Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 17152 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 17152 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il 02/09/1946
avverso la sentenza del 18/10/2024 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza emessa il 18 ottobre 2024, contestualmente depositata, confermava quella della Settima sezione penale del Tribunale partenopeo che, in composizione monocratica, aveva ritenuto la penale responsabilità dell’attuale ricorrente in relazione al delitto di violenza privata, con condanna al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME si articola in due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo lamenta violazione di legge penale, per non avere la Corte di appello dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione. Secondo il ricorrente la condotta risalirebbe al 5 maggio 2016 e, quindi, alla data della sentenza di
appello, il reato era estinto, nulla motivando a riguardo la Corte territoriale, nonostante la memoria conclusiva lo eccepisse, in ordine al decorso del termine di prescrizione.
Il secondo motivo lamenta vizio di motivazione, in quanto si è contestato e ritenuto illogicamente che l’imputato, avendo la disponibilità dell’area, ove si affacciava il box della parte civile Sepe, ivi però agisse abusivamente, mentre invece il titolo di disponibilità escludeva l’attività di abusivo esercizio della professione di parcheggiatore. Per altro, il ricorrente evidenzia che a fronte della querela del 5 maggio 2016, sporta dalla parte offesa, la stessa ha riferito di un episodio relativo al 12 novembre 2017, oltre il termine della predetta querela, cosicché nella sostanza, deduce il difetto della condizione di procedibilità.
Inoltre, sarebbe non adeguatamente valutata la credibilità della persona offesa, trascurandosi le dichiarazioni del testimone COGNOME.
5. Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
Va premesso che dall’accesso agli atti, consentito a questa Corte in ragione della deduzione di error in procedendo (cfr. Sez. U. 31 ottobre 2001, Policastro, Rv. 220092), sia quanto alla eccezione di prescrizione che al difetto di condizione di procedibilità, emerge quanto segue.
In ordine al primo profilo, la condotta in contestazione, per come riportato nella sentenza impugnata, risulta commessa in data 12 novembre 2017 e non il 2 maggio 2016, come deduce il ricorrente.
A ben vedere oltre che lo stesso ricorso, anche la sentenza di primo grado richiama la deposizione della persona offesa in ordine alla circostanza che Sepe riferiva che il giorno 12 novembre 2017 ivi era una autovettura parcheggiata nello spazio antistante il proprio box-terraneo, impendendo l’accesso allo stesso.
Tale ricostruzione sgombra ogni dubbio in ordine alla data di consumazione del fatto, richiamando invece il ricorrente erroneamente un’altra sentenza di condanna, per condotte analoghe, avvenute però nel 2016 e non riguardanti l’autovettura indicata dell’imputazione per la quale si procede. In sostanza quella erroneamente richiamata dal ricorrente è la sentenza emessa il 18 febbraio 2022, dep. 2 maggio 2022, dal Giudice monocratico della Nona sezione penale del Tribunale di Napoli.
Ne consegue che il reato si è consumato il 12 novembre 2017, cosicché il termine di prescrizione va a scadere il 12 maggio 2025, dovendo per altro prolungarsi lo stesso per la sospensione per l’astensione dei difensori dall’udienza
del 27 giugno 2022 al 24 ottobre 2022. Il motivo è quindi manifestamente infondato.
Quanto alla seconda questione processuale posta, va evidenziato che la querela fu sporta in relazione a fatti precedenti la modifica dell’art. 610 cod. pen., per il quale la riforma Cartabia ha previsto la necessità della menzionata condizione di procedibilità. Deve anche osservarsi che la modifica apportata dall’art. 2, comma 1, lett. e), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è vigente dal 30 dicembre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 99-bis, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 150/2022, aggiunto dall’art. 6, comma 1, D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199.
La modifica interveniva, però, dopo la costituzione di parte civile avvenuta all’udienza del 9 settembre 2019, cosicchè deve trovare applicazione la consolidata giurisprudenza che rileva come in tema di condizioni di procedibilità – in riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 – la disciplina transitoria di cui all’art. 12, comma 2, del medesimo decreto, che prevede l’avviso alla persona offesa per l’eventuale esercizio del diritto di querela non va applicata quando la persona offesa abbia già manifestato la volontà di punizione del reo, costituendosi parte civile e persistendo in tale costituzione nei successivi gradi di giudizio (fattispecie in tema di minaccia grave ex art. 612, comma secondo, cod. pen; Sez. 5, n. 44114 del 10/10/2019, Giainno, Rv. 277432 – 01; Sez. 2, n. 12410 del 13/02/2020 Rv. 279057 – 01).
Inoltre, analogo principio è stato affermato anche in tema di riforma Cartabia: è stato ribadito che la costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità dei reati che il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha reso perseguibili a querela, posto che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione (fattispecie relativa a parte civile che non aveva depositato le proprie conclusioni nel giudizio di appello, definito dopo l’entrata in vigore della cd. riforma “Cartabia”; Sez. 1, n. 26575 del 14/05/2024, Rv. 286741 – 01; conf.: N. 27147 del 2023 Rv. 284844 – 01).
Ne consegue anche la manifesta infondatezza del motivo in esame sul punto.
7. In ordine al secondo motivo lo stesso è per un verso aspecifico: infatti, non si confronta con la circostanza che la Corte di appello esclude la rilevanza del tema della disponibilità giuridica dell’area, essendo la condotta di reato non consistente nella occupazione dell’area, bensì nell’impedimento all’accesso al box della persona offesa, in linea con il principio espresso da consolidato orientamento di questa Corte, per cui sussiste la violenza privata nel caso in cui il diritto rivendicato non coincide con il bene della vita conseguito attraverso la condotta arbitraria
(Sez. 5, n. 10133 del 05/02/2018, COGNOME Rv. 272672 – 01; conformi: N. 38820 del 2006 Rv. 235765 – 01, N. 26176 del 2010 Rv. 247900 – 01, N. 21197 del 2013 Rv. 256547 – 01). Tale ultimo profilo rende anche manifestamente infondato il motivo, dovendo per altro evidenziarsi come le doglianze di travisamento della deposizione di COGNOME siano smentite dalla motivazione impugnata, in quanto la Corte di appello valuta tale deposizione a riscontro della dichiarazione della persona offesa. In tal senso, la deduzione del travisamento delle dichiarazioni di COGNOME avrebbe richiesto l’allegazione del verbale delle relative dichiarazioni: infatti, qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani ovvero a sintetizzarne il contenuto, giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (ex multis Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, COGNOME, rv 241023; Sez. 3, n. 19957/17 del 21 settembre 2016, COGNOME, Rv. 269801). Pertanto il motivo è anche aspecifico sotto tale profilo.
Infine, versata in fatto e generica e manifestamente infondata è la doglianza relativa alla inattendibilità del testimone-parte civile COGNOME, risultando non manifestamente illogica la motivazione che ne valorizza il narrato e gli elementi a riscontro, in sintonia con il principio consolidato e autorevole per cui le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (In motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi; Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, RAGIONE_SOCIALE altri, Rv. 253214).
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 09/04/2025