Violenza Privata e Minaccia: La Cassazione Nega l’Assorbimento
La distinzione tra il reato di violenza privata e quello di minaccia è un tema cruciale nel diritto penale, specialmente quando le due condotte sono strettamente collegate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti importanti, stabilendo che la minaccia non viene assorbita dalla violenza privata se si configura come un atto temporalmente distinto e successivo. Questa decisione ribadisce la necessità di una valutazione attenta della sequenza dei fatti per una corretta qualificazione giuridica.
Il Caso in Esame: Blocco Stradale e Minacce Successive
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un individuo, confermata in primo grado e in appello, per i reati di violenza privata (art. 610 c.p.) e minaccia (art. 612 c.p.). L’imputato aveva bloccato con il proprio veicolo un’altra autovettura, costringendo il conducente a fermarsi. Successivamente a tale azione coercitiva, aveva proferito delle minacce.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, articolando diversi motivi di doglianza. Il principale argomento difensivo sosteneva che la condotta di minaccia dovesse essere assorbita nel più grave reato di violenza privata, in applicazione del principio del reato complesso (art. 84 c.p.). Oltre a ciò, il ricorrente contestava la sussistenza della recidiva, la mancata concessione delle attenuanti generiche e la negazione della sospensione condizionale della pena.
L’Analisi della Cassazione sui Motivi del Ricorso
La Corte di Cassazione ha esaminato i vari motivi del ricorso, dichiarandoli nel loro complesso inammissibili e manifestamente infondati. L’analisi dei giudici si è concentrata in particolare sulla questione dell’assorbimento tra i due reati.
La Distinzione Temporale tra Violenza Privata e Minaccia
Il punto centrale della decisione riguarda il primo motivo di ricorso. La Corte ha respinto la tesi dell’assorbimento, sottolineando un aspetto fondamentale: la sequenza temporale dei fatti. I giudici di legittimità hanno evidenziato che, sulla base della ricostruzione operata dalla Corte d’Appello, la violenza privata si era già perfezionata nel momento in cui l’imputato aveva bloccato il veicolo con modalità coercitive.
La minaccia, invece, è stata posta in essere in un momento successivo. Pertanto, non poteva essere considerata un elemento costitutivo della violenza privata, ma un post fatto punibile
, ovvero un’azione autonoma e successiva, che integrava di per sé il reato di minaccia. Questa distinzione temporale impedisce l’applicazione del principio di assorbimento.
La Reiezione degli Altri Motivi di Ricorso
La Corte ha dichiarato inammissibili anche gli altri motivi per la loro genericità e mancanza di correlazione con le motivazioni della sentenza d’appello. In particolare:
* Recidiva: La motivazione della Corte di merito è stata ritenuta ineccepibile, data la presenza di numerose condanne precedenti a carico dell’imputato, anche per reati contro il patrimonio, e la commissione dei nuovi reati dopo aver beneficiato di un indulto.
* Attenuanti generiche: Il loro diniego è stato considerato adeguatamente motivato sulla base di indici di natura personale e fattuale che deponevano contro un trattamento di favore.
* Sospensione condizionale della pena: Il motivo è stato giudicato aspecifico, poiché la sentenza impugnata aveva chiaramente indicato che il beneficio era già stato concesso due volte in passato e poi revocato, precludendone una nuova concessione.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte Suprema si fonda su principi consolidati sia di diritto sostanziale che processuale. Dal punto di vista sostanziale, la Corte ribadisce che per aversi assorbimento, le diverse condotte devono essere contestuali e funzionali all’integrazione di un unico reato più grave. Quando, come nel caso di specie, una condotta (la minaccia) segue il perfezionamento del primo reato (la violenza privata), essa mantiene la sua autonomia e rilevanza penale.
Dal punto di vista processuale, l’ordinanza riafferma il principio secondo cui i motivi di ricorso per cassazione devono essere specifici e confrontarsi criticamente con le ragioni della decisione impugnata. Motivi generici, che si limitano a riproporre le stesse argomentazioni già respinte o che non colgono la ratio decidendi della corte di merito, sono destinati all’inammissibilità.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
L’ordinanza in commento offre due importanti insegnamenti pratici. In primo luogo, chiarisce che in caso di condotte plurime, la loro successione temporale è un elemento decisivo per stabilire se si configuri un concorso di reati o un’unica fattispecie complessa. La violenza privata si consuma con la coercizione, e ogni atto illecito successivo può costituire un reato a sé stante. In secondo luogo, la decisione sottolinea l’importanza di redigere ricorsi per cassazione in modo rigoroso, specifico e pertinente, pena la declaratoria di inammissibilità che impedisce al giudice di esaminare il merito della questione.
Quando il reato di minaccia non viene assorbito da quello di violenza privata?
Secondo la Corte di Cassazione, il reato di minaccia non viene assorbito da quello di violenza privata quando la minaccia è posta in essere in un momento temporalmente diverso e successivo al perfezionamento della violenza privata. In tal caso, la minaccia si configura come un ‘post fatto punibile’ autonomo.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile quando i motivi addotti sono aspecifici, ovvero non sufficientemente dettagliati o privi della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. La genericità e la manifesta infondatezza sono altre cause comuni di inammissibilità.
Come valuta il giudice la richiesta di circostanze attenuanti generiche?
Il giudice, nel decidere se concedere o negare le circostanze attenuanti generiche, non è tenuto a esaminare tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, ma può limitarsi a fare riferimento a quelli che ritiene decisivi. In questo caso, il diniego è stato motivato sulla base di indici di natura personale e fattuale che hanno imposto di non accedere al trattamento di favore.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11861 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11861 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il 26/01/1966
avverso la sentenza del 02/10/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Considerato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Messina, che ha confermato la sentenza di primo grado con cui l’imputato è stato condannato per i reati di violenza privata e minaccia.
Rilevato che il primo motivo di ricorso – con cui si lamenta violazione di legge in relazione all’ad 84 cod.pen., e quindi il mancato assorbimento della condotta di cui all’ad 61 cod.pen. nella più grave condotta di cui all’alt 610 cod.pen. – è manifestamente infondato in quanto la Corte d’appello ha specificato, con motivazione non manifestamente illogica e fondata sulla ricostruzione in fatto possibile grazie al materiale probatorio utile per la deci (cfr.pag 3), che la minaccia realizzata dall’imputato non può dirsi assorbita nella violen privata poiché temporalmente consumata in un momento diverso e antecedente. Invero, alla luce della ricostruzione fattuale considerata dal giudice di secondo grado, si è affermato che l minaccia è stata posta in essere dopo che l’imputato aveva bloccato il veicolo con modalità coercitive, con tale ultima condotta dando già luogo al perfezionamento del reato di cui all’art.610 cod.pen., cui è seguito un post fatto punibile siccome, di per sé, integrant fattispecie di minaccia.
Ritenuto che il secondo motivo di ricorso (con cui si lamenta inosservanza della legge e travisamento della prova con riferimento agli artt. 393 comma 2 e 612 cod.pen.), il terzo motivo di ricorso (che si duole della violazione di legge realizzata dalla sentenza di appel laddove manca di valutare l’effettiva portata intimidatoria delle espressioni usate dall’imput in relazione all’intero contesto) e, finanche, il quarto motivo addotto (relativo alla valutaz operata circa la sussistenza della recidiva di cui all’art 99 cod.pen.) sono tutti inammissibi primo luogo perché aspecifici; a questo riguardo, infatti, viene in gioco il principio a lume quale vanno ritenuti inammissibili i motivi di ricorso per cassazione non solo quando essi risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì allorché difettino della necessar correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (principio ribadito da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823).
Quanto al primo aspetto, si aggiunge che la Corte distrettuale ha razionalmente affrontato il tema della riconducibilità della condotta dell’imputato al reato di ragion fa escludendo che la pretesa fatta valere potesse essere ottenuta giudizialmente. Peraltro, se questa Corte, in tema di qualificazione giuridica, può esprimersi direttamente – pur nel cornice fattuale delineata dalle sentenze di merito – allora si rileva che le argomentazio difensive non colgono la circostanza che, almeno per quanto concerne il reato di cui all’art. 61 cod. pen., il fine perseguito va individuato in quello prossimo del bloccaggio del veicolo e n già in quello, eventualmente avuto di mira dall’imputato quale esito finale della sua condotta di lasciar comprendere che aveva adempiuto alla sua obbligazione.
In ordine al secondo tema, il ricorso, oltre che aspecifico, è anche manifestamente infondato se solo si tiene conto del contenuto delle espressioni proferite e del contesto particolare belligeranza nell’ambito del quale si colloca la condotta dell’imputato.
Quanto alla recidiva, la motivazione della Corte di merito è ineccepibile, alla luce del plurime condanne a carico dell’imputato anche per reati contro il patrimonio, commessi dopo
aver beneficiato di istituti quali la sospensione condizionale della pena e l’affidamento in prova ai servizi sociali. In aggiunta a ciò, il giudice di secondo grado ha considerato come indicatore di pervicacia criminale del prevenuto anche il fatto che i reati sub iudice si collocano temporalmente dopo il beneficio dell’indulto che gli è stato concesso in ordine all’ultima condanna subita per ricettazione. Per finire, la Corte distrettuale ha considerato che le modalità dei fatti, alla luce anche dei moventi per cui sono stati realizzati, esprimono nuovamente una pericolosità sociale che giustifica l’applicazione dell’aumento di pena per la recidiva (cfr pag.6
Rilevato che il quinto motivo di ricorso – con cui si lamenta la negazione delle circostanze attenuanti generiche – è manifestamente infondato giacché la Corte di appello ha adeguatamente motivato sul punto, facendo riferimento agli indici di natura personale e fattuale che hanno imposto di non accedere al trattamento di favore. Tale interpretazione è ispirata alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il giudice, quando rigetta la richiesta concessione delle circostanze attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli ma può limitarsi a fare riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti (Sez. 3, 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane e altri, Rv. 248244). A ciò si aggiunga che il motivo di ricorso è generico nella misura in cui non chiarisce quali sarebbero gli elementi positivi addotti nell’appello e pretermessi dalla Cort territoriale.
Ritenuto che il sesto ed ultimo motivo di ricorso – che lamenta la negazione della sospensione condizionale della pena – è aspecifico rispetto al dato tranciante indicato nella sentenza impugnata, vale a dire che all’imputato il beneficio era stato già concesso due volte in passato e revocato.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26 febbraio 2025
Il Presidente