Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46780 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46780 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOMECOGNOME nato a Cetraro il 17/06/1977
avverso la sentenza emessa il 14/03/2024 dalla Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8 aprile 2022 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Paola, procedendo con rito abbreviato, giudicava NOME COGNOME colpevole del reato ascrittogli, ex art. 75, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (cod. antimafia), commesso a Cetraro nelle date del 16 ottobre 2020, del 18 novembre 2020 e del 25 novembre 2020, condannando l’imputato, riconosciuta la contestata recidiva reiterata e applicata la diminuente per il rito, alla pena di otto mesi di reclusione.
L’imputato, inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge e al pagamento delle spese processuali.
Con sentenza emessa il 14 marzo 2024 la Corte di appello di Catanzaro, pronunciandosi sull’appello di NOME COGNOME confermava la decisione impugnata e condannava l’appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Da entrambe le sentenze di merito, pienamente convergenti, emergeva che NOME COGNOME nelle date del 16 ottobre 2020, del 18 novembre 2020 e del 25 novembre 2020, violava le prescrizioni impostegli dal Tribunale di Cosenza con il decreto n. 26/2018 R.G. M.P., contravvenendo all’obbligo di non associarsi con pregiudicati, essendo stato sorpreso, in occasione dei controlli di polizia eseguiti nelle date sopra richiamate, in compagnia di NOME COGNOME un soggetto gravato da precedenti penali.
I Giudici di merito, in particolare, evidenziavano che il compendio probatorio acquisito nel corso delle indagini preliminari, tenuto conto degli accertamenti di polizia giudiziaria eseguiti nell’immediatezza dei fatti – svolti nelle date del 16 ottobre 2020, alle ore 18.05; del 18 novembre 2020, alle ore 11.08; del 25 novembre 2020, alle ore 20.46 -, risultava univocamente orientato in senso sfavorevole a Candente, nei termini processuali esplicitati nelle pagine 4-6 della decisione impugnata.
Occorre precisare ulteriormente che i fatti di reato, nella loro consistenza materiale, non venivano contestati dal ricorrente, che censurava il percorso argomentativo seguito dai Giudici di merito per il trattamento sanzionatorio che gli era stato irrogato e per l’erronea configurazione del reato contestato, ex art. 75, comma 2, cod. antimafia, sia sul piano dell’elemento oggettivo sia sul piano dell’elemento soggettivo.
Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi, l’imputato NOME COGNOME veniva condannato alle pene di cui in premessa.
Avverso la sentenza di appello NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, articolando promiscuamente quattro censure difensive.
Con il primo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano il riconoscimento della recidiva reiterata, che era stata applicata a Candente senza considerare che, per le pregresse condanne dell’imputato, in sede esecutiva, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Paola aveva applicato la disciplina della continuazione, che doveva ritenersi incompatibile con l’aggravamento censurato; continuazione per accertare la quale era stata formulata una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., erroneamente respinta.
Con il secondo e il terzo motivo di ricorso, di cui si impone una trattazione congiunta, si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale dato adeguato conto delle ragioni che imponevano di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi del reato ascritto all’imputato, ex art. 75, comma 2, cod. antimafia, la cui ricorrenza doveva essere esclusa, sia sul piano dell’elemento oggettivo sia sul piano dell’elemento soggettivo, alla luce dell’estemporaneità e della sporadicità degli incontri avvenuti tra il ricorrente e NOME COGNOME nelle date oggetto di contestazione.
Con il quarto motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la decisione in esame dato opportuno conto delle ragioni che non consentivano di riconoscere a Candente le pene sostitutive delle pene detentive brevi previste dall’art. 20-bis cod. pen., così come introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Riforma Cartabia), in relazione alle quali, nel giudizio di secondo grado, l’imputato non era stato messo nelle condizioni di esercitare le sue legittime prerogative processuali.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
Deve, innanzitutto, ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento
impugnato, per non avere la Corte di appello di Catanzaro dato esaustivo conto delle ragioni che imponevano il riconoscimento della recidiva reiterata, che era stata applicata a NOME COGNOME senza considerare che, per le pregres.s.e condanne dell’imputato, in sede esecutiva, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Paola aveva applicato la disciplina della continuazione, che doveva ritenersi incompatibile con l’aggravamento censurato.
Si deduceva, al contempo, che, nel giudizio di appello, il ricorrente, per accertare il vincolo della continuazione che gli era stato riconosciuto in executivis, aveva formulato una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., finalizzata ad acquisire il provvedimento con cui era stata disposta l’unificazione dei reati oggetto delle precedenti condanne, erroneamente respinta.
Osserva, in proposito, il Collegio che la Corte di merito forniva un’adeguata giustificazione delle ragioni che imponevano il riconoscimento della recidiva reiterata contestata a Candente, richiamando i suoi pregiudizi penali, riconducibili alle condanne che gli erano state irrogate con la sentenza n. 444/2008 Reg. Sent. emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Varese e con la sentenza n. 253/2010 Reg. Sent. emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Paola. Il significativo disvalore di tali pregresse condotte illecite, dunque, rendeva incontroversa l’elevata propensione criminale manifestata dall’imputato nel corso degli anni, non consentendo l’esclusione della recidiva e la mitigazione sanzionatoria invocata nel suo interesse.
Né al contrario di quanto affermato dalla difesa del ricorrente, sussiste alcuna incompatibilità tra l’istituto della continuazione e l’applicazione della recidiva, dovendosi, in proposito, richiamare e ribadire ulteriormente il principio di diritto affermato da Sez. 3, n. 54182 del 12/09/2018, COGNOME, Rv. 275296 01, secondo cui: «Non sussiste incompatibilità tra l’istituto della recidiva e quello della continuazione, con conseguente applicazione, sussistendone i presupposti normativi, di entrambi, in quanto il secondo non comporta l’ontologica unificazione dei diversi reati avvinti dal vincolo del medesimo disegno criminoso, ma è fondata su una mera “fictio iuris” a fini di temperamento del trattamento penale».
Ricostruito in questi termini il percorso argonnentativo seguito dalla Corte di appello di Catanzaro, priva di rilievo appare la residua doglianza, sul mancato esperimento dello strumento processuale di cui all’art. 603 cod. proc. pen., dovendosi ribadire, in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale si può ricorrere «solo quando il giudice ritenga “di non poter decidere allo stato degli atti”, sussistendo tale
impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza» (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, dep. 09/05/2013, Ferrara, Rv. 256228 – 01).
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
Parimenti infondati devono ritenersi il secondo e il terzo motivo di ricorso, di cui si impone un esame congiunto, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte territoriale dato adeguato conto delle ragioni che imponevano di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi del reato ascritto al ricorrente, ai sensi dell’a 75, comma 2, cod. antimafia, la cui ricorrenza doveva escludersi, sia sul piano dell’elemento oggettivo sia sul piano dell’elemento soggettivo, alla luce dell’estemporaneità e della sporadicità degli incontri avvenuti tra l’imputato e NOME COGNOME nelle date in contestazione.
Osserva il Collegio che il compendio probatorio acquisito nel corso delle indagini preliminari, tenuto conto degli accertamenti di polizia giudiziaria eseguiti nell’immediatezza dei fatti, risultava univocamente orientato in senso sfavorevole all’imputato, che non poteva invocare, a sostegno delle sue giustificazioni, né l’inconsapevolezza del disvalore dei suoi comportamenti criminosi né la natura estemporanea e sporadica di tali condotte.
La sequenza dei controlli di polizia dai quali traeva origine il presente procedimento, invero, smentisce l’assunto difensivo.
Si consideri, in proposito, che NOME COGNOME, il 16 ottobre 2010, alle ore 18.05, veniva controllato mentre percorreva, a bordo di un’autovettura condotta da NOME COGNOME, la INDIRIZZO di Cetraro; il 18 novembre 2011, alle ore 11.08, veniva controllato mentre conversava con lo stesso COGNOME nella INDIRIZZO di Cetraro; infine, il 25 novembre 2020, alle ore 20.46, veniva controllato mentre percorreva, a bordo di un’autovettura condotta dal medesimo soggetto, la INDIRIZZO Cetraro.
In questo contesto probatorio, la Corte di appello di Catanzaro, condividendo le osservazioni del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Paola, attribuiva un rilievo decisivo al numero di incontri intervenuti tra l’imputato e i pregiudicato NOME COGNOME all’arco temporale interessato dai controlli di polizia, compreso in poco più di un mese; alle modalità con cui le verifiche avevano luogo, per le strade di Cetraro.
Gli elementi probatori acquisiti, dunque, apparivano espressivi di una reiterazione comportamentale tale da ritenere superata la soglia di punibilità richiesta dalla fattispecie contestata al ricorrente ex art. 75, comma 2, cod. antimafia, risultando dimostrativi di una frequentazione che non poteva ritenersi connotata da estemporaneità e sporadicità.
A sostegno di queste conclusioni, non si può che richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, correttamente citata dalla decisione di primo grado, secondo cui: «Il reato di cui all’art. 75 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che punisce la violazione della prescrizione che impone alla persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale “di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza”, prevista dall’art. 8, comma 4, del medesimo d.lgs., implica un’abitualità o serialità di comportamenti, essendo, conseguentemente, configurabile soltanto nel caso di plurimi e stabili contatti e frequentazioni con pregiudicati» (Sez. 1, n. 14149 del 20/02/2020, COGNOME, Rv. 278942 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 53403 del 10/10/2017, COGNOME, Rv. 271902 – 01; Sez. 1, n. 43858 del 01/01/2013, Valentino, Rv. 257806 – 01; Sez. 1, n. 46915 del 10/11/2009, COGNOME, Rv. 245687 – 01).
Le considerazioni esposte impongono di ritenere infondati il secondo e il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente.
Deve, infine, ritenersi infondato il quarto motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la decisione in esame dato esaustivo conto delle ragioni che non consentivano di riconoscere al ricorrente le pene sostitutive delle pene detentive brevi previste dall’art. 20-bis cod. pen., in relazione alle quali, nel giudizio di secondo grado, l’imputato non era stato messo nelle condizioni di esercitare le sue legittime prerogative processuali.
Occorre premettere che costituisce un dato incontroverso quello secondo cui, nel processo di appello, NOME COGNOME non aveva formulato alcuna richiesta di concessione delle pene sostitutive delle detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., che, essendo state introdotte dal d.lgs. n. 150 del 2022, in epoca antecedente alla celebrazione del giudizio di secondo grado, svoltosi il 14 marzo 2024, avrebbero potuto essere concesse all’imputato.
Tanto premesso, deve evidenziarsi che il quinto comma dell’art. 597 cod. proc. pen. riconosce al giudice di appello la possibilità di applicare all’imputato, anche d’ufficio, un trattamento sanzionatorio mitigato. Tale potere-dovere, però, costituisce un’eccezione alla regola generale, dettata dal primo comma della
stessa disposizione, secondo cui l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269125 01; Sez. 5, n. 37569 del 08/07/2015, COGNOME, Rv. 264552 – 01; Sez. 5, n. 496 del 17/11/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212152 – 01; Sez. 1, n. 8558 del 02/05/1997, COGNOME, Rv. 208572 – 01).
Tuttavia, il mancato esercizio del potere-dovere riconosciuto dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., quale eccezione al principio devolutivo che governa il processo di secondo grado, postulando valutazioni di merito, non può essere censurato in sede di legittimità, in assenza di una specifica richiesta, che può essere presentata dall’imputato sia con l’atto di impugnazione sia in pendenza del giudizio di appello.
A sostegno di tali conclusioni, si ritiene opportuno richiamare il principio di diritto affermato da Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, Salerno, Rv. 275376 – 01 – che si ritiene utilizzabile per le ipotesi di applicabilità d’ufficio delle sostitutive delle pene detentive brevi previste dall’art. 20-bis cod. pen. secondo cui: «In tema di sospensione condizionale della pena, fermo l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito».
Ne discende che, in materia di concessione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., fermo restando l’obbligo del giudice di secondo grado di giustificare il mancato esercizio del potere-dovere di applicare, ex officio, tali benefici, in presenza delle condizioni che ne consentirebbero il riconoscimento, l’imputato non si può dolere, in sede di legittimità, che gli stessi non gli siano stati concessi, qualora non ne abbia fatto richiesta nel giudizio di appello.
Tali conclusioni discendono dalla natura del potere-dovere del giudice di appello previsto dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., che deve essere «correlato sia al suo fondamento normativo, che lo pone come “eccezione” ai generale principio devolutivo che governa il giudizio di appello, sia al contenuto “discrezionale” del suo oggetto, che postula valutazioni di puro merito» (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, Salerno, cit.).
In altri termini, pur a volere ammettere che, in base alla disciplina antecedente il d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31, il giudice di appello poteva concedere d’ufficio le pene sostitutive, l’impugnazione contro l’omesso esercizio
doveva comunque essere effettuata nel rispetto di quanto previsto da Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, Salerno, cit.
In ogni caso, la concedibilità d’ufficio delle pene sostitutive brevi è ora esclusa dal nuovo art. 598-bis cod. proc. pen., frutto del d.lgs. n. 31 del 2024; il che, anche sotto questo profilo, impone il respingimento della censura difensiva in esame.
Le considerazioni esposte impongono conclusivamente di rigettare il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 5 ‘novembre 2024.