Tentata Violenza Privata: Quando la Minaccia a Ritirare una Querela non è Estorsione
La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sezione Seconda, fa luce su un’importante distinzione tra due figure di reato: la tentata estorsione e la tentata violenza privata. Con questa pronuncia, i giudici hanno chiarito che la minaccia volta a costringere una persona a ritirare una querela, se non finalizzata a un profitto economico, rientra nella fattispecie di violenza privata. Questa decisione ha conseguenze significative sia sulla qualificazione giuridica del fatto sia sulle misure cautelari applicabili.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine da un ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica avverso un’ordinanza del Tribunale del riesame. Quest’ultimo aveva annullato una misura coercitiva disposta nei confronti di un indagato, riqualificando il reato inizialmente contestato (probabilmente tentata estorsione) in tentata violenza privata, ai sensi degli artt. 56 e 610 del codice penale. Di conseguenza, il Tribunale aveva ordinato la rimessione in libertà dell’indagato. Il Pubblico Ministero, non condividendo la qualificazione giuridica data dal Tribunale, ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la condotta dovesse essere inquadrata nel più grave reato di tentata estorsione.
La Decisione della Cassazione e la Corretta Qualificazione del Fatto
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Pubblico Ministero, ritenendolo infondato. I giudici hanno confermato l’orientamento del Tribunale del riesame, basando la propria decisione su un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Il punto cruciale della controversia risiede nella natura del ‘vantaggio’ che l’autore del reato intende conseguire con la sua condotta minacciosa. Per configurare il delitto di estorsione, è indispensabile che la minaccia sia finalizzata a ottenere un ‘ingiusto profitto’ di natura patrimoniale o comunque economicamente valutabile, con un corrispondente danno per la vittima.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha richiamato un suo precedente specifico (sentenza n. 46609 del 2009), ribadendo che la minaccia diretta a costringere altri a ritirare una denuncia o una querela integra il reato di tentata violenza privata, e non di tentata estorsione, quando il vantaggio derivante dal ritiro non è connotato da un contenuto patrimoniale o di utilità economica. Nel caso di specie, la condotta dell’indagato era finalizzata a ottenere una remissione di querela, un atto che, di per sé, non produce un profitto di natura patrimoniale. La condotta, quindi, lede la libertà di autodeterminazione della persona offesa, bene giuridico protetto dall’art. 610 c.p. (violenza privata), ma non il suo patrimonio, che è invece tutelato dalla norma sull’estorsione.
Conclusioni
La sentenza in esame riafferma con chiarezza i confini tra estorsione e violenza privata. L’elemento dirimente è la finalità della condotta: se l’agente mira a un ingiusto profitto economico, si ricade nell’estorsione; se, invece, l’obiettivo è costringere la vittima a un determinato comportamento senza un diretto vantaggio patrimoniale, come il ritiro di una querela, il reato configurabile è quello di violenza privata. Questa distinzione non è puramente teorica, ma ha effetti pratici rilevanti, incidendo sulla gravità della pena e sulla possibilità di applicare misure cautelari personali, come dimostrato dall’annullamento dell’ordinanza coercitiva nel caso di specie.
Minacciare qualcuno per fargli ritirare una denuncia è estorsione?
No, secondo la sentenza, si tratta di tentata violenza privata se l’obiettivo non è ottenere un profitto di natura patrimoniale o economica.
Qual è la differenza principale tra estorsione e violenza privata in questo caso?
La differenza fondamentale risiede nella natura del vantaggio ricercato. L’estorsione richiede un ingiusto profitto con contenuto patrimoniale, mentre la violenza privata sanziona la coercizione della volontà altrui, a prescindere da un beneficio economico.
Perché il Tribunale del riesame ha annullato la misura cautelare?
Il Tribunale ha riqualificato il reato da tentata estorsione a tentata violenza privata. Essendo quest’ultimo un reato meno grave, sono venuti meno i presupposti di legge per il mantenimento della misura coercitiva, portando alla rimessione in libertà dell’indagato.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11701 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11701 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MESSINA nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME NOME COGNOME nato a PATTI (ME) il 08/12/1988
avverso l’ordinanza emessa in data 30/07/2024 dal TRIBUNALE di MESSINA (sez. riesame misure cautelari).
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni
del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso,
e dell’avv. NOME COGNOME difensore del COGNOME che ne ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità od il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Messina, adito ex art. 309 cod. proc. pen., riqualificati i fatti provvisoriamente contestati ex artt. 56/610 cod. pen., ha annullato l’ordinanza coercitiva impugnata e disposto la rimessione in libertà dell’indagato NOME COGNOME se non detenuto per altra causa.
Contro la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il P.M. territoriale, denunciando violazione di leggi quanto alla qualificazione giuridica dei fatti provvisoriamente contestati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Come già chiarito, senza contrasti, dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 46609 del 19/11/2009, Prenci, Rv. 245419 – 01), integra il reato di tentata violenza privata, e non già di tentata estorsione, la minaccia diretta a costringere altri a ritirare la denuncia presentata nei confronti di un terzo, non essendo il vantaggio derivante dal ritiro della stessa connotato da contenuto patrimoniale o di utilità economica.
A tele principio si è correttamente attenuto il Tribunale nell’ordinanza impugnata, pacifica essendo, anche secondo la prospettazione del P.M. ricorrente, la mancata finalizzazione della condotta violenta ascritta all’indagato (volta ad ottenere una pur indebita remissione di querela) al perseguimento di un profitto di natura patrimoniale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 17/01/2025