Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8358 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8358 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nato a MESSINA il 15/07/1979
COGNOME nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il 09/07/1962
avverso la sentenza del 17/06/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, emessa il 17 giugno 2024, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Patti, riqualificava l’origina contestazione di concorso in tentata estorsione aggravata in concorso in violenza privata aggravata, rideterminando la pena in mesi dieci di reclusione.
In particolare, per i giudici di merito l’azione delle minacce e dell’inseguimento presentava un nesso con l’offesa che COGNOME NOME intendeva vendicare, ossia il rifiuto da parte di COGNOME NOME di caricare sul camion del primo ulteriori balle di fieno, rispetto alle diec caricate, a causa del mancato pagamento di una precedente fornitura.
Da tale premessa, la Corte di Appello concludeva che la condotta del blocco dell’autocarro del Ricotta e dell’inseguimento resta comunque inquadrabile nella fattispecie residuale della violenza privata, esclusa la componente del procurarsi un ingiusto profitto con danno al patrimonio altrui, violenza posta in essere da più persone riunite.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione COGNOME COGNOME per il tramite del proprio difensore, Avv. COGNOME affidando le proprie censure a tre motiv di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. c.p.p.
2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce mancanza e manifesta illogicità della motivazione, avuto riguardo alla condanna per il reato di cui all’art. 610 cod. pen., giacch l’inseguimento dell’autocarro del COGNOME era finalizzato esclusivamente a reperire la targa per fini risarcitori, giacché il COGNOME aveva urtato la Jeep di COGNOME Salvatore, danneggiandola abbandonando il luogo del sinistro senza fermarsi.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce il vizio di motivazione per la mancata riqualificazione dei fatti contestati ai sensi dell’art. 393 cod. pen.
Dalla ricostruzione fattuale della vicenda emerge chiaramente che l’inseguimento dell’autocarro del COGNOME era finalizzato esclusivamente a reperire la targa esclusivamente per fini risarcitori, giacché il COGNOME aveva urtato la Jeep di COGNOME Salvatore, danneggiandola abbandonando il luogo del sinistro senza fermarsi, non essendo animato dall’intenzione di coartare la libertà di determinazione del COGNOME.
2.3. Il terzo motivo deduce il vizio di motivazione per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen.
COGNOME Salvatore, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidando le proprie censure ai quattro motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. c.p.p.
3.1. Con il primo motivo censura il travisamento della prova nonché l’illogicità contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 610 cod. pen.
Invero, l’alterco avvenuto presso l’azienda di Bonin COGNOME e l’inseguimento sulla pubblica via non sono in relazione tra loro, giacché l’inseguimento era consequenziale all’urto che vi era stato tra l’autocarro del COGNOME e la Jeep del ricorrente.
3.2. Il secondo motivo censura la carenza di motivazione in merito alla mancata riqualificazione nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Invero, pur ritenendo plausibile che il blocco stradale ed il successivo inseguimento costituissero la reazione all’ingiuria profferita dal COGNOME, era evidente che i Catalfamo invece agire innanzi al giudice civile per ottenere il risarcimento dei danni, decidevano di farsi giust da sé.
3.3. Con il terzo motivo eccepiva la apparenza ovvero la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 56 e 610 cod. pen.
COGNOME non aveva arrestato la marcia né aveva rallentato la propria marcia, per come risultava dagli ingenti danni patiti dall’automezzo del ricorrente.
3.4. Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte di Appello nell’escludere la concessione delle circostanze attenuati generiche non aveva tenuto conto della condotta, della incensuratezza e della personalità del Catalfamo.
Con requisitoria scritta del 21.12.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott.ssa NOME NOME COGNOME chiede dichiararsi inammissibili i ricorsi.
Con memoria del 17 gennaio 2025, la difesa di COGNOME COGNOME insisteva per l’accoglimento del ricorso, sul rilievo che la Jeep del coimputato era parcheggiata sulla pubblica via in modo tale da consentire il regolare passaggio delle autovetture, sicché i successivo inseguimento del camion condotto dal COGNOME era finalizzato solo a recuperare la targa del mezzo che aveva urtato la Jeep.
Con memoria del 21 gennaio 2025, la difesa di COGNOME Salvatore insisteva per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME è inammissibile.
Il delitto di violenza privata, punito dall’art. 610 cod. pen. si configura quando il suo autore “con violenza e minaccia, costringe altri a fare, tollerare o omettere qualche cosa”.
Se ne deve dedurre che l’elemento oggettivo del reato è costituito dalla realizzata coartazione della libertà psichica della vittima, realizzata con violenza o minaccia, al fine ottenere da questi un tacere o un non tacere.
Non si configura pertanto, il detto reato, quando non vi sia stata una concreta violenza o una minaccia che abbiano determinato la persona offesa a fare o tollerare o omettere una determinata condotta; così che resta privo di rilievo penale il comportamento di chi “induca” senza minaccia o violenza – la vittima a tenere una data condotta nella prospettiva di consumare, solo in prosieguo di tempo, una condotta violenta (o minacciosa) a suo danno.
In tema di concorso del delitto di cui all’art. 610 cod. pen. con altri delitti – questa C ha, in più occasioni precisato che il reato di violenza privata si concreta, appunto, solo quando la “costrizione” della persona offesa sia stata determinata dalla “violenza o minaccia”, rivolteg a tale specifico fine.
E così infatti si è affermato che il delitto di violenza privata, preordinato a reprimere f di coercizione non espressamente contemplati da specifiche disposizioni di legge, ha in comune con il delitto di sequestro di persona l’elemento materiale della costrizione, ma se ne differenzi perché in esso viene lesa la libertà psichica di autodeterminazione del soggetto passivo, mentre nel sequestro di persona viene lesa la libertà di movimento; ne consegue che, per il principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen., non è configurabile il delitto di violenza privata q la violenza, fisica o morale, sia stata usata direttamente ed esclusivamente per privare la persona offesa della libertà di movimento (Sez. 5, n. 44548 del 08/05/2015, T., Rv. 264685).
Per converso e a conferma della necessaria compresenza di “costrizione” e “violenza o minaccia”, si è precisato che l’elemento oggettivo del reato di violenza privata è costituito d una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, diversa dal fatto in cui si esprime la violenza, sicché il delit di cui all’art. 610 cod. pen. non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimida integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, ossia il pati cui la persona offesa sia costretta (Sez. 5, n. 6208 del 14/12/2020, dep. 2021, Milan, Rv. 280507).
Ciò premesso, è possibile trattare congiuntamente i primi due motivi di ricorso in quanto diretti a contestare la configurabilità della violenza privata, ritenendo invece riconducibil condotta contestata nel paradigma dell’art. 393 cod. pen. giacché l’inseguimento dell’autocarro del COGNOME era finalizzato esclusivamente a reperire la targa per fini risarcitori, giacché il COGNOME aveva urtato la Jeep di COGNOME Salvatore, danneggiandola, abbandonando il luogo del sinistro senza fermarsi, dovendosi concludere per la loro inammissibilità.
Invero, gli argomenti difensivi sono proposti sulla base di motivi formulati secondo schemi di censura sottratti al sindacato di legittimità perché in punto di fatto.
In altre parole, le censure si risolvono in una rilettura non consentita in sede di legittim di aspetti probatori valutati dal giudice di merito con argomentazioni non afflitte da vizi contraddittorietà, manifesta illogicità o carenza.
E difatti, in tema di giudizio di cassazione, è preclusa l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente co maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati d giudice del merito (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., R 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
La diversa valutazione del fatto proposta dalla difesa è manifestamente infondata.
Si osserva che in forza di quanto affermato da questa Corte a Sezioni Unite, COGNOME, n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027, che – sebbene si sia pronunciata in relazione alla differenza tra il reato di cui all’art. 393 cod. pen. e quello di estorsione, affermando che ai fini distinzione tra i reati di cui agli artt. 393 e 629 cod. pen. assume decisivo rilievo l’esisten meno di una pretesa in astratto ragionevolmente suscettibile di essere giudizialmente tutelata e che nel primo, il soggetto agisce con la coscienza e la volontà di attuare un proprio diritto, nulla rilevando che il diritto stesso sussista o non sussista, purché l’agente, in buona fede ragionevolmente, ritenga di poterlo legittimamente realizzare – ha comunque fornito la traccia distintiva tra il reato di ragion fattasi e gli altri reati che possono entrare in comparazione esso, quale appunto quello di violenza privata.
Orbene, nel caso di specie, in più passaggi della pronuncia di secondo grado si dà atto della sussistenza di elementi sintomatici del particolare che il ricorrente, in concorso co COGNOME COGNOME abbia posto in essere una condotta espressiva di una forma di esercizio della violenza e della minaccia per costringere le persone offese ad astenersi dal percorrere la strada con il proprio camion, azione pacificamente sussumibile nel modello della violenza privata.
Infatti, dalla ricostruzione fattuale della vicenda operata dalla Corte di Appello emerge plasticamente che il ricorrente ha costretto il COGNOME ad arrestare la marcia del propr automezzo, avendo ostruito il passaggio con la Jeep di COGNOME NOME, per poi tentare di aprire la portiera del camion per fare scendere la persona offesa (v. pp. 4 e 5 della sentenza di appello).
L’imputato ha “indotto” la persona offesa a fermarsi usando violenza e minaccia nei suoi confronti (frapponendo l’automobile del correo quale ostacolo alla libera circolazione del Ricotta).
Pertanto, al momento del “blocco” stradale il ricorrente non era portare di alcuna pretesa giustiziabile in sede civile, in quanto l’inseguimento del camion del COGNOME, per constatare i dann subiti a causa dell’urto ricevuto a seguito della ripartenza dello stesso, è avvenuto in un momento successivo al già perfezionato reato di cui all’art. 610 cod. pen.
Deve altresì precisarsi che la Corte di Appello ha verificato la credibilità soggettiva l’attendibilità intrinseca del racconto della persona offesa (v. p. 5 della sentenza).
Generico, anche per aspecificità, è il terzo motivo con il quale si contesta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ovvero il mancato riconoscimento dell’art. 62, n. 4, cod. pen.
La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è, peraltro, rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell’esercizio del relativo potere agisce c insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici.
Per principio di diritto assolutamente consolidato ai fini dell’assolvimento dell’obbligo dell motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane ed altri, Rv. 248244).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può, dunque, limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che riti prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità d esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
La Corte di appello ha, dunque, fatto buon governo di questi principi, in quanto, nel negare le attenuanti generiche, ha rilevato non incongruamente il grave disvalore del fatto e la personalità dell’imputato, rinviando espressamente alle modalità violente e proterve dell’azione con i riflessi sulla capacità a delinquere dimostrata.
Quanto alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pn ., il ricorrente non spenda neppure una parola per giustificare la doglianza (cfr. pp. 6 e 7 de ricorso).
4. Il ricorso proposto da COGNOME Salvatore è manifestamente infondato.
Il primo, il secondo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente in quanto diretti a contestare la configurabilità della riconosciuta violenza privata, ritenendo sussisten l’art. 393 cod. pen., dovendosi ritenere manifestamente infondati.
Quanto al primo motivo può farsi rinvio a quanto indicato nel paragrafo 3, in quanto sono richiamate contestazioni sovrapponibili a quelle dedotte da COGNOME NOME COGNOME
6. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Le Sezioni Unite, hanno affermato che “pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell’illegittima tutela privata sia realm
esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del t sfornita di una possibile base legale” (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, cit.), poiché soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazio giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (Sez. 2, n. 24478 de 08/05/2017, Salute, Rv. 269967), circostanze queste che, nel caso in esame, sono rimaste sfornite del pur minimo supporto probatorio, trattandosi al contrario di una pretesa del tutto arbitraria (reazione alla decisione del Ricotta di fornire al ricorrente solo dieci balle di fieno e altre, a causa del mancato pagamento di una precedente fornitura), in quanto sfornita di una possibile base legale, non potendo potenzialmente costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente apprezzabili possibilità di successo.
La Corte di Appello valorizza i profili sintomatici di una pretesa consapevolmente non azionabile in sede giudiziaria, facendo riferimento alla reazione violenta per lo sgarbo del Ricotta, trattandosi quindi di una pretesa non tutelabile dall’ordinamento.
7. Il terzo motivo è inammissibile.
Invero, dalla motivazione della Corte di Appello è emerso pacificamente che il Ricotta è stato costretto ad arrestare la marcia del proprio mezzo, onde subire anche il tentativo di apertura dello sportello, sicché correttamente è stata ritenuta consumata la violenza privata non arrestandosi la condotta contestata a livello del mero tentativo.
Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la critica non ha evidenziato, in concreto, l’esistenza di particolari fattori di possibile attenuazione trattamento sanzionatorio in riferimento alla posizione del ricorrente.
La Corte di Appello ha fatto riferimento alla personalità negativa, alla gravità del delitto consumato, rinviando espressamente alle modalità violente e proterve dell’azione con i riflessi sulla capacità a delinquere dimostrata.
La motivazione, pertanto, non può dirsi viziata né mancante. Va infatti ricordato che in via generale, le circostanze attenuanti atipiche, introdotte dal D.L. 14 settembre 1944, n. 288, rappresentano uno strumento di individualizzazione della risposta sanzionatoria lì dove sussistano – in positivo – elementi del fatto o della personalità, tali da render necessaria la mitigazione, ma non previsti espressamente da altra disposizione di legge.
L’applicazione della norma necessita – pertanto – di un substrato cognitivo e di una adeguata motivazione, nel senso che è da escludersi l’esistenza di un generico potere discrezionale del giudice di riduzione dei limiti legali della sanzione, dovendo di contr apprezzarsi e valorizzarsi un “aspetto” del fatto o della personalità risultante dagli atti giudizio. Da qui, stante l’ampia tipizzazione di fattori circostanziali da un lato e la necess di ancorare l’applicazione della norma ad un preciso indicatore di minor disvalore del fattoreato dall’altro, è derivato il filone interpretativo che individua nelle categorie gene
descritte nell’art. 133 cod. pen. il principale “serbatoio” di ipotesi, capace di razionalizzare e rendere controllabile la valutazione del giudicante.
In tal senso, si è ritenuto che la valutazione sotto diversi profili (commisurazione della pena nell’ambito edittale e riconoscimento o negazione delle attenuanti generiche) della stessa situazione di fatto è del tutto legittima, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte per distinti fini e conseguenze (Sez. 1, n. 1376 del 28/10/1997 COGNOME, Rv. 209841).
Le linee-guida della “gravità del reato” (art. 133, comma primo, cod. pen.) e della “capacità a delinquere del colpevole” (art. 133, comma secondo, cod. pen.) restano pertanto gli indicatori essenziali cui ancorare la particolare valutazione postulata dall’art. 62 bis cod. pen. e, in assenza di allegazioni specifiche, la motivazione tesa a negare l’applicazione delle attenuanti generiche è del tutto legittima ove sia ancorata alla considerazione della gravità del fatto o alla negativa personalità dell’autore del reato.
Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13 giugno 2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 23/01/2025
Il Consigliere estensore
La Presidente