Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17213 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17213 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a NAPOLI il 30/04/2000 NOME nato a NAPOLI il 27/07/1992
avverso la sentenza del 19/09/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di L’Aquila in parziale riforma della decisione del G.U.P. del tribunale di Teramo, che, nel giudizio abbreviato, aveva dichiarato NOME e NOME COGNOME colpevoli di rapina impropria aggravata, ha riqualificato i fatti ai sensi degli artt. 81 cpv. – 640 – 610 cod.pe rideterminando il trattamento sanzionatorio in anni tre di reclusione cadauno, con la revoca delle pene accessorie inflitte dal giudice di primo grado.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME che svolge due motivi, enunciati nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..
2.1. Con il primo, lamenta che la Corte di appello, nel riqualificare il fatto, ha omesso di motivare in merito alla ravvisata sussistenza del delitto di violenza privata, in assenza di riscontro alla narrazione della persona offesa, e di giustificare l’entità dell’aumento di pena inflitto per la continuazione con il reato di truffa.
2.2. Con il secondo, è denunciata la mancanza di motivazione in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero dovuto essere concesse almeno in ragione dell’avvenuta ammissione dei fatti da parte dell’imputato, e della conseguente iniquità della pena inflitta.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME che svolge due motivi, enunciati nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..
3.1. Con il primo, denuncia la mancanza di motivazione sul motivo di appello con il quale era stato chiesto il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3.2. Con il secondo motivo lamenta che la Corte di appello, nel riqualificare il fatto, ha omesso di giustificare l’entità dell’aumento di pena inflitto per la continuazione con il reato di truffa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Il primo motivo di ricorso nell’interesse di NOME COGNOME – con cui ci si duole della mancanza di motivazione in merito al delitto di violenza privata – è, in primo luogo, manifestamente infondato, atteso che la Corte di appello – nel riqualificare il fatto – ha chiaramente dato conto della specifica condotta violenta con la quale gli imputati, nell’allontanarsi in auto, dopo il fatto, hanno respinto, il tentativo della p.o. di bloccarli e che “integra l’ulteriore reato di violenza privata”. Inoltre, il motivo risulta anche a-specifico, perché si limita a una generica contestazione della ricostruzione probatoria operata dai giudici di
merito, i quali hanno fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui le regole dettate dall’art. 192 comma terzo cod.proc.pen , relativamente alla necessità dei riscontri esterni, non si estendono alle dichiarazioni della persona offesa, le quali ben possono, legittimamente, essere poste da sole alla base dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e della attendibilità intrinseca del suo racconto, valutazione che, comunque, deve essere, in tal caso, più penetrante e rigoroso rispetto a quello che involge normalmente il propalato del semplice testimone, salvo che, nel caso in cui la persona offesa sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi ( Sez. U. n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214). Sulla attendibilità della p.o., il giudice di primo grado si è ampiamente speso( pg. 4), mentre l’appellante si è concentrato sull’assenza di riscontri, come detto, non necessari, per quanto essi siano stati anche valorizzati in sentenza. Non è censurabile, dunque, in questa sede, la mancanza di specifica motivazione sul punto, da parte della sentenza di appello, in presenza di un motivo di appello inammissibile ab origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio. (Sez. 2 n. 35949 del 20/06/2019, Rv. 276745; Sez. 3 n. 20356 del 02/12/2020 (dep. 2021) Rv. 281630).
2. Parimenti infondata la doglianza con la quale – entrambi i ricorrenti – si dolgono del vizio di motivazione in ordine all’aumento di pena per la continuazione tra i due reati ravvisati dalla Corte di appello, giacchè, invece, la Corte di appello ha indicato la specifica entità dell’aumento operato a tali fini (anni uno di reclusione),che risulta, comunque, contenuto nei limiti indicati dall’art. 81 cpv cod. pen. A differenza di quanto lamentato, quindi, la Corte territoriale ha puntualmente indicato l’aumento di pena per il reato di truffa in continuazione con quello di violenza privata, in anni uno.
2.1. Invero, in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (Sez. 1 , n. 39350 del 19/07/2019, Rv. 276870), vieppiù quando non è possibile dubitare del rispetto del limite legale del triplo della pena base ex art. 81, comma primo, cod. pen., in considerazione della misura contenuta degli aumenti di pena irrogati (Sez. 5 , n. 32511 del 14/10/2020, Rv. 279770), essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen.(Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Rv. 284005).
3. Non ha pregio la censura, svolta nell’interesse di entrambi gli imputati, afferente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche,
rinvenendosi, nella sentenza impugnata, una implicita indicazione delle ragioni della ritenuta non meritevolezza della concessione delle circostanze attenuanti
generiche, laddove essa si riferisce alla
“gravità dei fatti, connotati da spregiudicatezza e capacità criminale (desumibile dal fatto che i Russo,
residenti in Campania, hanno organizzato e sono venuti in zona, ove non avevano altri interessi al fine di commettere reati contro il patrimonio”
(ved.
pag.5 della sentenza impugnata). D’altro canto, la motivazione della sentenza impugnata va letta congiuntamente a quella, conforme sul punto, resa dal
primo giudice, il quale ha incentrato l’espresso diniego sui curricula
criminali degli imputati nonchè sulla pericolosità della condotta, e, quanto alle
dichiarazioni spontanee amnnissive, evidenziando la loro sostanziale superfluità, in quanto sopravvenute a un quadro probatorio già robusto ed evidente.
3.1. Correttamente, inoltre, risulta richiamato il principio di diritto a tenore del quale, in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la
“ratio” della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità.(Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016,Rv. 265826;Sez. 2 n. 23903 del 1 5/07/2020, Rv. 279549).
Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge ( art. 616 cod.proc.pen ) la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000), al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo fissare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così decisop i Roma, 11 marzo 2025 Il Consiglierstensore