Violenza nella Rapina: Anche una Spinta è Sufficiente per la Condanna
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un concetto fondamentale nel diritto penale, specificando i contorni della violenza nella rapina. Spesso si è portati a pensare che la rapina implichi necessariamente un’aggressione brutale, ma la giurisprudenza è costante nell’affermare che anche un’azione fisica minima, come una spinta, può essere sufficiente a configurare questo grave reato. Analizziamo insieme la decisione per comprendere meglio i principi applicati.
I Fatti del Caso: Dal Tribunale alla Cassazione
Il caso nasce dal ricorso presentato da un uomo condannato per rapina dalla Corte d’Appello. L’imputato si è rivolto alla Corte di Cassazione contestando la valutazione delle prove effettuata dai giudici di merito. Secondo la sua tesi, gli elementi raccolti non erano sufficienti a dimostrare la sussistenza della fattispecie di rapina. Inoltre, lamentava l’eccessività della pena inflitta, chiedendo una riqualificazione del reato in furto aggravato.
La Nozione di Violenza nella Rapina secondo la Cassazione
Il cuore della questione giuridica risiede nella definizione di “violenza” ai sensi dell’art. 628 del codice penale. La difesa dell’imputato ha tentato di proporre una lettura dei fatti alternativa, ma la Cassazione ha prontamente dichiarato il motivo inammissibile. La Corte Suprema non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un giudice di legittimità: il suo compito non è rivalutare le prove, ma verificare la corretta applicazione della legge.
La Corte ha colto l’occasione per ribadire il suo orientamento consolidato: la violenza nella rapina è costituita da qualsiasi impiego di energia fisica diretta contro la vittima, con lo scopo di annullarne o limitarne la capacità di reazione e autodeterminazione per impossessarsi del bene. Questo concetto è riassunto nell’espressione latina “vis corporis corpori data”, che indica una forza esercitata direttamente dal corpo dell’agente a quello della vittima, anche senza l’ausilio di strumenti.
Quando una Spinta Diventa Rapina
La Cassazione, richiamando numerose sentenze precedenti, ha specificato che la violenza necessaria per integrare il reato può consistere anche in una semplice spinta o in un urto. L’elemento cruciale è il nesso teleologico: l’azione fisica, per quanto lieve, deve essere finalizzata a realizzare l’impossessamento della cosa mobile altrui. Non è richiesta una particolare intensità, ma solo che l’azione sia idonea a vincere la resistenza della vittima.
La Questione Procedurale: I Motivi d’Appello
Un altro aspetto importante toccato dall’ordinanza riguarda i limiti del ricorso in Cassazione. Il ricorrente aveva lamentato l’eccessività della pena, ma la Corte ha rilevato che tale doglianza era inammissibile. Il motivo non era stato specificamente dedotto in appello, se non come conseguenza auspicata della riqualificazione del fatto in furto. Le questioni non sollevate nei precedenti gradi di giudizio, come anche la contestazione sulla recidiva, non possono essere introdotte per la prima volta davanti al giudice di legittimità.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni principali. In primo luogo, il tentativo di ottenere una nuova valutazione delle prove è estraneo al giudizio di legittimità, che deve limitarsi al controllo sulla corretta applicazione delle norme giuridiche. I giudici di merito avevano già concordemente ravvisato gli elementi costitutivi della rapina, basandosi non solo sulle testimonianze ma anche sulla versione dei fatti fornita dallo stesso imputato. In secondo luogo, il motivo relativo all’entità della sanzione è stato ritenuto precluso, poiché non era stato sollevato come motivo autonomo nel giudizio d’appello, violando così il principio devolutivo che regola le impugnazioni.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza conferma che la distinzione tra furto con strappo e rapina è sottile ma netta. Mentre nel furto con strappo la violenza è esercitata direttamente sulla cosa, nella rapina essa si rivolge alla persona. È sufficiente che questa violenza, anche minima, sia il mezzo per vincere la resistenza della vittima e sottrarle il bene. La decisione serve da monito: la legge non tollera alcuna forma di coercizione fisica finalizzata all’impossessamento, e anche un gesto apparentemente minore come una spinta può avere conseguenze penali molto gravi, portando a una condanna per rapina.
Una semplice spinta può essere considerata violenza sufficiente per il reato di rapina?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, qualsiasi energia fisica adoperata contro la persona per annullarne o limitarne la capacità di reazione al fine di sottrarre un bene, inclusa una semplice spinta o un urto, costituisce la violenza richiesta per integrare il reato di rapina.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No. Il ruolo della Corte di Cassazione è quello di giudice di legittimità, non di merito. Non può quindi procedere a una nuova lettura degli elementi di fatto o a una diversa valutazione delle prove, compiti che spettano esclusivamente ai giudici dei gradi precedenti (Tribunale e Corte d’Appello).
Se un motivo di ricorso non viene sollevato in appello, può essere introdotto per la prima volta in Cassazione?
No. Il ricorso in Cassazione è vincolato ai motivi specificamente presentati nel giudizio d’appello. Questioni non dedotte in quella sede, come l’eccessività della sanzione (se non come conseguenza di un’altra richiesta), non possono essere sollevate per la prima volta davanti alla Corte Suprema.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45707 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45707 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOMENOME COGNOME nato a ALCAMO il 13/02/1977
avverso la sentenza del 05/03/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
letto il ricorso di COGNOME Salvatore;
ritenuto che il primo motivo di ricorso è formulato in termini non consentiti in questa sede risolvendosi in una difforme interpretazione degli elementi probatori acquisiti rispetto a quella sposata dai giudici di merito che, con valutazione conforme delle medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ravvisare ; nell’episodio sub judice, gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice contestata, richiamando sul punto non soltanto le dichiarazioni dei testi ma la stessa versione offerta dal ricorrente; d’altra parte, è pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui la violenza necessaria ad integrare il reato di cui all’art. 628 cod. pen. è costituita da ogni energia fisica adoperata dall’agente verso la persona offesa al fine di annullarne o limitarne la capacità di autodeterminazione, potendo consistere in una “vis corporis corpori data”, ossia in una condotta posta in essere esclusivamente con la forza fisica dell’agente e senza l’aiuto di strumenti materiali, o in una energia esercitata con qualsiasi utensile adatto allo scopo (cfr., in tal senso, ad esempio, Sez. 2, n. 14901 del 19/03/2015, COGNOME, Rv. 263307 – 01; conf., Sez. 2, n. 3366 del 18/12/2012, dep. 23/01/2013, Rv. 255199 – 01, in cui la Corte ha ribadito che la violenza necessaria per l’integrazione dell’elemento materiale della rapina può consistere anche in una spinta o in un semplice urto in danno della vittima, finalizzati a realizzare l’impossessamento della cosa); né è consentito al giudice di legittimità procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez. 6 – , n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148); Corte di Cassazione – copia non ufficiale ritenuto che il secondo motivo di ricorso che denuncia l’eccessività del trattamento sanzionatorio è precluso perché non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello (se non quale conseguenza della riqualificazione del fatto in termini di furto aggravato) come non era stata contestata la recidiva, non potendo perciò essere oggetto di rilievo d’ufficio, ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen.;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Roma, 5/11/2024