Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12280 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12280 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a SAN GREGORIO MAGNO il 05/08/1970
avverso la sentenza del 21/10/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso, riportandosi alla requisitoria in atti, per l’inammissibilità del ricorso; uditi i difensori, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME Rocco COGNOME per le parti civili, che hanno concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, o il suo rigetto, riportandosi alle conclusioni già rassegnate e che depositano in udienza unitamente a note spese; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di Salerno del 4.12.2023 che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, per il reato di cui agli artt.56, 610 cod. pen.
Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, Avv. NOME COGNOME affidato a tre motivi, qui di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’art.521 cod. proc. pen., deducendo che la Corte di appello, a fronte della riqualificazione del reato contestato nella forma consumata, ha ritenuto non sussistere la modifica del fatto penalmente rilevante, che l’imputato, contrariamente a quanto ritenuto nella motivazione della sentenza di primo grado, è stato condannato per delitto tentato, che, nel contrasto tra dispositivo e motivazione prevale il dispositivo, e, ritenendo sussistere, sul punto, solo un errore materiale, ha rideterminato la pena per la fattispecie tentata;
2.2 D secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt.191 cod. proc. pen. e 127 Cost., deducendo che la Corte di appello nell’addivenire alla affermazione di penale responsabilità del ricorrente non avrebbe tenuto conto della mancanza di prove concrete e incontrovertibili, che la trascrizione ad opera dei Carabinieri della registrazione dell’incontro operata dalle persone offese sarebbe avvenuta senza la verifica del supporto informatico, dalla quale è stata estrapolata, e delle voci dei protagonisti per individuare chi avesse pronunciato le frasi minacciose, che l’utilizzo della registrazione sarebbe avvenuto in violazione del disposto di cui all’art.191 cod. proc. pen., e che non sarebbe dimostrata la esistenza di crediti da lavoro dipendente delle persone offese e la lite con l’imputato;
2.3 II terzo motivo di ricorso lamenta erronea applicazione della legge penale in relazione al disposto di cui all’art.51 cod. pen., deducendo l’erroneo riferimento all’art.392 cod. pen. da parte della Corte di appello in relazione ad una condotta (allontanare le persone offese, ex dipendenti, dai luoghi di lavoro per evitare possibili pericoli) scriminata dall’esercizio di un legittimo compito in quanto il datore di lavoro non avrebbe potuto sanzionare amministrativamente i suoi ex dipendenti per violazione della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro, e
che, pur non essendo previsto un onere probatorio a carico dell’imputato, lo stesso sarebbe tenuto a fornire elementi necessari a sua difesa come erroneamente ritenuto a pag. 16 della sentenza impugnata e che, infine, la vicenda avrebbe dovuto inquadrarsi nel reato di cui all’art.612 cod. pen. in assenza della determinatezza della costrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato.
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il motivo non si confronta con la sentenza impugnata che, nella pronuncia del Tribunale, ha riconosciuto il contrasto tra dispositivo e motivazione, rilevando le contraddizioni tra la contestazione del tentativo di violenza privata e la motivazione che ne riteneva la consumazione e, ancora, il dispositivo che pronunciava la condanna per il ‘reato contestato’ e l’omessa applicazione della riduzione della pena ai sensi dell’art.56 cod. pen.
Giova ricordare che, secondo consolidata giurisprudenza (Sez. 5, Sentenza n. 44862 del 06/10/2014, Rv. 261286 – 01; Sez. 3, n. 11659 del 24/02/2015, Rv. 262911; Sez. 2 Sentenza n. 16827 del 07/03/2019, Rv. 276210 – 02) non viola il principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza la decisione di condanna per il reato consumato a fronte della contestazione del tentativo, quando non vi è modifica del fatto penalmente rilevante indicato in contestazione e l’imputato è stato in condizione di difendersi su tutti gli elementi oggetto dell’addebito, trattandosi in tal caso solo di una riqualificazione giuridica dello stesso fatto.
Come evidenziato dalla Corte territoriale, “in tema di correlazione tra accusa e sentenza, si è affermato che, immutato il fatto, la diversa qualificazione di esso effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce della regola di sistema espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU, 11 dicembre 2007, COGNOME c. Italia), consentendo all’imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione” (Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, COGNOME, Rv. 273204, Sez. 6 Num. 422 Anno 2020).
Nella specie, nessuna nullità poteva ritenersi configurabile in quanto la Corte di merito, in esplicazione delle proprie competenze, ritenendo sussistere contrasto motivazione e dispositivo (che ha pronunciato condanna per il reato contestato), ha applicato la regola della prevalenza di quest’ultimo, che può essere derogata
solo a condizione che questo sia viziato da un errore materiale obiettivamente rilevabile e che da esso, quale espressione della volontà decisoria del Giudice, non derivi un risultato più favorevole per l’imputato (Sez. 3, n.2351 del 18.11.2022, Rv.284057-04), eventualità non verificatasi nel caso a mano.
La Corte territoriale ha quindi determinato la pena per la fattispecie tentata, applicando la riduzione per il tentativo, omessa dal primo giudice.
2.2 II secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Va premesso che, secondo condivisa giurisprudenza (Sez. .2, n. 28957 del 03/04/2017, Rv. 270108), la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova.
Ciò posto, con il motivo in esame non si evidenzia alcuna illogicità manifesta della ricostruzione operata in fatto dalla duplice pronuncia di condanna; al contrario, il motivo tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio, rimessi invece alla esclusiva competenza del giudice di merito. Ed infatti, nel caso in esame, la Corte di merito ha ineccepibilmente osservato (cfr. pagg. 8- 9 della sentenza impugnata) che la prova della responsabilità dell’imputato si desumeva dalle prove dichiarative (deposizioni delle persone offese nonché dai teste COGNOME e NOMECOGNOME COGNOME) e documentali (relazione di servizio, acquisita al fascicolo del dibattimento sull’accordo delle parti ex art.493, comma 3, cod. proc. pen., trascrizione effettuata dai Carabinieri del file audio registrato dai denuncianti, documentazione inerente il contratto di lavoro tra la RAGIONE_SOCIALE e le parti civili), ritenendo che il vaglio di attendibilità delle persone offese, effettuato dal primo giudice nel contraddittorio delle parti, è stato serio ed approfondito anche nel giudizio di appello, tenendo conto degli interessi economici di cui le stesse sono portatrici, che il racconto dei fatti è stato chiaro e scevro da intenti calunniatori, limitandosi le persone offese a porre in evidenza i fatti oggettivi (esistenza di crediti da lavoro dipendente con l’imputato e il litigio con aggressione prima verbale e poi a gesti), ricevendo plurimi riscontri estrinseci, testimoniali e documentali, e senza che la difesa ha evidenziato in concreto specifiche contraddizioni o rilevanti elementi di illogicità.
Sul punto, il ricorso non si confronta con le corrette argomentazioni esposte nella sentenza impugnata, con motivazione immune da censure e vizi di manifesta illogicità, con riguardo ai riscontri delle dichiarazioni rese dalle parti civili e all insussistenza dei presupposti per la sollecitata riqualificazione del fatto (in tal
senso, tra le tante, Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104, secondo la quale le dichiarazioni della persona offesa – cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. – possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto; verifica nella specie puntualmente effettuata dalla Corte territoriale -cfr. pag. 1214 della sentenza impugnata).
Quando la persona offesa sia costituita parte civile, il vaglio positivo dell’attendibilità del dichiarante deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi. Può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214). Più di recente, il principio è stato ribadito e precisato, affermandosi, quanto ai riscontri estrinseci, che questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l’intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione, posto che la loro funzione è sostanzialmente quella di asseverare esclusivamente ed in via generale la sua credibilità soggettiva (Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312).
Costituisce, infine, principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo cui la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il decidente non sia incorso in manifeste contraddizioni (oltre a Sezioni Unite Bell’Arte, cfr., tra le più recenti, Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME e altro, Rv. 262575).
Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto rispettati i canoni della valutazione di credibilità soggettiva e di attendibilità intrinseca del racconto delle persone offese, costituite parti civili, avuto riguardo alla linearità e precisione delle dichiarazioni rese, oltre alla coerenza con quanto esposto nella denuncia-querela tenendo conto degli interessi economici di cui le stesse sono portatrici, richiamandone la assoluta coerenza, l’assenza di contraddizioni, e di intenti calunniatori, e senza che la difesa ha evidenziato in concreto specifiche contraddizioni o rilevanti elementi di illogicità.
Con riferimento alle deduzioni sulla inutilizzabilità della trascrizione della registrazione, proposte per la prima volta in sede di legittimità, il motivo è inammissibile in quanto inedito.
Le videoregistrazioni effettuate dai privati e non dalla polizia giudiziaria non possono essere assimilate, quanto ai presupposti di ammissibilità, ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui all’art. 266 cod. proc. pen., ma sono prove documentali, acquisibili ex art. 234 cod. proc. pen., sicché i fotogrammi estrapolati da detti filmati ed inseriti in annotazioni di servizio non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale di inutilizzabilità (Fattispecie relativa a registrazioni audiovideo di parti comuni di un condominio effettuate con telecamere installate per esigenze di sicurezza) (Sez. 2, n. 6515 del 04/02/2015, Hida, Rv. 263432, nel senso che le videoregistrazioni, effettuate dai privati, con telecamere di sicurezza sono prove documentali, acquisibili ex art. 234 cod. proc. pen.). Del resto, la richiamata inutilizzabilità delle prove acquisite, in violazione della legge (artt. 190 e 191 cod. proc. pen.) ha riguardo, proprio per la collocazione sistematica, alla violazione delle norme processuali che regolano la formazione della prova e non anche alle prove acquisite in violazione di divieti nascenti da disposizioni normative a tutela di altri diritti (Sez. 5, n. 33560 del 28/05/2015, Leto, Rv. 264355). Infatti, le videoriprese afferenti al fatto oggetto di conoscenza giudiziale, ben possono essere acquisite, ex art. 234 cod. proc. pen., sebbene con i limiti di utilizzabilità previsti dalla norma citata (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, COGNOME, Rv. 234269; Sez. 5, n. 46193 del 26/10/2004, COGNOME, Rv. 230457; Sez. 3, n. 21318 del 17/04/2002, Rv. 222134). Trattandosi, nel caso al vaglio, di videoriprese provenienti da privati, in ragione anche del luogo in cui sono state svolte, queste non hanno determinato alcuna violazione delle norme processuali sulla formazione della prova (essendone consentita l’acquisizione ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. cit., Sez. 2, n. 10 del 30/11/2016, dep. 2017, Rv. 268787; Sez. U., n. 26795 del 28/3/2006, COGNOME, Rv. 234267 cit.). Ne consegue la piena utilizzabilità ai fini che interessano. La tutela accordata dalla legge alla riservatezza, invero, non è assoluta e cede dinanzi ad esigenze di tutela della collettività e del patrimonio e, in specie, ad esigenze di accertamento probatorio proprie del processo penale (Sez. 5, n. 869 del 4/03/2019, n.nn.; Sez. 2, n. 2890 del 16/01/2015, COGNOME, Rv. 262288; Sez. 5, 12 luglio 2011 n. 34842, Volpi, Rv. 250947; relative a telecamere installate al fine di esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale; Sez. 5, Sentenza n. 21027 del 21/02/2020, Rv. 279345 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In tema di registrazione di conversazioni effettuata da un privato, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto dei dialoghi, il cui apprezzamento
non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite, che nella specie non è dato rilevare.
In ogni caso, il motivo va reputato, altresì, inammissibile perché, pur predicando l’inutilizzabilità di un dato probatorio, non opina circa la decisività di esso, non indicando le ragioni per cui il materiale residuo all’esito della ideale eliminazione del dato inutilizzabile non superi la cosiddetta “prova di resistenza” (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416; Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278123; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME e altro, Rv. 269218; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262011).
Come sostenuto anche in precedenti decisioni di questa Corte, anche in sede di legittimità può procedersi alla c.d. “prova di resistenza” nel senso di valutare se gli elementi di prova o indiziari acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso decisivo sulla decisione del giudice di merito, controllando in particolare la struttura argomentativa della motivazione al fine di stabilire se la scelta di una determinata soluzione sarebbe stata la stessa anche senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute di per sé sufficienti a giustificare
*l’identico convincimento (Sez. 1, n. 1495 del 02/12/1998, Archina Rv. 212274). Ebbene, dall’esame della motivazione della sentenza della Corte territoriale si ricava che le videoregistrazioni sono state utilizzate quale mero riscontro alle dichiarazioni rese dalle parti civili, il cui vaglio di attendibilità, effettuato co motivazione, corretta ed immune da vizi logico-giuridici, è stato serio ed approfondito anche nel giudizio di appello.
2.3 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico e manifestamente infondato.
Il motivo non si confronta con la sentenza impugnata che con motivazione congrua ed immune da vizi di manifesta illogicità esclude espressamente la possibilità di inquadrare la condotta dell’imputato nella causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto potendo configurarsi la fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni che esclude per mancanza di presupposti e perché la deduzione è rimasta priva di alcuna forma di allegazione a sostegno.
La Corte di appello richiama la giurisprudenza di questa Corte sull’onere probatorio in tema di cause di giustificazione per le quali si applica la regola dettata in generale dall’art. 530, comma 3, cod. proc. pen., a norma del quale, se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione, ovvero vi è dubbio sull’esistenza di essa, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione: l’imputato è, pertanto, gravato da un mero onere di allegazione,
soddisfatto il quale, l’onere della prova “negativa” quanto alla configurabilità della causa di giustificazione (la cui configurabilità sia stata specificamente allegata dall’imputato) incombe, secondo i principi generali, sulla pubblica accusa (Sez. 2, Sentenza n. 35024 del 09/10/2020, Rv. 280304 – 01).
Questa Corte, in particolare, ha precisato che ai fini del riconoscimento di una causa di giustificazione o di una causa di esclusione della colpevolezza, l’onere di allegazione gravante sull’imputato opera in relazione ai presupposti fattuali della esimente che rientrino nella sfera personale di conoscenza del medesimo, venendo meno ove le circostanze conosciute o conoscibili “ex actis” consentano al giudice di svolgere anche autonomamente il relativo apprezzamento (S.U. n. 12093 del 1980, Rv. 146696-01). Sez. 6, Sentenza n. 27411 del 20/06/2024, Rv. 286826 02).
Nella specie, l’eccezione avanzata dalla difesa dell’imputato è rimasta una mera affermazione di parte priva di alcuna forma di allegazione a sostegno della dedotta causa di giustificazione.
Ne consegue l’inammissibilità del motivo, per quanto ribadito anche dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823), in ragione del principio per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedi mento impugnato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi euro 4000 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 4/02/2025.