 2018);
che l’atto di impugnativa consta di un solo motivo;
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il motivo di ricorso, con il quale si censura la negata riqualificazione del fatto alla s della fattispecie di cui all’art. 612 cod. pen., è manifestamente infondato, posto che la Co territoriale ha congruamente evidenziato come la condotta minatoria dell’imputato nei confronti della persona offesa fosse stata posta in essere al fine di coartarne la libert autodeterminazione (vedasi pag. 3 della sentenza impugnata); nondimeno, il motivo all’esame non è, comunque, assistito dal necessario interesse ex art. 568, comma 4, cod. proc. pen., in quanto la pena irrogata all’imputato rientra, comunque, nei limiti edittali previsti per il re cui all’art. 612, comma 2, cod. pen. aggravato ai sensi dell’art. 339 cod. pen., il solo configura nel caso al vaglio posto che la minaccia è stata commesso con l’uso di un martello costituente arma impropria;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 dicembre 2024
Il consigliere estensore
Il Presidente