Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28907 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28907 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a ALCAMO IL 21/05/1962 COGNOME nato a ALCAMO IL 18/05/1990
avverso la sentenza del 13/11/2024 della CORTE D’APPELLO DI PALERMO
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione,
NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Lette le conclusioni scritte e nota spese del difensore di fiducia e procuratore speciale, avv. COGNOME per le costituite parti civili, pervenute in data 9 giugno 2025.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 novembre 2024 la Corte di appello di Palermo ha confermato la pronuncia del 18 marzo 2022 del Tribunale di Trapani nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, con la quale gli imputati erano stati condannati alla pena di giustizia, rispettivamente il primo per il reato in concorso di violenza privata aggravata di cui al capo C) ed il secondo per il reato di minaccia grave di cui al capo A) e di violenza privata aggravata di cui al capo C).
Avverso la decisione della Corte di appello hanno proposto ricorso gli imputati, con atto sottoscritto dal comune difensore di fiducia deducendo i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo nell’interesse del solo COGNOME NOME è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza degli elementi costituivi del reato di minaccia come contestato.
La Corte territoriale ha fondato l’affermazione della penale responsabilità del reato di minaccia a mezzo telefono (‘ dove sei, ti vengo a trovare a casa (..) ti scanno tuo padre come un porco’), dalle dichiarazioni della persona offesa riscontrate da un file audio, dalle dichiarazioni testimoniali di NOME COGNOME e dai tabulati dell’utenza telefonica della persona offesa.
Osserva la difesa che manca un’idonea valutazione dell’attendibilità della persona offesa (un richiamo per relationem ai contenuti della sentenza impugnata), soprattutto perché, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, non sussistono idonei riscontri alle sue dichiarazioni.
Sul punto, il file audio contiene una conversazione relativa alle asserite minacce rivolte da COGNOME ad COGNOME (oggetto di un procedimento conclusosi con remissione di querela), ma non alla persona offesa di questo processo COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo comune è stata dedotta violazione di legge per difetto di correlazione tra accusa e sentenza in relazione alla contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 610, comma terzo, cod. pen.
La sentenza impugnata ha ritenuto che il reato contestato fosse aggravato e, dunque, procedibile di ufficio in quanto la circostanza aggravante delle più persone riunite risultava contestata in fatto.
A parere della difesa siffatta circostanza aggravante non è stata oggetto di contestazione: come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a Sezioni unite (S.U. 249/2019) in tema di contestazione in fatto, in ragione delle particolari caratteristiche della circostanza aggravante delle più persone riunite, la stessa non presenta il carattere dell’autoevidenza.
Peraltro, nel caso di specie, la sentenza di primo grado non la aveva riconosciuta con la conseguenza che, in assenza dell’impugnazione del Pubblico ministero, l’intervenuto riconoscimento della stessa viola il divieto di reformatio in peius .
2.3. Con il terzo motivo comune è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione, tradottosi in travisamento della prova in ordine alla sussistenza della condotta contestata al capo C).
Risulta dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa del reato di cui al capo C), COGNOME, che lo stesso aveva fermato il furgone che conduceva perché vi era un’ambulanza davanti.
La sentenza impugnata ha invece sostenuto che la persona offesa si era fermata perché gli imputati lo avevano costretto a bloccarsi, sottraendogli le chiavi del furgone e impedendogli di proseguire la sua attività lavorativa.
Anche in relazione a quest’ultima circostanza la sentenza impugnata opera un travisamento atteso che allorquando è stato fermato COGNOME aveva terminato la sua attività di distribuzione di volantini.
Siffatto travisamento comporta ricadute anche sulle statuizioni civili dal momento che nel danno risarcito è stato ricompreso anche il danno derivante dalla interruzione dell’attività lavorativa del dipendente.
2.4. Con il quarto motivo comune è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La sentenza è meramente assertiva nel negare le invocate circostanze attenuanti richiamando la contraddittorietà delle versioni difensive rese dagli imputati laddove solo uno di essi, NOMECOGNOME ha reso dichiarazioni nel corso del giudizio.
Non è stata in alcun modo valutata la condizione di conflitto esacerbato esistente tra gli imputati e COGNOME in relazione all’attività commerciale svolta.
Inoltre, la sentenza impugnata, nonostante lo specifico motivo di appello, non ha chiarito le ragioni del sensibile discostamento dai limiti edittali previsti per le fattispecie contestate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono nel complesso infondati.
Il primo motivo, nell’interesse del solo COGNOME Salvatore, risulta manifestamente infondato.
La Corte territoriale con motivazione non illogica, né contraddittoria e come tale non censurabile in sede di legittimità, contrariamente a quanto riportato nel ricorso, ha richiamato le risultanze processuali ed in particolare la testimonianza della persona offesa.
Dalla ricostruzione dei fatti adottata dai giudici in doppia conforme emerge che in data 28 agosto 2017 COGNOME NOME, dopo avere contattato telefonicamente COGNOME NOME, lo minacciava dicendogli: ‘ dove sei, ti vengo a trovare a casa (..) ti scanno tuo padre come un porco’
La Corte territoriale (p.4 e ss.) non solo ha inquadrato la specifica condotta nell’ambito di un più ampio contesto conflittuale sussistente tra gli imputati e le persone offese, ma ha sottolineato il giudizio di attendibilità di queste ultime, già espresso dal giudice di primo grado, valorizzando a riscontro delle stesse il file audio prodotto e i tabulati telefonici dell’utenza telefonica di Calvaruso in data 28 agosto 2017, dai quali risultano in entrata tre telefonate dall’utenza di Badalamenti NOME alle ore 9.35, 9.36 e 10.02.
Contrariamente a quanto indicato nel ricorso, la sentenza impugnata ha risposto alla specifica censura difensiva relativa al file audio: tale file , pur non contenendo la specifica telefonata minatoria effettuata da COGNOME NOME a COGNOME NOME, riveste rilevanza nel giudizio complessivo di attendibilità della persona offesa, dal momento che COGNOME non ha esitato a minacciare, anche in via indiretta attraverso il dipendente COGNOME, COGNOME.
Questa Corte ha costantemente affermato che l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo ” id quod plerumque accidit “, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609).
La sentenza impugnata offre una motivazione in fatto logica e coerente e come tale non censurabile in questa sede.
2. Il secondo motivo comune risulta infondato.
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, sia pure con riferimento alla diversa fattispecie di lesioni personali volontarie, che deve ritenersi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza l’aggravante delle più persone riunite nel caso in cui il capo d’imputazione, pur non menzionando l’art. 585, primo comma, cod. pen., rappresenti la simultanea presenza di almeno due soggetti nel luogo e al momento di realizzazione della condotta violenta (Sez. 5, n. 22120 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283218).
Le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436) – che hanno affermato che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice la fattispecie aggravata di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen., qualora nel capo d’imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell’atto, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma – hanno, tuttavia, avvertito che a conclusioni diverse – nel senso dell’ammissibilità della c.d. “contestazione in fatto” – può giungersi, quando la circostanza aggravante valorizzi comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive.
In questi casi, l’indicazione di tali fatti materiali è idonea a riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato (in questo senso Sez. 2, n. 15999 del 18/12/2019, dep.2020, COGNOME, Rv. 279335).
Nel caso di specie l’imputazione contiene la chiara descrizione della condotta aggravatrice correlata alla contemporanea presenza di più persone durante l’ actio criminis : vi è il riferimento ‘ al concorso tra loro’ e alle condotte tenute simultaneamente dai due imputati con il richiamo al capo B) dove le stesse sono descritte; NOME estraeva le
chiavi dal quadro di accensione del furgone guidato da COGNOME, dopo che questi si era fermato su loro richiesta in strada; NOME saliva sul furgone fermo e minacciava COGNOME con le parole: ‘Ti spacco la faccia a te e al tuo principale’.
Risulta, dunque, acclarata la sussistenza di una delle circostanze aggravanti, la cui presenza esclude la procedibilità a querela.
Infondata è altresì la censura nella parte in cui esclude che la circostanza aggravante sia stata riconosciuta in fatto dal giudice di primo grado, con conseguente violazione del divieto di reformatio in peius.
Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che la penale responsabilità è stata riconosciuta in relazione al reato ascritto in contestazione e nel percorso motivazionale vi è un richiamo costante alle condotte perpetrate simultaneamente dagli imputati. La circostanza che la pena sia stata determinata, come lo stesso ricorrente deduce, discostandosi dai limiti edittali previsti, conferma che la penale responsabilità è stata riconosciuta alla fattispecie aggravata dalla circostanza delle più persone riunite anche nel corso del giudizio di primo grado.
3. Il terzo motivo risulta manifestamente infondato.
Quanto al travisamento della prova va richiamata in primo luogo la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nel caso di cosiddetta “doppia conforme” il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 – 01), contrariamente a quanto avvenuto nel caso di specie, dal momento che il motivo di ricorso per cassazione riproduce le medesime doglianze dell’atto di appello.
Sul lamentato travisamento delle dichiarazioni testimoniali di COGNOME, la pronuncia ha fatto corretta applicazione dei principi fissati da questa Corte, secondo cui il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e avalutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos, Rv. 283370 – 01).
La sentenza impugnata (p.9/10) ha riportato le dichiarazioni testimoniali dell’Impastato dalle quali è possibile ricostruire con assoluta chiarezza la dinamica degli eventi.
Ne consegue anche la manifesta infondatezza della censura nella parte in cui, escludendo che COGNOME fosse impegnato nel suo turno di lavoro, ravvisa la necessità di una riduzione del risarcimento del danno a favore di COGNOME, suo datore di lavoro.
4. Il quarto motivo comune risulta generico.
La Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha giustificato la quantificazione della pena (quanto alla determinazione della pena di cui al capo B, valgano le considerazioni operate nel paragrafo 2 che precede) e motivato con argomentazioni immuni da vizi la esclusione della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Sul punto le censure operate dai ricorrenti appaiono del tutto generiche.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e delle spese di costituzione e rappresentanza delle parti civili da liquidarsi come da dispositivo
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi euro 3686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma in data 26 giugno 2025