Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31734 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31734 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PIAZZA ARMERINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/01/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza del Giudice monocratico del Tribunale di Enna, che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 75, comma 1, d.lgs. 06 settembre 2011, n. 159, per avere egli violato la misura della sorveglianza speciale alla quale era sottoposto, con particolare riferimento alla prescrizione di non rincasare oltre le ore 21.00 e non uscire dalla propria abitazione prima delle ore 07.00; per l’effetto – ritenute le circostanze attenuanti generiche – il Giudice di primo grado lo aveva condannato alla pena di mesi due di arresto, oltre che al pagamento delle spese processuali.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), per violazione e falsa applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 75 d.lgs. n. 159 del 2011 e131-bis cod. pen.
Le censure dedotte nell’atto di impugnazione non sono consentite in sede di legittimità, in quanto costituite da mere doglianze versate in fatto e, comunque, manifestamente infondate. La difesa, sostanzialmente, lamenta come la condotta ascritta al ricorrente non sia riconducibile entro l’alveo di quelle atte a integrare ritenuto paradigma normativo, soprattutto in ragione della pretesa carenza dell’elemento soggettivo del reato.
3.1. Non vi è chi non rilevi come si tratti di critiche direttamente incentrate sul merito della vicenda e che sono volte, con tutta evidenza, a sollecitare una nuova valutazione fattuale, in ordine agli elementi di valutazione e conoscenza emersi; le doglianze, quindi, auspicano il compimento di una operazione interpretativa non consentita in sede di legittimità. Dette censure, altresì, riproducono pedissequamente i medesimi profili di doglianza già congruamente vagliati e disattesi – secondo un ineccepibile argomentare giuridico – dalla Corte territoriale, a mezzo della sentenza impugnata.
3.2. La motivazione adottata dal Giudice di merito è poi congruente, logica e priva della pur minima forma di contraddittorietà ed è, pertanto, meritevole di restare al riparo da qualsivoglia stigma in sede di legittimità. A fronte di ciò, argomentazioni difensive si appalesano assertive e aspecifiche.
Parimenti, la doglianza inerente alla mancata applicazione dell’istituto ex art. 131-bis cod. pen. non supera il vaglio preliminare di ammissibilità, in quanto semplicemente reiterativa di profili di critica già congruamente vagliati dal giudice
di merito. Invero, ai fini dell’esclusione della causa di non punibilità per particolar tenuità del fatto, è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza anche di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis cod. pen., laddove si tratti di elemento considerato, evidentemente, decisivo (Sez. 3 n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678). Ebbene, la Corte distrettuale ha ritenuto di non poter riconoscere il beneficio de quo, in ragione della presenza – a carico del ricorrente – di diversi pregiudizi penali, di cui uno anche specifico e recente; in ta modo, risulta compiuto il necessario vaglio postulato dalla sopra richiamata norma, divenendo tale valutazione incensurabile in cassazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2024.