Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1701 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1701 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/09/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME NOME a CORLEONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/09/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e la sentenza impugnata; letti i motivi del ricorso;
rilevato che il ricorrente è stato tratto a giudizio e condanNOME perché, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e tenuto a non associarsi abitualmente a persone che hanno subito condanne o sono sottoposte a misura di prevenzione ed a non allontanarsi dalla propria abitazione in orario notturno, ha violato, in più occasioni, tali prescrizioni;
che, con il primo motivo di ricorso per cassazione, La Susa svolge contestazioni di tangibile genericità in ordine all’abitualità della frequentazione con diversi pregiudicati, profilo che la Corte di appello ha compiutamente analizzato e risolto sull’ineccepibile rilievo che «gli incontri documentati di la Susa con soggetti pregiudicati risultano avvenuti in numerose occasioni (dieci episodi), anche più volte al giorno, e, quindi, attestano una abitualità nella frequentazione e una ripetitività che dà conto di un modus comportamentale idoneo a ledere il bene giuridico protetto»;
che la Corte di appello ha, del pari, offerto congrua risposta all’ulteriore obiezione difensiva, afferente alla consapevolezza, in capo all’imputato, dei pregiudizi gravati sulle persone con le quali egli si è intrattenuto, rilevando che i nominativi di due di loro sono riportati, quale destinatari, nel decreto di applicazione della misura di prevenzione notificato a La Susa il quale, pertanto, non può legittimamente invocare, a suo favore, l’ignoranza della condizione soggettiva di coloro con i quali, in violazione del previsto divieto, si è associato;
che il ricorrente articola, poscia, doglianze inammissibili perché non proposte con l’atto di appello (quella relativa alla causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis cod. pen.) ovvero manifestamente infondate, quali quelle afferenti all’applicazione della recidiva ed all’esito del giudizio d bilanciamento con le circostanze attenuanti generiche;
che la Corte di appello ha, invero, debitamente affrontato tali aspetti, evidenziando, da un canto, la relazione qualificata tra le precedenti condanne inflitte per comportamenti analoghi a quello in contestazione e non troppo remoti – e la condotta più recente, spia di indifferenza alla sanzione e di accresciuta capacità a delinquere, e condividendo, dall’altro, in termini non sindacabili dal giudice di legittimità, le valutazioni operate dal primo giudice in ordine alla comparazione tra la recidiva e le generiche, concesse per il positivo contegno processuale, nonché alla concreta commisurazione della pena, fissata, nella componente base, nel minimo edittale ed aumentata nella modesta misura di tre mesi di reclusione per la continuazione interna;
che pertinente, a quest’ultimo riguardo, si palesa il richiamo all’indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio» (Sez. 1, n. 24213 d 13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825), mentre, specularmente, «nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.» (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283).
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/09/2023.